Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.
Il vero battesimo delle serie tv non consiste nell’iniziarne una o nel trovare quella perfetta, la verità è che si entra realmente in questo mondo quando si assiste in diretta al declino del proprio show preferito. Sì, quel telefilm con cui abbiamo assillato i nostri amici per giorni, settimane, mesi, sperando che anche loro lo iniziassero. Il vero battesimo lo si vive cercando di capire nella disperazione più assoluta perché lo sceneggiatore, che fino alla stagione precedente era il nostro idolo, abbia deciso di mandare la ragione e la logica in vacanza stravolgendo ogni cosa, velocizzandone altre; distruggendo quel lavoro perfetto costruito mattone dopo mattone per trenta o più episodi. Non mentitemi, so che vi siete sentiti così: tutti ci sentiamo così prima o poi perché la verità è che è più difficile trovare serie tv con un finale coerente che il contrario. E quindi, alla fine, imbarazzati inseriamo nei nostri discorsi di elogio quel ma, che anticipa il numero della stagione da cui inizia il degrado più totale. Io, tra le tante, mi sono disperata guardando Teen Wolf colare a picco dopo la sua terza stagione.
Inizialmente era un diamante grezzo, una serie tv che ha saputo cogliere il tema giusto al momento giusto in un periodo in cui l’urban fantasy stava ponendo ancor più le sue radici nella cultura pop e nel mondo “telefilmico”. Sulla scia del successo di The Vampire Diaries, True Blood e Being Human, Jeff Davis, sceneggiatore di Teen wolf, ha cavalcato l’onda traendo insegnamenti dalla vecchia e dalla nuova scuola, come dimostrano i costumi e il trucco delle trasformazioni che sembrano essere un richiamo a prodotti come Buffy L’Ammazzavampiri o Angel, scritti e diretti entrambi da Joss Whedon.
La magia di Teen Wolf si è per anni dispiegata nella sua sceneggiatura, che così avvincente e ricca di mitologia compensava gli effetti speciali scadenti che ci facevano storcere un po’ il naso. Lo potremmo ironicamente chiamare: effetto Doctor Who, considerando che la serie fantascientifica targata BBC One veniva spesso abbandonata dal pubblico più giovane nel 2005, perché gli effetti speciali sono brutti. Era la verità, io stessa ho avuto pensieri simili e ho ritardato la visione sia dell’una che dell’altra serie. Ma nel momento in cui mi sono decisa a non dar peso al “paratesto” – sebbene fondamentale – e ho iniziato a convogliare tutta la mia attenzione sulla trama me ne sono innamorata.
La verità è che alla fine Teen Wolf ha reso quei difetti il suo carattere distintivo.
Così, mentre il problema trucco-parrucco passava in secondo piano ci siamo accorti dei veri pilastri portanti di questa serie tv: i personaggi.
Allison, Scott, Stiles, Lydia, Jackson, Derek e Peter sono stati scritti per essere capaci di reggere una o più puntate anche da soli, poiché la personalità di tutti è avvincente e mai scontata – okay forse quella di Derek un po’ meno. Inoltre le narrazioni non si limitavano a trattare solo di questioni legate ai lupi mannari, ma iniziavano a mescolarsi con altre culture, miti e leggende, prendendo le distanze dai tipici racconti del filone horror. Pensiamo ad esempio alla terza stagione, considerata l’apice dell’ingegno e della bellezza di questo prodotto, le singole storie dei protagonisti si innestano in un’ambientazione più cupa, misteriosa che ci introduce al mondo delle leggende celtiche per poi – dopo lo hiatus invernale – riaprire la storia trascinandoci tra i personaggi mitici e mostruosi giapponesi: gli Oni e il Nogitsune.
Ma tutto questo era possibile perché i personaggi principali, che fossero vicini o distanti per incomprensioni, erano insieme.
Un solido team che si faceva garante della perfezione della storia poiché era attraverso le loro reazioni agli eventi che il tutto diveniva affascinante. Ma la terza stagione, nonostante la perfezione dimostrata, in un secondo distrugge tutto. La morte di Allison non è per nulla okay, anzi scatena la valanga di insoddisfazioni provate nelle stagioni successive.
È tutto okay, è okay. […] è perché non fa male… È perfetto. Sono tra le braccia del mio primo amore. La prima persona che abbia mai amato. La persona che amerò per sempre. Ti amo… ti amo Scott – Scott McCall.
Allison Argent – 3×23
Guardando con ironia la scena della sua morte è come se Scott fosse il pubblico che sta piangendo a dirotto per questo addio, l’addio alla Teen Wolf magica è fantastica, mentre le parole di Allison, che dovrebbero confortarci, ci fanno solo stare peggio. Anche perché, ancora una volta, l’unica cosa a cui pensiamo è: chiamate un’ambulanza invece di starvene lì, e cambiate tutto prima del disastro.
La scena è di certo bellissima, ma avvertiamo solo il panico, panico puro perché mentre la parte più razionale di noi continua a ripetersi che andrà tutto bene perché è una dei protagonisti, perché ci sono tante cose in sospeso tra lei e Scott, perché gli Argent meritano una seconda possibilità, perché sarebbe monotono lasciare che la famiglia di cacciatori venga sterminata stagione dopo stagione, il nostro inconscio solleva sensazioni spaventose che si rivelano vere: il suo arco narrativo finisce lì, interrotto per sempre.
Non va bene perché sebbene la scena sia stata commovente, sembra che sia stata pensata senza tener conto del passato e del presente. Allison stava finalmente cercando di trovare la sua strada, dopo tutta la sofferenza e le prove affrontate era sul punto di riuscire a fare un passo avanti distaccandosi dal passato e dalle tradizioni della sua famiglia, lei rappresenta una nuova generazione di cacciatori. Eppure, proprio nel momento clou del suo sviluppo la sua storia viene interrotta.
