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Dovevamo dare più fiducia a Inside Job

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Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Inside Job

Se è vero che c’è una generazione legata indissolubilmente ai cartoni animati diretti e spietati, come I Simpson e Futurama ma anche I Griffin e American Dad, è vero anche che quella stessa generazione è talmente abituata a quel tipo di animazione che non può farne a meno, nemmeno quando i sopracitati smettono di entusiasmare. Inside Job viene in loro soccorso: è una serie tv animata e, se così vogliamo definirla, progressista. Segue, infatti, quel filone di cartoni in grado di anticipare i suoi tempi, come facevano i suoi antesignani cui tanto si ispira il suo pubblico e la serie stessa. Ma Inside Job non è solo figlia dei Simpson (cui forse è più nipote che figlia) ma anche e soprattutto di una narrazione nuova, più fresca e più delineata negli anni in cui sorge: i suoi riferimenti sono sicuramente Rick e Morty e Final Space, Gravity Falls e American Dad. E si vede: il tema della scienza, del progresso tecnologico e della razionalizzazione del mondo è centrale in tutti i suoi antenati, come anche in Inside Job. Ma nonostante le sue ispirazioni, Inside Job riesce ad essere originale e unica nella sua narrazione, portata avanti con sagacia e sfrontatezza, ironia e intelligenza.

Reagan è una scienziata che fa parte della Cognito Inc., nome geniale della società segreta che controlla il mondo intero, compreso il presidente degli Stati Uniti. Insieme a lei, un gruppo di strampalati genialoidi, ognuno col suo compito, ognuno con la sua stranezza, ognuno con la sua peculiarità. Il padre di Reagan è l’ex capo dell’agenzia, è finito in malora ed è diventato un complottista, almeno all’inizio poi diventa un semplice uomo fuori di testa che farà di tutto per riconquistare la moglie. Inside Job fa del complotto un tema centrale e lo fa in maniera intelligente: la narrazione del complotto viene utilizzata come elemento ironico, e per questo in modo molto ritmato, e non rischia mai di diventare ripetitiva e noiosa. Inside Job racconta, con molta semplicità, l’altra faccia del mondo intero, il rovescio della medaglia della realtà che conosciamo. In un panorama televisivo che spesso fatica a fare un certo tipo di satira, Inside Job diventa un fiore all’occhiello della serialità televisiva e delle serie animate. La storia individuale di Reagan si sposa con il racconto corale di tutto il gruppo e quando le due cose collidono, la narrazione diventa più che intensa, arrivando a creare un ritmo perfetto. Con il tema del complotto come filo conduttore, ogni personaggio riesce a venir fuori in maniera unica e originale, chiara e coerente con il resto del racconto.

Inside Job, ahi noi, si è conclusa con la seconda stagione, dopo l’annuncio di una chiusura da parte di Netflix nel gennaio del 2023. E si può dire, senza alcuna remora, che non lo meritava affatto. E non solo perché la serie animata era coinvolgente e originale ma soprattutto per il suo piglio unico nel suo genere, che la distingueva anche da quelli che sono stati definiti i suoi padri. Perché è vero che trae la sfrontatezza da Rick e Morty, ma è capace di inserirla in un contesto del tutto diverso e con un messaggio molto più diretto e allineato sul sociale; è vero che si ispira ad American Dad nella sua narrazione politica, ma è in grado di raccontarla in modo parallelo, andando oltre la semplice apparenza; è vero che ha dei momenti di dolcezza che possono ricordare Final Space, ma sa coniugarli perfettamente in una cornice di cinismo e ironia tagliente. Insomma, Netflix avrebbe dovuto dare un’altra possibilità ad Inside Job, una serie fin troppo sottovalutata e forse poco compresa. I suoi, in fondo, sono temi complessi e alcune volte non è subito palese il riferimento che si sta portando avanti. Eppure, il bello delle serie animate satiriche è sempre stato questo.

