Eccoci con un nuovo appuntamento di ‘Indovina la serie’, il nostro format che mette alla prova il vostro intuito e la vostra conoscenza seriale, con una recensione priva di nomi e soprannomi.
Come vedremo, la serie di cui stiamo parlando fa parte di quella categoria di show che, nonostante sulla carta sembrino avere tutte le caratteristiche necessarie per un buon successo, faticano a decollare. Questo è un dato certo almeno per la sua prima ed unica stagione: fin ad ora questa comedy non è figurata né tra i candidati agli Emmy né in classifiche di qualità.
La serie in questione è composta da 6 episodi brevi ed è stata distribuita da Netflix nel 2021. Nasce originariamente come lo spin-off di una particolare puntata di una serie antologica australiana, e infatti la sua intera ambientazione si colloca nella città di Melbourne, nel sud dell’Australia. I tre protagonisti ventenni, già amici fra di loro, si trovano a condividere un appartamento mentre sono alle prese con i primi lavori precari e con la ricerca di un’identità politica. Si tratta di due ragazze e un ragazzo destinati a scoprire che fare la cosa giusta non è così semplice come sembra e che il politicamente corretto è un coltello a doppio taglio da maneggiare con cura.
Questo carattere di costante imperfezione è stato oggetto di dibattito tra gli spettatori, che in parte l’hanno trovato al limite del fastidioso e in parte l’hanno apprezzato come una peculiarità della serie.
Una delle protagoniste ,*****, è interpretata da un’attrice che è stata anche co-creator, e che ha contribuito a dare allo show uno stile visivo molto eccentrico e alla moda: in ogni scena non mancano colori vividi e abbigliamento anni ’70 rispolverato per essere al passo con la fissa contemporanea del vintage. La stessa casa dei sobborghi di Melbourne è costellata di oggettistica kitsch super desiderabile e al contempo facilmente reperibile in catene commerciali. Tuttavia, come anticipato, questa atmosfera disegnata appositamente per risultare subito attraente agli occhi del teenager medio non è bastata a compensare una trama che ha lasciato un bel po’ di dubbi. Forse doveva essere il suo punto di forza, quello di trattare di tematiche contemporanee rinunciando all’idillio della perfezione, ma i suoi protagonisti non sembrano azzeccarne una giusta. Volutamente? Forse. Non c’è un vero sviluppo dei personaggi, c’è solo una colorata osservazione dei loro eccessi, delle loro cattive idee e dei tentativi – spesso fallimentari – di rimediare.
È sicuramente una serie molto leggera, che forse vuole immergere anche noi nella mediocrità del quotidiano, con i suoi tanti piccoli incidenti, che gli danno sapore ma non lo rendono eclatante.
Per citare il molto più celebre finale di Bojack Horseman potremmo riassumere lo spirito di queste vicende con un rassicurante: “qualche volta la vita fa schifo ma continui a vivere”.
Ovviamente non mancano momenti comici e al limite del grottesco, che generalmente consistono nell’uscita del personaggio dello stereotipo che dovrebbe incarnare. Un esempio? Riuscire a diventare una giovane drag queen non è per forza soddisfacente, eccitante, brillante, perché la paga fa schifo, sui tacchi si scivola e devi comunque essere molto bravo a ballare. O ancora, un musulmano praticante può andarne fiero, e se usa consapevolmente la propria fede per ottenere un trattamento di favore può essere provocatorio, ma il troppo stroppia e nulla garantisce che il pubblico sia indulgente e lo prenda in simpatia.
Alla fine, forse tutta questa confusione c’era da aspettarsela, da subito il titolo pone una domanda senza punto interrogativo allo spettatore ed è la stessa che viene spontaneo porre ai tre personaggi una volta ultimata la visione di questa singolare comedy.
1…2…3….A voi la parola!