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Il Muro del Rimpianto – Troy, Fall of a City: quando di epico non rimane più nulla

troy fall of a city
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Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.

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Il racconto della guerra di Troia, delle battaglie tra i popoli Greci e i Teucri, il sangue versato per i sacrifici, gli assedi e il dolore per la perdita dei propri cari. ll mito e le leggende che conosciamo fin da piccoli ci hanno sempre parlato della forza con cui i Troiani resistettero per 10 anni all’incessante avanzata dei Danai, fino alla fine del loro percorso. L’Iliade e l’Odissea di Omero sono parte integrante della nostra cultura e delle nostre tradizioni, così come lo è il racconto dell’ultima notte di Troia che l’Enea di Virgilio ci fa nell’opera che da lui prende il nome. Sarebbe impossibile pensare di mettere da parte tutto questo per ricostruire uno degli avvenimenti più famosi del mito, senza dare a ogni scena il pathos di cui i poemi omerici sono intrisi dall’inizio alla fine.

Ogni parola, ogni verso dei testi epici a cui Troy – Fall of a City fa riferimento trae forza dall’intensità delle emozioni umane, emozioni che nella serie si fa difficoltà a percepire come realistiche.

Se nel 2018 le opinioni della critica sulla miniserie creata dalla BBC sono state inizialmente positive, Troy non ha riscosso molto successo da parte del pubblico (per numerosi motivi che a breve analizzeremo) ed è stata subito inserita da IMDb tra le peggiori serie tv presenti su Netflix in Italia. C’è chi ha osato insinuare che il prodotto seriale composto da 8 episodi fosse migliore del quasi omonimo film del 2004 con Brad Pitt, Orlando Bloom e Sean Bean, ma sarebbe un insulto paragonare le due cose. In otto episodi è senza dubbio più semplice dare spazio alle storyline dei diversi personaggi, ma i protagonisti degli eventi mitologici sono così tanti che, se gestite male, le loro trame possono risultare difficili da comprendere per chi non le conosce. E, in parte, per Troy – Fall of a City è stato così.

Partiamo dal primo punto debole di questa serie: la scelta degli attori.

E no, non stiamo parlando solo del fatto che pubblico e critica abbiano accusato la miniserie di brown-washing per la scelta di affidare i ruoli di Zeus, Achille, Patroclo ed Enea ad attori di colore. Così facendo in parte hanno stravolto la provenienza geografica degli eroi greci e le leggende legate alle stirpi a cui alcuni di loro daranno origine (come nel caso di Enea e del suo arrivo nel Lazio). Ma questa è solo l’ultima delle incongruenze di Troy – Fall of a City e non è di certo questo il vero problema della serie.

Quando diciamo che il punto debole sono prima di tutto gli attori, intendiamo che la decisione di dare spazio a un cast quasi completamente emergente e con poca esperienza alle spalle, si è ripercossa sul risultato finale. Louis Hunter non ha saputo dare la minima profondità al personaggio di Paride. Lo ha reso solo un uomo odioso e incomprensibilmente testardo, i cui sentimenti nei confronti della bellissima Elena di Sparta (Bella Dayne) sembrano mossi soltanto da una superficiale attrazione fisica. La passione totalizzante che dovrebbe unirli fin dal loro primo incontro non si percepisce attraverso lo schermo e allo spettatore non arriva la minima emozione.

Come definire tutto questo?

Inespressività sembra essere l’unica parola capace di descrivere le sensazioni che trasmettono i volti degli attori principali durante alcune tra le scene di maggiore intensità emotiva del mito. Così come Paride ed Elena (coppia centrale dell’Iliade e della guerra di Troia), anche Ettore e Andromaca, interpretati da Tom Weston-Jones e Chloe Pirrie, non hanno dato nemmeno metà del pathos necessario per creare qualcosa che valesse la pena guardare. La scena dell’addio tra i due, il cui valore letterario e culturale è immenso e privo di eguali, nella miniserie della BBC si trasforma e perde spessore, diventando vuoto e sterile, incapace di generare un vero e proprio coinvolgimento emotivo.

