Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla prima stagione de Il Miracolo
In fondo quella statuetta di plastica è poco meno di un Macguffin. Un espediente narrativo, del quale tutto sommato non ci interessa granché capire dove voglia andare a parare. Tanto da pensare che una seconda stagione de Il Miracolo rischierebbe di rovinare tutto. Ne modificherebbe il codice genetico, dandoci una spiegazione che desidera solo chi cerca maniacalmente la soluzione ad un dubbio. Ma Il Miracolo è altro. È una domanda. Un quesito vecchio come il mondo: cos’è un uomo, di fronte ad un rebus irrisolvibile? Cosa diventa un prete alla deriva? Un boss della ‘ndrangheta? Un generale dell’esercito? Un Presidente del Consiglio che, allacciato alla cronaca degli ultimi giorni, guida un Paese che sogna di abbandonare l’euro? Cosa diventeremmo noi, protagonisti di questa storia quanto loro? Saremmo nudi, semplicemente. Sorridenti, in lacrime. Tutti uguali.
“La notte insegue sempre il giorno ed il giorno verrà”, cantava Jimmy Fontana. E riassume idealmente quel che Il Miracolo è: l’inno di un mondo nel quale cambia tutto affinché nulla cambi. È un ciclo continuo di cause e conseguenze, senza un inizio tangibile e una vera fine. Con una conclusione volutamente criptica che ha messo tutto e tutti sullo stesso piano. Da un referendum senza speranza alla genesi del nuovo Messia, concepito dalla scienza. Fino a farci pensare che il divino, se esiste realmente, non agisce: offre solo degli input. Il Miracolo fa altrettanto: suggerisce una reazione, senza imporla. Provoca, con i deliri onirici che ci mettono di fronte ad un uomo fatto di pane ed una Madonna formosa, vagamente sensuale. Racconta, più di ogni altra cosa. Senza avvelenarci con un giudizio. Mette in scena una storia essenziale, anche se psichedelica.
Il Miracolo, nato dal genio sovversivo di Niccolò Ammaniti, prende in prestito dalla serialità nazional-popolare i soliti personaggi dozzinali (il politico, il mafioso, il prete e l’uomo delle forze dell’ordine), li inserisce in un contesto familiare pregno di misticismo e poi rivoluziona tutto. Smonta ogni figura umana e le frammenta in mille parti con un obiettivo fondamentale: restituirci l’essenzialità dell’essere quello che siamo. Soli, di fronte ad una domanda senza risposta. Non esistono vite artefatte, in questo viaggio. Ci riduciamo allo stadio dei primati di 2001: Odissea nello spazio, inermi al cospetto del senso oscuro di un monolite. Miracoli e maledizioni sono facce della stessa medaglia e ci rendono piccoli e leggeri. Molto più di una statuetta di plastica che in un attimo rimette in discussione ogni nostra convinzione.
Ci vuole coraggio, per raccontare una storia del genere. E ancor di più per produrla con la speranza di abbinare la qualità ai risultati. Sky, nonostante i 200.000 spettatori che hanno seguito il season finale de Il Miracolo siano lontani dai 917.000 portati a casa dagli ultimi episodi della terza stagione di Gomorra, può ritenersi soddisfatta. Perché è artefice di un vero fenomeno paranormale, ormai consolidato negli anni: ridare un respiro internazionale alla vituperata serialità italiana, finalmente capace di renderci orgogliosi di quel che esportiamo in un mondo che non si ferma mai un momento. Grazie ad una storia per molti versi speculare al racconto di Paolo Sorrentino in The Young Pope, e ad un atto di fede privato di morbosa moralità che poco ha a che fare con la religione. Non è poco. E a prescindere dal futuro della serie, non dovrà finire in un freezer.
Antonio Casu
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