Ma in fondo perché darle spazio, no? Che idea folle quella di poterle permettere di emanciparsi e di allontanarsi per poi ritornare più forte di prima, come abbiamo potuto solo pensare a una cosa simile? Di certo l’attrice non l’ha fatto. Molto meglio far morire il personaggio per realizzare una scena stupenda ma che oscura tutto ciò che era accaduto nelle puntate immediatamente precedenti. Ci si dimentica degli sviluppi con Isaac, che per quanto divertenti erano stati comunque importanti, oppure il fatto che la stessa Allison si fosse allontanata da Scott volontariamente e che dunque in quel momento il loro rapporto fosse in realtà in crisi, gelido. Trascorsa la tempesta di emozioni, ci accorgiamo del grave errore.
Una volta scomparsa Allison l’atmosfera della serie viene stravolta dall’introduzione di nuovi personaggi che hanno lo scopo di conferirle freschezza e novità. Ma non è ciò che accade, anzi i nuovi volti appaiono degli intrusi in delle storyline incompiute, recise e abbandonate. Pensiamo ad Isaac: lasciare Beacon Hills poiché senza Allison non trovava alcuna valida motivazione per restare è un’assurdità. Il suo arco narrativo , considerando il rapporto con il padre, sin dall’inizio si era basato sul desiderio di essere accettato. E tra la seconda e terza stagione finalmente è ciò che accade. Lui aveva trovato il suo branco, la sua vera famiglia, che non era certo composta solo dalla cacciatrice Argent. Inoltre è stato ingiusto con il suo sviluppo abbandonare ogni cosa senza darci la possibilità di vivere con lui tutto ciò che ha provato.
Ma in fondo, ad aspettarlo c’era una parte migliore in The Originals: a chi importa di Teen Wolf.
A noi, poveri fan abbandonati alla finestra che cercano di farsi notare, di far notare che così non va bene per niente. L’attenzione è posta anche su Scott, colui che dovrebbe darci più soddisfazioni, colui che deve dimenticare il suo primo amore, ridotto a una pietosa firma puntata sugli scaffali della biblioteca. Con il senno di poi sembra molto più commovente lo Scott della terza stagione.
Allison era la mia àncora
Scott McCall – 3×13
Urla alla madre nella 3×13, ormai stremato da un senso di vuoto lasciato dall’abbandono di Allison quando era ancora viva. Scott aveva già attraversato la fase di crisi che gettandolo nella solitudine lo avrebbe fatto risorgere più forte e deciso di prima. E così anche gli altri dopo la morte temporanea all fine della 3A. Il passo successivo non sarebbe dovuto essere un ulteriore addio, ma un ricongiungimento sensato. E invece, quasi tutto quello che accade dopo la morte della cacciatrice segna un costante regredire. La quarta stagione, nonostante i cattivi interessanti, i Dread Doctors, è un insieme di episodi in cui i tempi narrativi sono dilatati a tal punto da rendere le vicende spesso lente e noiose.
I nuovi co-protagonisti si rivelano delle macchiette in confronto agli originali che, pur restando centrali, si ripiegano su loro stessi perdendo la grinta del passato. Il gruppo si sfalda e la sensazione di familiarità che si avvertiva guardando gli episodi precedenti cede il passo a degli svolgimenti poco avvincenti, mai veramente coinvolgenti perché la sensazione di mancanza verso qualcosa o qualcuno che i nuovi personaggi stanno cercando di colmare non scompare.
Persino Peter, in Teen Wolf, l’affascinante antieroe del gruppo diventa una sottotrama comica abbandonata a se stessa.
La nuova generazione avrebbe funzionato solo se le storie precedenti fossero state chiuse correttamente, invece pian piano per questioni sempre esterne alla serie vediamo scomparire anche Stiles che, pur essendo al centro della sesta stagione, appare pochissime volte per delle scelte lavorative dell’attore. E anche in tal caso, nonostante l’incipit avvincente basato sulla perdita di memoria a causa di questi Cavalieri Fantasma, tutto appare portato troppo per le lunghe sino a diventare noioso, come se fossero stati costretti a scrivere una trama solo per coprire un numero più alto di episodi rispetto a quelli realmente necessari. L’inventiva si perde lungo la strada e anche il nostro interesse. Teen Wolf è un prodotto pian piano sabotato dall’interno suoi stessi interpreti che l’hanno abbandonata per altri progetti.
In un’intervista Jeff Davis accennò al suo desiderio di poter concludere questa avventura facendo calare il sipario sulle due coppie principali della serie, ormai cresciute e ormai endgame. Sarebbe stato meraviglioso se il piano avesse funzionato e se altre questioni esterne non si fossero imposte costringendo la sceneggiatura a cambiamenti forzati. Se il piano avesse funzionato la serie, forse, sarebbe stata perfetta perché avrebbe rispettato la coerenza con cui era stata concepita. Invece, nelle ultime stagioni quasi ogni cosa è abbandonata a un via vai incoerente di personaggi vecchi e nuovi, solo per realizzare una sorta di contentino che ci portati a seguirla fino alla fine nella speranza che si risollevasse il tono narrativo.
Purtroppo, nonostante l’addio comunque emozionante, una sensazione di incompletezza ha continuato ad aleggiare durante le ultime puntate. Ma poiché era palese che lo show avesse esaurito tutte le carte, è stato meglio concluderlo piuttosto che prolungare il martirio.