Troy – Fall of a City si è rivelata una miniserie piatta, con personaggi i cui dialoghi non restituiscono nemmeno lontanamente il valore epico delle opere originali, trasformando la guerra di Troia in una battaglia qualsiasi, i Greci e gli eroi del mito in gente qualunque. Le morti gloriose dei guerrieri di ambo le fazioni perdono di energia e diventano deboli tentativi di restituire epicità a una serie che di epico non ha davvero nulla.

Ma il cast non è l’unico elemento a non funzionare in questa miniserie.

La componente divina non è stata amalgamata alle vicende nel modo migliore, ed è un vero peccato vista l’importanza che gli dèi e le loro azioni hanno, non solo nella guerra di Troia ma anche nella cultura greca in generale. Qui le divinità sono tutte umane e qualche piccolo effetto speciale non è bastato a far percepire al pubblico la vera connessione tra umano e divino che permea in ogni istante la tradizione greca.

Anche in questo caso ciò che di epico c’era in Omero e Virgilio, nella serie è sparito quasi senza lasciare traccia, aiutato anche da una colonna sonora incapace di trasmettere ansia, dolore, paura e desiderio di vendetta. Lo squillare delle trombe di guerra, il suono dei passi dei nemici che si avvicinano e il timbro scuro e cupo della morte che accompagna i soldati. Tutto quello che, nei testi omerici si percepisce anche soltanto all’andamento della metrica e che in un prodotto seriale dovrebbe essere reso soprattutto con la musica adatta, in Troy – Fall of a City non è stato fatto, a discapito dell’intera serie.

I brividi che avrebbero dovuto percorrere lo spettatore nelle scene di maggiore pathos, nelle battaglie o nei momenti più drammatici della guerra non ci sono stati e la delusione ha preso il loro posto, lasciando un vuoto amaro che ormai è impossibile colmare e che ci fa solo annusare aria di rimpianto.

L’ambientazione è discreta ma non è realistica al cento per cento, così come i costumi e i dettagli non restituiscono veri scorci di vita né i puri momenti di terrore tipici di un periodo difficile come quello rappresentato.

Troy – Fall of a City ha fallito nel suo tentativo di restituirci una nuova versione delle guerre più epiche di sempre e di alcuni degli eroi più conosciuti del mondo.

Troy è tra le peggiori miniserie che si possano trovare su Netflix e purtroppo ci ha lasciato solo il rimpianto di un prodotto che avrebbe potuto dare molto di più, che avrebbe potuto lasciare al pubblico qualcosa di immenso da ricordare e che avrebbe potuto offrire un momento di formazione e crescita utile, tanto quanto ciò che di solito si legge nei libri. Invece, la serie della BBC non si è rivelata all’altezza delle aspettative e ha reso vano tutto il lavoro di ricerca e rielaborazione del materiale ricavato dalla nostra immensa tradizione.

La voglia di ricreare le atmosfere epiche del film del 2004 e di riunire i cicli omerici e la narrazione dell’ultima notte di Troia ha prodotto solo una copia scadente di qualcosa che non avrebbe dovuto essere modificata ancora.

Per chi ama i miti classici e conosce la storia della caduta di Troia e della morte dei suoi migliori eroi, questa serie tv è uno scempio imperdonabile. È così anche per chi, pur non avendo familiarità con la tradizione greca, avrebbe voluto godersi un prodotto drammatico e d’azione fatto come si deve e invece si è trovato di fronte a una miniserie scadente, piena di incongruenze, imprecisioni e punti deboli. Impossibile reprimere il senso di fastidio che Troy – Fall of a City ha provocato, sapendo che la maggior parte degli errori commessi nella sua produzione potevano essere evitati. Non ci resta che recuperare per conto nostro le leggende antiche e dargli nuova vita con la nostra immaginazione.

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