Inside Job

Inside Job non ha avuto la possibilità di esplodere nel suo potenziale, laddove le premesse, invece, erano molto più che buone e avevano già convinto buona parte del pubblico, soprattutto a livello narrativo e di linguaggio. Forse oscurata dai suoi stessi idoli, Inside Job non ha avuto modo di far vedere a tutti quella unicità che porta avanti sin dalla prima puntata e che la rende più che godibile, più che solo carina. A differenza di molte altre serie animate sul tema, Inside Job utilizza la narrazione scientifica come un semplice espediente per coinvolgere e appassionare, ma spesso ci fa dimenticare che ciò che stiamo guardando non possa essere plausibile. Perché lo è, parecchio. E la bellezza di Inside Job, la bellezza del suo potenziale sprecato, sta proprio nel farci rendere conto che la demenzialità di quello che succede è riconducibile al sottile equilibrio tra realtà e fantasia. Si potrebbe quasi definire una serie distopica. Reagan e i suoi vivono nella nostra realtà, non abitano un futuro lontano da noi. Abitano la Terra, solo che è una Terra leggermente diversa, fatta di oscurazioni e di complotti. Niente che non possa esistere anche sulla nostra, di Terra. O che non esista già.

Chissà cosa ci avrebbe potuto mostrare ancora, tutti quei riferimenti alla cultura di massa, tutte quelle battute taglienti sulla politica statunitense o suoi complotti che animano parte della popolazione mondiale. Inside Job ha sempre fatto un lavoro egregio sulla satira e sugli uomini, nello specifico; ha sempre dimostrato di saper essere autoironica ma anche dissacrante nei confronti dei suoi stessi spettatori. E la narrazione individuale di Reagan unita a quella corale del suo gruppo ha sempre aiutato lo scopo finale: far passare il messaggio in modo chiaro ma soprattutto ironico che l’uomo è imperfetto e che certe volte fa davvero pena, ma in fondo è solo l’uomo, se solo si potesse controllare sarebbe davvero tutto migliore? La squadra di Reagan ha tante sfaccettature che portano ad una sola missione, quella di controllare il mondo nel modo più facile ed egoistico che esista. Se Brett rappresenta l’ingenuità ma anche l’umanità più pura, Gigi è sfrenata, egoriferita e favolosa. Se Andre ha come scopo della vita quello di essere il più alterato possibile per non rendersi conto di cosa gli accade intorno, Glenn è rigido e ha la smania del comando, del potere mancato. E poi c’è Myc, che fa capo a se stesso e basta e che sarebbe davvero offensivo anche solo provare a descriverlo.

Inside Job

Inside Job è un piccolo gioiello nel catalogo di Netflix, cui è stato dato troppo poco spazio di manovra. Forse saturi di prodotti simili, ci siamo lasciati andare a facili paragoni senza soffermarci a vedere la vera identità di Inside Job, ciò che lo rende unico ma soprattutto esclusivo. Troppo presi dalla smania di trovare i suoi predecessori, non abbiamo capito il potenziale di Inside Job che aveva tutte le carte in tavola per stupire e salire di diritto sul carro dei vincenti. Ha sicuramente dei riferimenti potenti, che non passano inosservati e che non fanno altro che presentarcelo nel migliore dei modi; ma bisogna andare oltre tutto ciò, bisogna mantenere il legame col passato senza giudicare il presente. Bisogna, insomma, recuperare Inside Job anche se crediamo che sia troppo simile a Rick e Morty. Perché non è così, Inside Job prende il meglio da ognuno dei suoi padri e madri e ne trae un grande insegnamento, che delinea anche attraverso la sua stessa trama: ci sono sempre due facce della stessa medaglia, c’è sempre qualcosa sotto pronto a stupirci, da qualche parte c’è sempre un risvolto che non siamo pronti a conoscere. Eppure, bisogna lanciarsi e giocare con quel sottile equilibrio che esiste tra realtà e finzione, proprio come fa Inside Job.