Il Nome della Rosa 1×03 e 1×04 sono andate in onda ieri sera. Qui di seguito la nostra recensione degli episodi.
Ardo dal desiderio di spiegare, e la mia massima soddisfazione è prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo. È il modo più facile per chiarire le cose a me stesso.
Prima di iniziare con il consueto punto della situazione della trama di queste due nuove puntate de Il Nome della Rosa trovo doveroso fare due considerazioni. La prima in ordine al successo di pubblico e critica. La seconda più personale. I dati di ascolti della scorsa settimana relativi all’esordio hanno affermato in modo chiaro la vittoria della produzione Rai: oltre il 27% di share, in prima serata. Se si confermeranno anche quest’oggi dopo la messa in onda di Il Nome della Rosa 1×03 e 1×04 sarà necessario far una grande riflessione. Questo pensiero ci porta esattamente al secondo aspetto a cui accennavo. E alla citazione iniziale.
Le parole riportate sono di Isaac Asimov. Non tratte da uno dei suoi molti e pregevoli romanzi, ma da uno tra i più importanti testi divulgativi che abbia scritto: Civiltà Extraterrestri, del 1979. Ancora oggi considerato la migliore ricerca scientifica compiuta sulla possibilità di esistenza di forme di vita aliene. Tenetele bene a mente perché saranno la chiave di lettura perfetta per capire cosa abbiamo visto e cosa, con tutta probabilità, continueremo a vedere. Cominciamo.
Avevamo lasciato Guglielmo e Adso dentro la labirintica biblioteca con quest’ultimo aggredito dopo essere stato vittima di uno dei molti sistemi di difesa della stessa. Guglielmo fa rinvenire il novizio e gli spiega che le visioni sono dovute a ciò che ha respirato e non a qualcosa di reale. Mentre Guglielmo procede con fatica nelle indagini, Adso non riesce a resistere al ricordo della ragazza occitana. Decide quindi di cercarla nuovamente nella foresta sperando di incontrarla.
Guglielmo nel frattempo riesce a decifrare il codice di Venanzio per muoversi all’interno della biblioteca. Con l’aiuto del novizio pianifica una nuova sortita all’interno del temibile edificio.
La puntata ci mostra nuovamente, grazie ai consueti flashback, le vicende di Dulcino e la missione della figlia di quest’ultimo: vendicarsi della morte del padre per mano di Bernardo Gui. Scopriamo anche come si sono conosciuti il deforme Salvatore e Remigio da Varagine.
Dopo aver assistito a un tentativo di Anna di assassinare Bernardo Gui ecco Salvatore che cerca di catturare la giovane occitana dai capelli rossi salvata però da Adso. Fatto che causa una quasi aggressione al novizio da parte di Salvatore. Il tema della condizione della donna nel 1300 viene affrontato da un bel dialogo tra Adso, in totale confusione amorosa, e Guglielmo.
L’analisi sul corpo di Berengario, il terzo cadavere rinvenuto dopo Adelmo e Venanzio, fanno capire che la causa è l’affogamento. Seppur non risultino segni di violenza. I timori dell’abate Abbone per l’arrivo della delegazione papale lo inducano a nuovi confronti con Guglielmo, accusato di non aver ancora risolto il mistero. Quest’ultimo riceve nuove e criptiche parole dal vegliardo Alinardo che sembra ricondurre tutto all’Apocalisse di san Giovanni. Infine arrivano all’Abbazia sia la delegazione papale che quella francescana, capeggiate da Michele da Cesena. Oltre, proprio in chiusura, allo stesso Bernardo Gui.
Questi i fatti salienti di Il Nome della Rosa 1×03 e 1×04 visti ieri sera.
Ora possiamo concentrarci sulle considerazioni. La prima, più che altro una conferma: non vedremo Ubertino da Casale. Il personaggio, ormai è chiaro, è stato tagliato fuori dalla produzione Rai. In secondo luogo restano le perplessità in merito all’atmosfera poco lugubre che si è deciso di dare a questa miniserie. Anche ieri sera le immagini hanno sempre una chiarezza e nitidezza che difficilmente possono coincidere con quanto ci racconta Eco nel suo libro. Terminiamo le conferme della scorsa settimana con la giovane ragazza occitana.
