Attenzione: l’articolo contiene spoiler sulla serie Il Pentavirato.
Attore, comico, doppiatore e molto altro ancora; questo è Mike Myers, autentico mattatore della comicità americana degli anni ’90 nonché scrittore, ideatore e interprete della nuova miniserie Il Pentavirato.
Dirompente showman nel Saturday Night Live e successivamente protagonista di pellicole di successo come Fusi di testa e Austin Powers, il suo personaggio più riuscito in assoluto, dopo l’ultima apparizione nel lontano 2002 nei panni del pittoresco agente segreto britannico, Myers trascorrerà un lunghissimo periodo lontano dalle scene.
Tra flop al botteghino e sporadiche comparsate in film di successo (Bastardi senza gloria, Bohemian Rhapsody), il pubblico che aveva imparato ad amarlo, soprattutto nelle vesti della spia Austin Powers, era stato costretto a perdere di vista l’istrionico artista.
Tutto questo fino a qualche settimana fa quando Netflix, puntando con decisione e coraggio sul ritorno alla ribalta di Myers, ha lanciato la miniserie comedy in sei puntate dal titolo Il Pentavirato.
Meyers ha così l’opportunità di ritornare in carreggiata e lo fa sfruttando uno dei punti forti della sua carriera: l’interpretazione di più ruoli.
Qualcosa che in verità avevamo visto un mese prima (sempre su Netflix); ci riferiamo alla miniserie Hard of Cell dove Catherine Tate ha deciso di misurarsi in una prova complessa indossando i panni di sei personaggi diversi. Un esperimento che in realtà non ha sortito gli effetti sperati, non garantendole il successo e la considerazione alla quale l’attrice britannica ambiva.
Ci vorrà ancora del tempo per capire se anche il mix di satira e commedia demenziale di Myers farà la stessa fine o, al contrario, godrà di un successo atteso per oltre un decennio.
Di cosa parla il Pentavirato
Il Pentavirato è un’organizzazione segreta che è stata fondata nel lontano 1347 quando cinque uomini eruditi capirono che la causa della peste bubbonica risiedeva nelle pulci dei topi e non in una improbabile punizione divina. Un’ostentazione di coraggio che costò loro l’etichetta di eretici. Nacque quindi la società segreta Il Pentavirato, da sempre composta da persone gentili dedite alle cause del prossimo, con l’obiettivo di salvare il mondo dalle crisi che puntualmente lo colpiscono (il Millennium Bug, il riscaldamento globale e via discorrendo).
Dotati di tecnologie avanzatissime ai limiti della fantascienza, i cinque membri del Pentavirato dovranno risolvere ribellioni, misteriosi omicidi e fratture interne; una lotta intestina metterà infatti a repentaglio secoli di pace all’interno della società segreta.
Un anziano giornalista canadese ormai prossimo alla pensione, anzi a dire la verità, silurato dal network per cui lavora si incaricherà di smascherare i segreti dell’organizzazione misteriosa riuscendo a infiltrarsi nel cuore del Pentavirato.
Una trama apparentemente semplice e banale ma che in realtà nasconde dei significati profondissimi che impariamo a conoscere nella seconda parte della miniserie.
Mike Myers supera sé stesso interpretando addirittura otto personaggi, cinque dei quali, i membri del Pentavirato: l’aristocratico inglese Lord Lordington (probabilmente il più riuscito), l’oligarca russo Mishu Ivanov, l’agente di artisti rock Shep Gordon, il re dei media australiano Bruce Baldwin e il nerd esperto in informatica Jason Eccleston.
Il resto dei personaggi interpretati da Myers prevede il giornalista Ken Scarborough e due complottisti.
Ed è proprio la tematica delle cospirazioni a essere particolarmente colpita dal comico canadese.
La terribile deriva presa da internet infestato da teorie complottiste e fake news, agevolata dalla miopia dell’essere umano poco stimolato a certificare l’attendibilità delle fonti preferendo l’immediatezza delle cose, è il principale obiettivo satirico dello show di Mike Myers.
Che non si ferma certamente qui.
Tutto il mondo dei social media viene attaccato, soprattutto in riferimento alla disinvoltura con cui le persone acconsentono a sdoganare i propri dati sensibili non curanti di trasferire nelle mani di pochi in pratica l’intera propria esistenza.
