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Ode a Il Cacciatore

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La mafia,
una montagna di m***a.

Lo si realizza solo nell’impotenza, quella appresa di chi gestisce il male accerchiandolo e dominandolo. Ma prima ancora di accorgersi dell’abisso, ti sta già guardando dentro. A malapena lo senti vicino, quasi ti spaventa, ti volti all’improvviso ma non c’è nulla, è già dentro di te. Il Cacciatore ha inizio negli occhi che osservano attentamente quell’abisso in apparenza così lontano.

Nell’immobilità del tempo che sembra passare a scatti poco prima di un arresto, comincia a diventare sempre più chiaro come i crimini di un uomo possano essere gli incubi di un altro. La determinazione che pian piano si offusca a diventare ossessione. Questa è la vita di chi combatte la mafia, la vita di Saverio Barone, quella di Carlo Mazza e di tutti coloro che si oppongono a ciò che distrugge di definizione.

I personaggi sono costruiti con cura certosina servendosi di tutti gli elementi che si trovano intorno a loro. Dai colori, chiari e scuri che da soli vanno a erigere intere scene senza conversazioni o come sottofondo ai soliloqui di Barone. Fino ad arrivare ai sospiri che diventano quieta manifestazione di una tempesta interiore che comincia invisibile e termina come pensieri d’aria. I sospiri ricordano rumori che ormai hanno dimora fissa nel tempo della mente, tornano e ritornano come segni di una lotta che non può finire. È questo che rende le ferite sempre fresche, come appena fatte. Ed è questo che porta sempre e comunque a un rinnovato entusiasmo nella lotta contro il male, quello vero.

Anche tra ossessioni si deve fare un’importante distinzione che riflette naturalmente le due facce di una stessa medaglia. Carlo Mazza elabora diversamente dal suo collega, è la vendetta per il suo grande amico che vuole raggiungere. La sua lotta si inasprisce ogni passo sempre di più, come a voler sottolineare la sempre più vicina soluzione.

L’ombra costante di Giovanni Falcone lo guida e in un certo senso lo protegge. È anche un po’ questo il fine de Il Cacciatore, ripercorrere le sue orme attraverso i ricordi e al tempo stesso continuare la storia che lui aveva iniziato a scrivere.

Un’ode a Il Cacciatore è naturalmente un’ode a Francesco Montanari, a Francesco Foti e a ogni singolo dettaglio sparso ma con un ordine ben preciso.

Indubbiamente rappresenta una delle descrizioni visive e parlate più fedeli e interessanti della Sicilia dei primi e della seconda metà degli anni ’90.

il cacciatore

Luci e ombre della città e di chi la governa vanno a insinuarsi non solo nelle pieghe di cartelle archiviate in scaffali d’ufficio, ma anche e soprattutto nelle notti insonni di chi viene a stretto contatto con la mafia.

Ogni petra un grancio

Così dice Giovanni Brusca, ogni pietra un granchio. Per ogni storia la verità. Per raccoglierla tutta non bastano anni, decenni, non si finisce mai. Bisogna che ogni storia da ombra diventi luce, ceda al ricatto e diventi parte del nostro Paese. Processo puntualmente accompagnato da una colonna sonora che non si fa fatica a dire che crea sentimenti, composta da Giorgio Ciampà, perfetta in ogni frame.

Cosa viene prima?
Cosa riempie le tue giornate ma, soprattutto, le tue notti?

Il Cacciatore non fa altro che giocare su questi due concetti. Gli assegna un ruolo, una fantasia e poi ribalta tutto, fa sì che al primo posto ci sia sempre la concretezza di un arresto. Ma quest’idea non è forse irrimediabilmente legata all’aspetto umano? Alla consapevole vendetta di un’orrida ingiustizia che diventa inquietudine e poi fantasma di ciò che non si è riusciti a salvare.

Nella nube tossica dei sensi di colpa c’è la tenacia e la forza delle donne, Giada e Vincenzina che rappresentano fedelmente la società del tempo andando tuttavia a scardinare alcune delle regole chiave su cui poggia anche ora la famiglia definita tradizionale. E aspettano che qualcosa cambi, che tutto torni alla normalità. Che esiste. Ma solo nel momento in cui la giustizia ha la meglio e vince le sue grandi battaglie.

Perché la gioia di un arresto diventa lo squarcio a quel velo di Maya che permette di vivere anche e finalmente altre vite, parallele a quelle d’ufficio, personali e intime. In quei momenti, e solo allora, è possibile darsi una possibilità, come uomini e non come magistrati. Lì dove il tempo non è scandito, ma passa nella normalità di una famiglia, passa senza pesare a ogni rintocco.

Eppure sembrano essere solo istanti, prima di tornare a contare. E ci rendiamo conto di quant’è grande il valore dei numeri, quelli delle intercettazioni, degli uomini che le ascoltano, degli arresti. E quant’è importante iniziare a contare, andare avanti e ancora avanti e non smettere più.

Passo dopo passo, pesce piccolo dopo pesce piccolo.
1 passo, poi 2, poi 3, poi 4 e poi altri 5, 10, 100 passi.

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