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Intimidad sensibilizza il pubblico senza essere didascalica

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Attenzione: l’articolo può contenere spoiler sulla miniserie Intimidad.

Ci sono molte tematiche delicate e di estrema importanza che meritano di essere affrontate e portate sullo schermo attraverso serie e miniserie: il racconto episodico ben si presta a mescolare materia narrativa e messaggi fondamentali per coinvolgere lo spettatore e sensibilizzarlo su determinate questioni. Il grande rischio che si corre, tuttavia, è quello di imbattersi in produzioni pedanti, in cui gli autori salgono in cattedra e cercano di impartire lezioni, di puntare il dito su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, facendo assumere al progetto più le sembianze di una lezione che quelle di una serie tv. Senza contare che, così facendo, si può incappare anche nella banalizzazione dell’argomento. Sono rischi che Intimidad, la recente miniserie spagnola di Netflix con Itziar Ituño (nota al pubblico come la Raquel Murillo de La Casa di Carta) schiva abilmente, riuscendo nell’impresa di toccare le corde dell’animo del pubblico senza essere per nulla didascalica.

Intimidad affronta il tema della violazione della privacy e della sfera intima della persona in modo onesto e sincero, senza edulcorare nulla. E senza giudicare.

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La scelta chiave di Intimidad, infatti, non è quella di insegnare o sparare giudizi, bensì quella di mostrare. E lo fa in un modo talmente schietto da risultare quasi un pugno nello stomaco. Fin dalla primissima scena, la serie pone lo spettatore davanti alla conseguenza peggiore, a quella linea che, una volta oltrepassata, diventa eterna: la morte. Ane Uribe, una delle due protagoniste della narrazione, sta vivendo gli ultimi secondi della propria vita, dopo aver preso la decisione di lasciare per sempre il mondo terreno. La causa? Alcune sue foto intime sono state diffuse tra i colleghi della ditta per la quale lavorava. La donna decide di lasciarsi annegare, per mettere fine alle voci, alla paura di essere non solo vittima ma anche colpevole, alla vergogna, all’impossibilità di ripartire da zero.

A raccontarci ciò che accade è proprio la voce della stessa Ane, che ci accompagnerà poi per tutti gli 8 episodi da circa un’ora di cui si compone la miniserie, come narratore esterno che prende la parola in alcuni momenti cruciali, commentando le azioni degli altri personaggi. Perché Ane è stata costretta ad andarsene, ma in un certo senso è ancora lì. La mancanza di giustizia le impedisce di andarsene del tutto.

Il suicidio di Ane, posto in apertura della miniserie, avverte lo spettatore della complessità e delicatezza della materia trattata. Ma la cosa più importante, è che questo suicidio non verrà mai giudicato. Intimidad non cercherà mai di dire se la scelta di Ane sia stata legittima o meno, ma presenterà il fatto accaduto come una delle diverse possibilità di reazione alla problematica della violazione della privacy. Come a dire: guardate, può succedere anche questo. Perfino questo. Attenzione.

Un’altra strada possibile è quella presa da Malen Zubiri.

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La storia di Ane Uribe si intreccia con quella di un’altra donna che è stata vittima di un fatto molto simile: Malen Zubiri, avvocatessa e candidato sindaco, finisce nell’occhio del ciclone quando un video intimo girato senza il suo consenso e a sua insaputa viene diffuso in rete. Tramite il personaggio interpretato da Itziar Ituño, ci viene mostrata un’altra strada. Una strada che non è migliore o peggiore, non è più giusta o più sbagliata, non è più facile o difficile, è semplicemente un’altra strada.

La donna, infatti, decide di portare avanti la sua candidatura a testa alta, senza nascondersi o ritirarsi. Non è una scelta presa a cuor leggero, soprattutto perché la diffusione di quel video ha delle conseguenze anche sulla famiglia di Malen, composta da suo marito Alfredo e sua figlia Leire. Il primo, smetterà di frequentare le lezioni del coro di cui fa parte: per la vergogna e per gli sbeffeggi subiti da altre persone, non avrà il coraggio di partecipare a quell’attività che prima faceva parte della sua quotidianità. Il suo matrimonio non è più privato, ma è diventato di dominio pubblico. La diffusione del video di sua moglie ha impedito a entrambi di affrontare la questione tra loro, con i tempi e le modalità che avrebbero reputato migliori. E Leire è a sua volta presa in giro e allontanata dai compagni, trovandosi in un isolamento ancor più amplificato dal bisogno di socializzare degli adolescenti.