Per quanto splendida nei suoi riccioli rossi, sempre perfettamente a posto, non trasuda quella selvaggia bellezza popolare che descrive Eco e che mostrava Valentina Vargas nel film di Annaud. Quando Eco descriveva le effusioni tra lei e il giovane novizio utilizzava le seguenti parole:
Ma chi era costei che sorgeva davanti a me come l’aurora? Bella come la luna, fulgida come il sole e terribile come un esercito spiegato in battaglia?
Difficilmente possiamo riconoscere l’angelica e serafica Antonia Fotaras in questa descrizione. Tutto sembra tranne terribile come un esercito. Anche il venerabile Jorge stona molto sia con la descrizione che ce ne dà l’autore che con la straordinaria interpretazione regalata dall’attore russo Fëdor Fëdorovič Šaljapin nel ’86. Il pur bravo James Cosmo difetta proprio della “venerabilità” che aleggia sul personaggio che di fatto è il signore incontrastato della biblioteca. Molto più di Malachia. Difficile giudicare Stefano Fresi nel ruolo di Salvatore, dovendo confrontarsi che l’incredibile parte che fu di Ron Perlman. Di certo non sfigura affatto ed è già un ottimo risultato così.
Di pregevole livello invece restano Turturro e il giovanissimo Damian Hardung. Dopo queste ulteriori due puntate confermano di essere una coppia particolarmente affiatata e perfettamente funzionale al ruolo. In attese di vedere al meglio Rupert Everett bisogna ammettere che Helmut Qualtinger, nei panni di Remigio e soprattutto Roberto Herlitzka si confermano addirittura migliori dei loro precedenti interpreti.
Dato a Cesare quel che è di Cesare possiamo riallacciarci alle parole iniziali di Isaac Asimov. Quello che ha colpito di più ne Il Nome della Rosa 1×03 e 1×04 viste ieri sera è indubbiamente il lavoro certosino fatto dalla produzione e da Giacomo Battiato per rendere comprensibile il difficile testo di Umberto Eco. Là dove Jean-Jacques Annaud aveva optato per semplificare mediante stratagemmi cinematografici, Battiato punta su una semplificazione formale e non contenutistica. L’esempio chiarificatore di questo processo è l’attraversamento della biblioteca mediante il codice di Venanzio.
Nel film del ’86 per ragioni di durata venne scelto di far attraversare la labirintica biblioteca non risolvendo il suo intricato dedalo di messaggi scritti negli stipiti delle porte, ma con un più prosaico filo.
Scelta comunque impeccabile, visto anche il riferimento al filo d’Arianna per uscire da un labirinto. Senza contare che Arianna e labirinto sono elementi principe degli scritti di Borges e che lo stesso Jorge Borges è colui a cui si è ispirato Eco per il personaggio cieco di Jorge da Burgos. Ma nella serie Rai viene invece seguito pedissequamente e ben spiegato quanto avviene nel libro. In aggiunta a ciò le dissertazioni tra Guglielmo e i vari personaggi avvengono con le stesse modalità del romanzo di Eco e vertono sugli stessi temi. Semplicemente, ma è un semplicemente decisamente positivo, in modo più diretto e chiaro. Abbordabile per chiunque.
Ecco la chiave del successo di questa miniserie Rai. Ed ecco le parole di Asimov: “prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo“. Questo è quello che ci viene mostrato. Anzi, ancor di più, questo è il “come” ci viene mostrato. In Il Nome della Rosa 1×03 e 1×04 di ieri Guglielmo da Baskerville cita una famosa frase di Bernardo di Chartres:
Siamo come nani sulle spalle di giganti
Sinceramente non ricordo se fosse presente nell’opera originale, non credo, ma potrei sbagliare. In ogni caso Umberto Eco su questa frase, al di fuori de Il Nome della Rosa, ha scritto molto e penso sia un’ottima dichiarazione di intenti da parte di Battiato e della produzione. Un modo molto elegante e raffinato di mettersi al giusto posto e di chiarire che quello che si sta facendo è possibile solo grazie all’opera di un gigante venuto prima. Quel gigante è Umberto Eco con il suo, immortale romanzo.