Inside Man è una delle ultime miniserie di Netflix che farà senz’altro parlare di sé, non soltanto per un cast decisamente importante, che vede tra i protagonisti assoluti un fenomenale Stanley Tucci e un altrettanto sorprendente David Tennant, ma anche e soprattutto per il modo in cui l’intricata trama è in grado di confondere e ribaltare completamente l’opinione del pubblico in corso d’opera, andando ad esprimere in modo impeccabile l’ineluttabilità del fato, e quanto il suo ruolo sia decisivo sull’espressione della sottilissima linea che divide bene e male, uno dei temi più trattati che trova una spiegazione trascendentale in questa miniserie di quattro episodi.
Inside Man: una verità nuda e cruda
Inside Man è la metafora della sottilissima differenza che c’è tra bene e male, del ruolo del fato all’interno della vita di ognuno e di come questo possa trasformare perfino i più buoni, spinti dall’istinto di sopravvivenza, nelle persone più inaspettatamente malefiche che ci siano, disposte a tutto, accecate dalla paura. Questo complesso discorso si distribuisce su tutto il cast, composto per la maggiore da personaggi che si trovano costretti ad affrontare una situazione tanto paradossale quanto complicata e assurda. La trama si sviluppa su due fronti che finiscono inevitabilmente per convergere: da una parte la clamorosa vicenda che vede un prete di una tranquilla periferia inglese, Harry, trovarsi di fronte all’oblio per colpa di nessuno, se non della sua trasparente purezza d’animo e di quel fato, così ingannevole e meschino. Harry è casto e buono, per davvero, e pur di difendere i più deboli si ritrova in una situazione scomoda che mette in pericolo la sua vita e, soprattutto, quella dei suoi cari, di suo figlio Ben. Ed è qui che emerge l’istinto di sopravvivenza, il sentimento più umano di tutti che, paradossalmente, è anche quello che più lega l’uomo all’animale. D’altra parte incontriamo l’ennesimo esempio che Netflix ci propone di fascinazione del male, con un killer spietato e geniale, misterioso ed estremamente attraente, Grieff, un ex luminare di criminologia finito in carcere per aver commesso un orribile omicidio, di cui sappiamo poco e niente, ma forse è meglio così. Grieff si trova nel braccio della morte, ad attendere la sua inesorabile fine, talaltro per sua stessa richiesta, ma nel frattempo, mosso da una sorta di spirito di redenzione, presta le sue capacità investigative a chiunque abbia bisogno di trovare una persona scomparsa o di risolvere un caso di omicidio o simili, quasi per gioco, riuscendo ad aiutare chi ne ha bisogno da dietro le sbarre, sempre in poche semplici mosse.
C’è del marcio in ognuno di noi
Il focus di Inside Man non è un tema innovativo, anzi, ma il modo in cui viene trattato è sicuramente interessante e in grado di far ragionare su quanto effettivamente l’uomo sia condizionabile dalle circostanze e dal fattore dell’improbabilità. Anche il più puro e genuino degli esseri umani, che in questo caso trova la sua personificazione in Harry, un giovane predicatore e padre di famiglia dai sanissimi principi, una volta posto di fronte al più insormontabile e catastrofico degli eventi, è costretto a sopprimere il proprio senso morale pur di sopravvivere al peggiore degli scenari. Harry, come ognuno farebbe, individua il pericolo e lo analizza nell’immediato, percependo da subito di avere le spalle al muro e di essere costretto a smantellare se stesso, pezzo dopo pezzo, pur di proteggere la vita dei propri cari e di ridurre al minimo il danno. E’ una sorta di inno alla negazione del karma, quella materia chiaroscura ed indecifrabile alla quale spesso ci si appella più per speranza che per reale fiducia, ma che viene totalmente sfatata in Inside Man, che si pone l’obiettivo di dimostrare come la vita sia cieca quanto il destino, unico motore del tutto, anche contro ogni tipo di fede o di presupposto ideologico e morale, che nulla può di fronte al primitivo senso di attaccamento alla stessa vita, preziosa ed irrinunciabile.
Inside Man indaga sulla reale diversità che c’è tra bene e male
Ma se la tesi è quella di un uomo buono posto di fronte a una dolorosa scelta obbligata, l’antitesi è rappresentata da un personaggio che ci viene presentato come il male assoluto, Grieff, ma che pian piano si rivela essere l’unico razionale che riesce a fare della sua esperienza, per quanto orribile e drammatica, il punto di svolta della propria vita. Il condannato a morte è infatti l’unico che dimostra di aver capito le regole del gioco, proponendosi come esempio e punto di riferimento nel guidare gli altri alla comprensione e alla ragione. E nonostante sia il più facilmente disprezzabile, resta anche l’unico integerrimo e capace di non scalfire i propri ideali, andando incontro al destino e abbracciando senza rimorso le conseguenze dei propri errori e delle proprie ragioni. Il finale aperto di Inside Man fa presumere che la storia di questa miniserie sia ancora tutta da scrivere e che probabilmente tutto ciò a cui abbiamo assistito fino ad ora sia in realtà l’esatto contrario di ciò che ci aspettiamo, perché laddove c’è del marcio in qualsiasi forma di vita pura e casta, c’è dell’inspiegabile razionalità in quelle che invece sono le più esplicite rappresentazioni del male, vuoi per esperienza o per assenza di rimorso, fatto sta che Inside Man rende davvero complicato prendere le parti di qualcuno senza conoscerne la vera storia o, quanto meno, le motivazioni. E’ tutto un gioco di apparenza, come la vita stessa, in cui l’umano errore non è contemplabile e il minimo passo falso, per quanto inaspettato e paradossale, porta l’essere umano a costruire la propria armatura e a sfidare a tu per tu un nemico pericoloso come il fato, che prima di tutto andrebbe compreso e accettato.