Il quadro proposto da Intimidad, non si concentra solo su vittime e colpevoli, ma anche su tutte quelle persone che gravitano intorno, non meno colpite dai fatti: questo restituisce un grande realismo, mostrando la coralità della situazione. Tante vite vengono toccate, scosse, rovinate quando l’intimità di una persona viene violata: è proprio su questa prospettiva che la serie fa leva per sensibilizzare il pubblico.

In particolare, questo è evidente nella storyline di Bego.

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Begoña Uribe, detta Bego, è la sorella di Ane. Inizialmente non sa per quale motivo Ane si sia tolta la vita – la sorella, proprio per la vergogna, una vergogna frutto dello stereotipo che la società ha costruito a tavolino, non se l’è mai sentita di confidarsi con lei. Quando il motivo verrà a galla, Bego dovrà fare i conti con esso e non sarà per niente facile. La donna partirà metaforicamente per un viaggio alla ricerca della verità – rivolgendosi tra altri anche a Malen – e mostrerà quanto è difficile raggiungere la giustizia in casi del genere. Si scontrerà contro l’omissione e l’indifferenza dei colleghi di lavoro di Ane, gente che non si è mai resa conto della gravità delle proprie azioni. Le foto private, infatti, erano state diffuse e commentate con una grandissima leggerezza e superficialità. E anche quando la tragedia è avvenuta, nessuno si è preoccupato più di tanto.

Ma qual è il confine tra vittima e colpevole? La stessa persona può essere entrambe le cose?

Entrambe le donne, Ane e Malen, si sentono in colpa per l’accaduto. La prima si toglie la vita proprio per questo, mentre la seconda esita e ritarda il momento di sporgere denuncia perché una parte di lei le fa pensare di meritarsi tutto questo. La percezione della colpevolezza da parte della vittima è un altro tassello della questione che viene trattato con estrema delicatezza e senza giudicare. Ma Intimidad affronta anche una possibilità ulteriore, quella della vittima che davvero diventa carnefice.

Succede che Leire, la figlia di Malen, viene a sua volta violata della propria intimità con la diffusione di un video privato. Dopo uno scontro verbale con l’ex, tuttavia, la ragazza passa alla violenza fisica compiendo un pestaggio dei confronti del ragazzo: due tipi di violenza diversa, ma di uguale gravità. Può dunque succedere anche questo, la reazione della vittima può portarla a diventare colpevole di un altro genere di male. Non trattandosi della prima volta (Leire aveva in passato alzato le mani su sua madre), la ragazza si rivolgerà a una psicologa per intraprendere un percorso di riabilitazione. Anche il tema della salute mentale diventa rilevante in Intimidad e viene affrontato con lo stesso metro degli altri, senza lezioni da impartire o verità assolute da trasmettere: da sottolineare è che Ane stessa si era rivolta a una psicologa, la stessa da cui andrà Leire, ma il suo malessere era troppo grande e l’ha portata comunque al suicidio. Ogni situazione può avere risvolti diversi a seconda delle diverse persone coinvolte.

La miniserie spagnola riesce dunque a sottrarsi dall’onere di dare un giudizio, puntando sull’ampio ventaglio di possibilità e conseguenze che può scaturire dalla violazione della privacy, mostrando tutti i modi in cui questa violenza possa avere ripercussioni sulle vittime e le diverse percezioni che le vittime stesse possono avere.

E forse è proprio il finale a sferrare l’ultimo grande pugno allo stomaco, a sensibilizzare maggiormente lo spettatore.

Nell’ultima scena, Malen sta festeggiando la vittoria alle elezioni e tutto sembra andare bene: la sua famiglia è unita, suo marito le sta accanto nonostante il tradimento, il colpevole è stato individuato e tutti festeggiano. Eppure, Malen sente che c’è qualcosa che non torna. La gente attorno a lei cerca di tranquillizzarla e lei abbozza un sorriso. Poi, l’inquadratura si sposta verso le locandine elettorali su cui campeggia la sua faccia. Una di esse ha la carta spiegazzata e restituisce un’immagine distorta della donna. L’ultimo fotogramma è quello della Malen in carne e ossa, incerta e sofferente. Anche lei, come una locandina usurata, non riuscirà mai a tornare quella di un tempo.

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