ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler sulla prima stagione di Inverso!!
Freschissima, ingarbugliata, cyberpunk: è Inverso – The Peripheral, la serie tv che si è appena presa la scena sci-fi nel catalogo di Amazon Prime Video. Con otto episodi – rilasciati dalla piattaforma a cadenza settimanale – lo show ha provato a portare sullo schermo, distaccandosene quanto basta, il romanzo di William Gibson, The Peripheral per l’appunto. Si tratta di una serie tv che si adatta ai canoni del genere e che osa molto in termini di spettacolarità e uso della tecnologia CGI. Come ampiamente sottolineato nella recensione alla prima stagione, Inverso – The Peripheral fa grande ricorso all’azione. Combattimenti a corpo libero, scontri in stile Matrix, inseguimenti folli, sparatorie e cecchini, acrobazie da videogame e tanto altro sorreggono l’impalcatura dello show, che ha una trama complessa e aggrovigliata, nella quale abbondano termini specifici e riferimenti alle nuovissime tecnologie. È una serie ambientata nel futuro, come tante. Ma il futuro reale si intreccia qui con quello virtuale, che rischia a sua volta di divenire reale. Un bel groviglio di linee temporali, insomma, che in questo contesto prendono il nome di frammenti. La grande forza di Inverso – The Peripheral è quella di trasportare lo spettatore nel mezzo di questo mondo fantastico in cui la tecnologia ha ormai preso il sopravvento sull’uomo e, allo stesso tempo, porre l’accento sulle difficoltà di un’America rurale che pure dinanzi alle grandi conquiste del progresso arranca e fatica ad arrivare alla fine del mese.
La spettacolarità di Inverso – The Peripheral la si legge anche nei contrasti.
Contrasti tra presente e futuro, tra reale e virtuale, tra videogiochi e vita vera, tra l’ambiente rustico abitato dai Fisher e l’organizzazione metodica della Londra che gestisce il potere. Sono contrapposizioni abbattute dalla protagonista e dalla sua squadra, viaggiatori di un mondo e dell’altro in cerca di risposte adeguate e di una via d’uscita dalla brutta deriva presa dal “gioco”.
Inverso ha la sua base letteraria, e che base. William Gibson è considerato un esponente di spicco del genere cyberpunk, una specie di istituzione per gli scrittori di libri di fantascienza. Gibson non si limita ad esplorare con la fantasia nuovi mondi futuristici, ma prova ad anticipare il futuro prossimo, ne tratteggia le derive, azzarda previsioni che non appaiono in fondo così distanti. La serie ha in questo autore la sua genesi, ma poi lo show prende una strada che è tutta sua. Il progetto fu sottoposto a Jonathan Nolan e Lisa Joy quando Westworld era ancora alla sua stagione d’esordio. I creatori dello show della HBO annunciarono nel 2018 l’inizio della lavorazione dell’adattamento televisivo di The Peripheral. L’anno dopo, trovarono l’accordo con Amazon e gli otto episodi di cui è composta la serie iniziarono ad essere girati. La sceneggiatura è stata affidata a Scott B. Smith, mentre gli episodi sono stati diretti da Alrick Riley e dal regista canadese Vincenzo Natali. Nolan e Joy sono passati poi alla produzione, lasciando a Smith il soggetto. Figurano tra i produttori esecutivi della serie, ma è chiaro che la loro impronta è ravvisabile in tutto il progetto. Tant’è che Inverso è stata definita da molti la nuova Westworld.
Invece, lo show di Amazon Prime Video non ha poi così tanto in comune con l’opera più celebre di Nolan e Joy.
E questo potrebbe non essere un male. Inverso va vista al contrario, non è una costola di Westworld e non aspira affatto ad esserlo. Tutta la riflessione filosofica presente nello show della HBO è assente nella serie di Amazon Prime. Qui il mondo disegnato dagli sceneggiatori non è un’oasi di evasione futuristica, ma potrebbe essere il mondo cui stiamo andando incontro. Il riferimento a William Gibson è chiaro, la sua narrazione fantascientifica ha una genesi diversa rispetto a quella che permea invece Westworld. È un realismo visionario, che riesce ad andare oltre l’apparente paradosso mostrandoci come il mondo potrebbe essere di qui a qualche decennio e fantasticando sui confini che la tecnologia potrebbe abbattere. Inverso si evolve dunque per conto proprio, rifiutando sin da subito l’accostamento a Westworld. Flynne Fisher è un’abile giocatrice di videogame, che testa le simulazioni al posto di suo fratello Burton, un reduce di guerra con installazioni aptiche impiantate nella carne. Flynne è stata ingaggiata da Aelita, un personaggio misterioso il cui nome rimbalza lungo tutto il corso degli otto episodi. L’enigmatica donna fa parte di una squadra di persone “del futuro” che hanno tolto il microchip dietro l’orecchio e che tramano per distruggere il Research Institute. L’intenzione di Aelita era quella di scaricare i dati dell’istituto nelle aptiche di Burton, solo che al posto del reduce di guerra si è connessa sin dall’inizio al gioco sua sorella che, essendo priva delle protesi aptiche, ha scaricato il materiale direttamente nel suo DNA.
Materiale che ha destato l’attenzione dei “cattivi” e che ha messo in serio pericolo l’incolumità di Flynne e della sua famiglia.
La trama poi si complica e si aggroviglia, diventando spesso confusionaria e poco sistematica. Inverso – The Peripheral va guardata con un taccuino per gli appunti a portata di mano, per non perdersi le fasi salienti dell’intreccio. Un intreccio che non viene sbrogliato nel finale e che al contrario si fa ancora più intricato con l’ultimo episodio, che spiana la strada alla seconda stagione. La coppia Nolan-Joy ha puntato su un progetto ambizioso ed economicamente dispendioso. Amazon Prime Video ha investito molto sulla serie, che ha richiesto risorse ingenti per trasformare in realtà l’universo raccontato nelle pagine del romanzo di William Gibson. The Peripheral sembra aver funzionato, almeno per il momento. Gli appassionati del genere saranno soddisfatti dal grande potenziale espresso dalla serie. Che, per come è strutturata, si rivolge anche a un pubblico non necessariamente avvezzo ai racconti sci-fi. Il segreto è guardarla all’inverso, non come un’appendice dell’universo creato da Nolan e Joy, ma come un prodotto a sé, con tutti i suoi limiti e i suoi pregi. A trarne beneficio saremo innanzitutto noi spettatori, liberi di goderci la visione senza per forza azzardare paragoni con modelli di riferimento.