Myers sfoggia quindi tutta la sua abilità nel confezionare un simpaticissimo prodotto satirico gestendolo però come un irriverente show televisivo pieno zeppo di trivialità e allusioni sessuali. Forse troppe!
La prima parte della serie, quella più demenziale, è una continua offesa per le orecchie più sensibili; volgarità, imprecazioni, doppi sensi a sfondo sessuale. Insomma, il solito Mike Myers che ha costruito un’intera carriera sulla comicità sfrontata ed eccessiva.
L’occhio più attento si accorge però che le continue e dilaganti oscenità proposte non sono altro che delle palesi provocazioni al perbenismo circostante.
Una strategia adottata da Myers che scherza persino a riguardo rivolgendosi direttamente al pubblico di Netflix abbattendo la quarta parete.
Una volgarità grottesca, estenuante, gratuita, ma di sicuro voluta e ben studiata, sulla stessa scia, per fare un esempio, del sangue splatter nei film di Tarantino.
La cecità dell’essere umano (che proprio su Netflix viene egregiamente ironizzata col recente Don’t look up) non è l’unica vittima di Mike Myers.
I comici da sempre sono giullari che impallinano i poteri forti rivelandone debolezze e denunciandone le malefatte.
La sete inarrestabile di potere viene messa alla berlina nel Pentavirato, capace di ironizzare persino su Putin nel difficile momento che il mondo sta attraversando.
Il finale tuttavia nasconde un briciolo di rammarico e rassegnazione quando scopriamo che il villain della miniserie è ancora vivo e vegeto e soprattutto pronto ad affondare un secondo colpo prendendosi la sua rivincita.
Insomma una feroce critica allo spietato capitalismo che riesce sempre a rinascere, come una fenice, dalle proprie ceneri nonostante le costanti crisi che lo accompagnano da sempre in un eterno circolo di soldi, corruzione e potere.
Il Pentavirato è uno show visionario
Nonostante un inizio singhiozzante in cui l’eccessiva demenzialità delle serie rischiava di far desistere gran parte degli spettatori (Bigfoot che defeca nei corridoi, giochi di parole da quinta elementare, ecc.) Il Pentavirato si riprende alla grande dalla quarta puntata in poi risultando persino curioso, avvincente oltre che estremamente divertente.
Il ritorno di Mike Myers risulta quindi graditissimo.
Dopo tanti anni vissuti nell’ombra, lo scetticismo poteva essere comprensibile. Una miniserie tutta sua, con la solita gag della plurima interpretazione trita e ritrita? Cose già viste, dai, non scherziamo! Ormai è una comicità superata, è fuori tempo massimo, perché non riesce a evolversi? Chi glielo ha fatto fare?
Tutte domande lecite, eppure, Myers risponde con uno show nuovo, fresco, capace persino di far riflettere.
Una rivincita su tutti coloro che avevano osato dubitare di lui.
Il Pentavirato dimostra che Mike Myers è ancora il vero Mike Myers? La risposta è un sonoro e squillante si.
Anzi, l’attore canadese riesce ad andare anche oltre il suo stesso background fatto di maschere indossate e voci storpiate. L’ecletticità di Myers infatti non corrisponde soltanto alle battute, beceri o brillanti che siano; né tantomeno ai continui e piacevoli riferimenti cinematografici e televisivi come quelli a Kill Bill, Eyes Wide Shut, 2001 Odissea nello spazio, ecc. o quelli più spassosi, i metariferimenti come quelli dedicati a Stranger Things (a proposito Stranger Things – La recensione della prima parte della quarta stagione) ; l’ex protagonista di Austin Powers travalica la mera comicità al servizio di una satira caustica e inaspettata.
Fornendo al pubblico importanti spunti di riflessione su alcune delle tematiche più contemporanee degli ultimi tempi, Mike Myers compie così un notevole upgrade in carriera.
Uno degli artisti più amati della sua generazione arricchisce dunque di un altro prezioso tassello il proprio excursus professionale con un prodotto delirante, farsesco e finemente umoristico, come il suo creatore.
Resta solo il rammarico di averlo dovuto aspettare così a lungo (ma ne è valsa la pena) sperando di non dover attendere ulteriori venti anni per rivederlo calcare le scene, siano esse cinematografiche o televisive.