Essere Jessica Jones, per Jessica, è un lavoro durissimo: non solo deve sempre avere a che fare con clienti discutibili, ma anche con se stessa, con i suoi traumi e le aspettative che gli altri si sono fatti su di lei. Se c’è una cosa che ho sempre adorato di Jessica Jones, è il fatto che il suo personaggio non è costituito unicamente da traumi: non agisce in funzione di essi e non si lascia schiacciare da nessuno. Sebbene abbia tutti i diritti di restare invischiata nella rete del suo terribile passato, Jessica (Krysten Ritter) riesce ad andare avanti, a crescere e imparare dai suoi errori. E in questa terza stagione riesce finalmente a capirsi.
Pensiamo bene a dove l’abbiamo lasciata. Nella prima stagione è stata in balia di Kilgrave (David Tennant), un uomo che ha abusato di lei e di chi la circondava, lasciandole profonde cicatrici sulla sua corazza di Bourbon e relazioni occasionali. Ma anche dopo averlo ucciso, Jessica non si è completamente liberata del suo fantasma, che torna a perseguitarla nella seconda stagione.
Lì entra in scena sua madre Alisa Jones (Janet McTeer), sopravvissuta all’incidente in macchina e risvegliatasi con poteri in tutto simili a quelli della figlia. Nonostante sia una pluriomicida molto instabile, Alisa tenta in tutti i modi di rimediare ai suoi errori come essere umano e come genitore. Instilla in Jessica le speranze di un futuro migliore per loro e le ricorda cosa deve fare un vero eroe: aiutare gli altri. Ma la sua morte per mano di Trish Walker (Rachael Taylor) getta Jessica di nuovo in una voragine di disperazione, da cui tenta lentamente di risalire cercando di fare quello che la madre le ha detto: essere migliore, diventare la supereroina che il mondo si merita.
Ma non è sempre facile, soprattutto per una come Jessica Jones.
Al fantasma di Kilgrave (un trauma che non l’abbandonerà mai) si aggiunge quello della madre e delle sue aspettative. Jessica cerca di essere degna delle parole della madre per non rendere vana la sua morte. E nonostante un continuo girare su sé stessa, riesce finalmente a trovare un equilibrio e fare la cosa giusta. Anche se questo vuol dire consegnare alla polizia la tua migliore amica per farle pagare i crimini commessi.
Dopo una prima stagione con il botto e una seconda che ha faticato molto a decollare, nella terza parte di Jessica Jones troviamo una modalità narrativa molto simile a quella della prima stagione. Lo spietato serial killer Gregory Salinger (noto nei fumetti come l’Insanicida e interpretato nella serie da Jeremy Bobb) ha lanciato una sfida a Jessica: dopo averla pugnalata, comincia a giocare d’astuzia con lei per smascherare tutti gli eroi e dimostrare che sono degli imbroglioni. Ci ritroviamo davanti un villain che tenta di eguagliare il primato portato avanti dal Kilgrave di David Tennant, ma i due personaggi (e i modi di interpretarli) sono profondamente diversi: se Kilgrave gioca di astuzia e manipolazione, mostrando anche un lato molto umano nella sua follia grazie alla profondità datagli da Tennant, Salinger invece è il classico sociopatico convinto dei suoi ideali e desideroso di rovinare la reputazione degli altri.
Ancora una volta Jessica è tornata a ricoprire il ruolo della vittima: cambia il serial killer, ma non la sensazione di impotenza provata ogni volta.
Jessica non vuole essere debole. Possiede i poteri necessari a fermare i malvagi, eppure tutte le volte cade nel ruolo della vittima: prima con Kilgrave e adesso di nuovo con Salinger. Odia ammettere di aver bisogno di aiuto perché significherebbe che non è capace di rispettare le aspettative di sua madre e della città. Il suo potere non può sempre salvarla. Anzi, spesso la fa cadere più facilmente nelle mani degli altri.
Quello che più mi è piaciuto in questa terza parte della storia è che Jessica stavolta non usa unicamente la forza bruta per compiere la sua missione. Riflette, pensa alla prossima mossa, studia l’obbiettivo e impara dai suoi sbagli, cercando di essere una versione migliore di se stessa. Ammette di avere bisogno di aiuto e per questo chiama Trish, che nel frattempo si è allenata per diventare la giustiziera mascherata (quella che nei fumetti è conosciuta come Hellcat). Rispetto alla seconda stagione, Jessica è maturata e appare molto più stabile rispetto al passato. Soprattutto quando, messa faccia a faccia con sé stessa da Salinger, capisce la sua natura eroica: la paura più grande di Jessica è che la sua famiglia sia morta invano e tutte le azioni nobili fatte finora non bastino per ripagare quel sacrificio.
Eppure questo basta. E Jessica lo dimostra consegnando Trish alla giustizia quando si accorge che l’amica si è spinta troppo oltre. Anche se questo vuol dire perdere una parte importante della sua famiglia. Di nuovo.
La nostra eroina è maturata, ha accettato il suo ruolo e quello che comporta. Sa cosa vuol dire essere un supereroe e non scapperà più da questo, anche se le ombre del suo passato non l’abbandoneranno mai.
Altro punto forte di Jessica Jones è la tridimensionalità dei personaggi secondari come Trish, Malcolm e Jeri Hogarth. La loro presenza non era solo di contorno, ma contribuiva a dare spessore alla storia, riempiva i punti oscuri e dava informazioni in più. Seguire le vicende di Hogarth attraverso le sue relazioni e il suo lavoro, vedere Trish alle prese con l’ossessione di diventare un’eroina e osservare Malcolm mentre tenta di uscire dal baratro della tossicodipendenza a cui lo aveva costretto Kilgrave: tutte queste vicende hanno reso ancora più interessante e completa questa serie, senza mai annoiare.
Purtroppo questo accade difficilmente nella terza stagione.
Se prima abbiamo sofferto molto la caduta nell’oscurità di molti personaggi (primi tra tutti, Jeri e Trish), in questa terza parte la loro autodistruttività assume dei contorni un po’ da soap opera. La serie tenta di girare intorno agli stessi meccanismi delle stagioni passate che portano questi personaggi a distruggersi a vicenda. Vediamo ad esempio Jeri (interpretata da Carrie-Anne Moss) che rovina la vita e la famiglia di Kith, una sua ex, solo per il desiderio egoistico di avere qualcuno con sé nel momento estremo della sua sofferenza. Malcolm (Eka Darville) ora lavora per Jeri come investigatore e questo lo porta a compiere azioni sempre più discutibili che mettono in discussione la sua idea di bravo ragazzo: il percorso di redenzione sarà ancora più difficile per lui.
Jessica ha anche un nuovo alleato, il truffatore Erik Gelden (Benjamin Walker) che possiede il potere di percepire le azioni malvagie di una persona. Un potere molto nebuloso e fastidioso per Erik (che è perseguitato da mal di testa costanti), ma si è rivelato spesso utile. Rappresenta un doppio di Jessica, un uomo solitario, cinico e perseguitato dal suo potere che non gli permette di avere una vita normale. Ma rischia più volte di diventare soltanto un’altra macchietta amorosa per permettere alla protagonista di avere un compagno durante questa nuova avventura.
Ma la vera protagonista della stagione (e in un certo senso, il vero cattivo) è Trish Walker.
Era stata lasciata con le sue nuove abilità e con un peso enorme da portare: l’uccisione della madre di Jessica. Nonostante si trattasse dell’unico genitore sopravvissuto dell’amica, