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Col Commissario Montalbano siamo amici da vent’anni

Montalbano copertina
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Montalbano, sono! Si presenta così, con quell’accento inconfondibile, che di siciliano ha ben poco a detta dei siciliani doc, il Commissario Montalbano, da oltre vent’anni recordman di share su Rai1 (anche se i primi episodi vennero trasmessi su Rai2).
Per la precisione le puntate andate finora in onda sono trentasette, spalmate in quindici stagioni. Perché Il Commissario Montalbano è una di quelle opere che ha saputo centellinare i suoi episodi (non più di quattro in una stagione) in maniera da non stufare mai il suo pubblico il quale, nel corso del tempo, è cresciuto tanto da superare, in termini di ascolti, persino alcune edizioni di Sanremo.

Il Commissario Montalbano è un successo non soltanto nostrano. Infatti, le puntate di uno dei più iconici commissari televisivi della polizia italiana sono state trasmesse in oltre venti paesi del mondo: dall’Argentina all’Australia, passando per la Svezia (la rete che lo trasmette, la SVT, è co-produttrice della serie) e la Gran Bretagna (dove, nel 2016, è stata una delle dieci trasmissioni più viste) fino alla Lituania, le avventure del personaggio creato da Andrea Camilleri hanno riscosso sempre un successo meritato. Ma cosa ha reso Il Commissario Montalbano un gioiello della televisione italiana, apprezzato in tutto il mondo?

La serie è tratta dai romanzi e dai racconti del compianto scrittore siciliano Andrea Camilleri (1925-2019), il quale ha saputo creare un mondo immaginario ambientato in Sicilia con riferimenti abbastanza espliciti alla nostra realtà. Per esempio Vigata, la sede del commissariato dove lavora Montalbano, e Montelusa, capoluogo di provincia, sono inventate di sana pianta ma corrispondono a Porto Empedocle (luogo di nascita di Camilleri) e Agrigento (anche se nella serie gli esterni sono girati per la maggior parte nella provincia di Ragusa).

Camilleri ha inventato anche un dialetto, il vigatese, una lingua a metà strada tra il siciliano e l’italiano e perciò comprensibile a tutti. Macari (anche, in vigatese) a chi non ha nessuna dimestichezza con il dialetto della bella regione insulare. Una lingua che serve a comunicare molto più di quello che si potrebbe fare semplicemente con l’italiano perché in grado di esprimere il sentimento e il sottinteso. Un po’ come una di quelle lunghe taliate (guardate, in vigatese) che spesso si vedono tra il commissario e uno dei suoi sospettati. Una lingua che, all’interno della serie, non ha un riscontro così pregnante come nei libri ma che è diventata, almeno nelle sue espressioni più ricorrenti, intercalare tra i fan del commissario di Vigata.

Da Il ladro di merendine, trasmesso nel maggio del 1999, a Il metodo Catalanotti, trasmesso nel marzo del 2021, gli spettatori sono stati accompagnati in un lungo quanto affascinante viaggio nella Sicilia del Commissario Montalbano. Una Sicilia le cui bellezze barocche sono state messe in luce dalla sapiente regia di Alberto Sironi (1940-2019). Così, dalla casa di Marinella con quella bellissima veranda che affaccia sul mare aperto ai meravigliosi interni di palazzi degni di un re, le location utilizzate per girare gli episodi di Montalbano sono diventate quasi luogo di culto (esistono, su internet, centinaia di siti specializzati che ne parlano). Ogni anno, infatti, migliaia di turisti, non soltanto italiani, si recano in una sorta di pellegrinaggio devoto proprio in queste terre per rivedere luoghi ormai diventati completamente famigliari.

Un’occhiata qui, un’altra là, cercando magari di individuare la scena se non addirittura l’inquadratura precisa, tra un catojo (monolocale a livello di strada, in vigatese) e un palazzo, i turisti vagano tra le viuzze strette di questi meravigliosi luoghi carichi di storia, per sentirsi più vicini al loro commissario preferito. E poco importa se alcuni set siano stati riutilizzati più volte all’interno di differenti episodi: la bellezza di certi edifici merita di essere vista e rivista per poterli apprezzare appieno, come si gusta e rigusta un buon piatto di purpi alla carrettera.

Montalbano Marinella

Già, la cucina di Montalbano. Ne vogliamo parlare? In realtà, come Montalbano insegna, mentre si mangia si dovrebbe tacere per poter meglio gustare i sapori eccellenti di una cucina semplice, di terra e di mare, capace di arrisbigliare (risvegliare, in vigatese) i morti.
Il buon mangiare è per Montalbano qualcosa di incredibilmente importante, vitale quasi, ed è sorprendente, ma forse nemmeno poi tanto, che Livia, la sua compagna, non sia una buona forchetta. Il commissario è un vero gourmet, forse un po’ campanilista ma ci può stare, che sa apprezzare le cose buone di una cucina incredibilmente ricca com’è quella siciliana.

Dall’ombrosa sala da pranzo di Calogero, il ristoratore che per primo si occupa di sfamare il nostro commissario, alla veranda vista mare di Enzo, sostituto di Calogero quando questi va in pensione, fino alla caponatina che Adelina, la signora che si occupa di fare le pulizie e cucinare per il commissario, gli fa trovare in casa, i piatti che Montalbano mangia per riempirsi la panza e far funzionare meglio il ciriveddru (il cervello, in vigatese) sono una manna per la vista e, ahinoi, purtroppo solo per quella.

Anche in questo caso esistono centinaia di pagine su internet che raccontano e descrivono con tanto di ingredienti e modalità di cottura i piatti della cucina di Montalbano (per altro incapace di cucinare di suo). Ricette semplici con ingredienti rigorosamente freschi che, accompagnate da vino appoiato (dal colore intenso, in vigatese), danno l’impressione di cucina di casa, magari a un pranzo con i colleghi del commissariato.

Montalbano cibo

Colleghi, compagni di avventura ma soprattutto amici. Negli episodi di Montalbano i personaggi principali quanto quelli secondari sono meravigliosi, è proprio il caso di dirlo. Nel corso di questi oltre vent’anni abbiamo avuto modo di vederli letteralmente crescere, maturare e invecchiare. Alcuni di essi, sfortunatamente, ci hanno lasciati: don Balduccio Sinagra, interpretato da Ciccino Sineri (1912-2005) il quale finalmente potrà godersi il sapore delle arance e non più soltanto lo sciauro (odore, in vigatese) o il dottor Pasquano, interpretato da Marcello Perracchio (1938-2017) che finalmente non avrà più rompimento di cabasisi (non c’è bisogno di traduzione in questo caso) da parte di Montalbano.

La bellezza de Il Commissario Montalbano, in realtà, non è tanto nei suoi principali protagonisti quanto nei personaggi di contorno. Per carità, Fazio e Augello, Catarella e Galluzzo, Livia e Ingrid sono bellissimi personaggi, ben costruiti, con una crescita e maturazione che nel corso degli anni li hanno resi praticamente famigliari nei modi di agire e di pensare. Ma gli anziani di Una gita a Tindari o la vicina di casa monarchica de Il campo del vasaio, la moglie tradita di Il ladro di merendine o il padre assassino di Il gioco delle tre carte (e l’elenco potrebbe continuare all’infinito) sono personaggi di una bellezza incredibile, tutti affidati a caratteristi siciliani che hanno saputo dare alla loro interpretazione quel quid che raramente si trova nei personaggi di contorno di altre serie televisive. Sono personaggi che restano nel cuore e che, quasi magicamente, hanno saputo rendere le loro peculiarità un tratto distintivo indimenticabile.

Il Commissario Montalbano è tutto questo ma non solo. La Sicilia, la lingua, la cucina, i personaggi e persino la mafia, così romantica e allo stesso tempo incredibilmente feroce con le sue ammazzatine, sono alcuni tra gli ingredienti che hanno reso il commissario di Vigata un amico che ci accompagna da oltre vent’anni.
Una caratteristica di questa serie, infatti, è proprio la capacità di essere famigliare, capacità che ha saputo trasmettere attraverso le sue connotazioni. Con Il Commissario Montalbano si va sul sicuro, sempre. Un prodotto di qualità in grado di propagare in ciascuno dei suoi trentasette episodi un senso di tranquillità e di sentirsi a casa, anche in quelli più macabri e drammatici.

Luoghi e personaggi concorrono nel creare un clima dentro il quale ci si sta bene e di anno in anno è un piacere ritornarci. I grandi cambiamenti, gli stravolgimenti come il cambio di attrice per Livia, vengono interiorizzati in fretta e dopo il normale momento di smarrimento, i luoghi e le situazioni tornano a pesare positivamente sullo spettatore facendogli accettare di buon grado
le variazioni attuate.

Al di là dell’indiscutibile valore artistico de Il Commissario Montalbano la serie è stata capace di fidelizzare il suo pubblico attraverso quella che Mimì Augello, ne Il giro di boa, imputa al suo superiore: la mozione degli affetti. Perché è proprio nell’animo dei suoi telespettatori che Montalbano, Camilleri e Sironi, accompagnati dalle meravigliose e suggestive musiche di Franco Piersanti, hanno saputo scavare per ricavare una nicchia dentro la quale poter soggiornare come un amico al quale si vuole un gran bene.
Montalbano, un antieroe in carne e ossa, con il suo umore mutanghero (di poche parole, in vigatese) è quel burbero amico al quale si vuole bene, al quale quasi tutto è perdonato. Un amico al quale si vorrebbe rendere visita per potersi gustare paesaggi meravigliosi, piatti appetitosi e compagni divertenti e leali.

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