Nel cinema, come nella vita vera, il confine tra verità e menzogna è spesso fin troppo sottile. Soprattutto quando ci capita di leggere sullo schermo le tanto temute parole “ispirato ad una storia vera”. Questo perché sappiamo bene quanto la parzialità e l’interpretazione giochino un ruolo fondamentale nel raccontare una storia. A maggior ragione se si tratta di una vicenda quantomeno controversa come quella di Anna Sorokin, l’abile truffatrice di New York. Ormai dovremmo essere avvezzi alle trovate di Shonda Rhimes, la quale non si è mai fatta scrupoli nel giocare con i sentimenti degli spettatori al fine di costruire un racconto che li tenga incollati allo schermo. E ci riesce anche questa volta, seppur con qualche pecca: con l’uscita di Inventing Anna, sbarcata su Netflix nel 2022 e acclamata dal pubblico, ci troviamo davanti ad una storia che ha dell’incredibile pur essendo tremendamente realistica. Oggi però non siamo qui per giudicare la buona riuscita del prodotto, quanto per porci una semplice domanda: cosa cerca di dirci la serie? In poche parole: dalla parte di chi sta Inventing Anna? Cerchiamo di capirlo.
Partiamo con qualche informazione di base. Con “solo” nove puntate, la serie ci lancia nel mondo dell’alta società di New York e ci racconta la storia di Anna Sorokin (in arte Anna Delvey), truffatrice russa che fingendosi un’ereditiera tedesca riuscì a sottrarre consistenti somme di denaro a hotel, banche e altre istituzioni prima di essere smascherata, arrestata, processata e successivamente incarcerata. Prendendo spunto dall’articolo del New York Times “How Anna Delvey Tricked New York’s Party People” , alla figura di Anna (interpretata da un’incredibile Julie Garner) viene affiancata quella di Vivian Kent, una giornalista combattiva e intraprendente che tenta di andare a fondo ad una storia che ha dell’inquietante. Tutto questo partendo da una semplice domanda: chi è e cosa ha fatto Anna Delvey?
Ad ogni angolo, come spesso accade nelle serie figlie della mente di Shonda Rhimes, si respira quell’aria da soap opera, e Inventing Anna non è da meno: intrighi, denaro, sesso, viaggi lussuosi, vestiti firmati, sfilate di moda. Tutto sembra ricoperto da una patina lussureggiante di ricchezza e autocompiacimento. Almeno finché, stringendo gli occhi, non si scorge cosa c’è sotto la maschera. La serie sembra apparentemente prendere le distanze da qualsiasi responsabilità nei confronti della storia fin dall’inizio: infatti, come viene precisato all’inizio di ogni episodio, “questa storia è completamente vera tranne per tutte le parti che sono totalmente inventate”. Così facendo, la serie non solo si diverta a giocare con noi spettatori dall’inizio alla fine, ma ci chiede (inconsapevolmente o meno) un impegno non da poco: capire dove sta la verità e dove l’ingegno dell’invenzione. Trattandosi di un compito impossibile, ci si ritrova fregati. Non potendo sapere in alcun modo con totale sicurezza cosa è davvero successo in quegli anni siamo costretti a seguire la storia continuando a chiederci quando, dove, e in cosa Inventing Anna ci stia prendendo in giro.
Su alcune cose possiamo essere sicuri. Sappiamo che Anna Sorokin riuscì (in un modo che la serie stessa fa fatica a spiegare da quanto sembra impossibile) a fregare l’elitè di New York per centinaia di migliaia di dollari. Sappiamo che quasi nessuno se ne accorse e che i segnali vennero captati quando ormai era troppo tardi, e Anna ebbe raggiunto almeno in parte la fama e il potere che tanto ambiva. Sappiamo che finì per essere arrestata con la complicità di quella che un tempo era una sua cara amica, Rachel DeLoache Williams. Ed è proprio nella figura di Rachel che si profila tutta quell’ambiguità che caratterizza la serie. La donna (quella vera) non solo ha pubblicato un libro dove racconta la sua storia (il cui titolo, “My Friend Anna“, fa accapponare la pelle) ma non si è mai trattenuta dal sostenere come la serie prodotta da Shonda Rhimes abbia portato più danni che benefici. Definendola una pericolosa distorsione della realtà, ha più volte affermato che il prodotto in sé rischia di portare lo spettatore ad empatizzare con la persona sbagliata.
Il problema è che non ha tutti i torti. Apparentemente, Inventing Anna sembra limitarsi a raccontare le vicende di una truffatrice in tutto e per tutto, approfondendo la sua storia e quella delle figure che le giravano intorno: in pratica, finisce per esaltarla.
Giocando tutto sull’ambiguità propria del racconto, la serie commette (volutamente) l’errore del non esporsi mai troppo. Non prendendo né le parti di Anna né quelle della verità fatta e finita, punta tutto sulla spettacolarizzazione.
Che tutto questo sia voluto o meno, l’effetto è tremendamente perfetto. Julie Garner, senza nemmeno sforzarsi troppo, ci porta in scena una donna decisamente complessa e spesso insopportabile: è difficile che si tifi per lei, eppure è protagonista di vicende tanto folli quanto interessanti. Vicende costruite per dimostrare quanto, sotto tutto il mistero, Anna Sorokin fosse una giovane donna intraprendente, sveglia e sicura di sé. Attenzione, però. Sotto la patina di ricchezza, stile ed eleganza Anna rimane una manipolatrice. Falsa, bugiarda, fumosa. Eppure ne siamo affascinati, forse perché così incomprensibile. Anche tutta la parte relativa al processo a suo carico appare tanto credibile quanto spettacolare, caratterizzata dalla sua ossessione per i vestiti con i quali si sarebbe presentata nell’aula di tribunale.
Insomma, si tratta di una storia quantomeno curiosa e a tratti pericolosa. D’altra parte, qualcuno ci ha guadagnato: Netflix ha fatto il botto e la truffatrice si è intascata trecentoventi mila dollari vendendo i diritti della sua storia alla piattaforma. Tirando le somme, Inventing Anna è riuscita nel suo obiettivo primario: far parlare di sé, nel bene e nel male. Una domanda sorge però spontanea: a che prezzo?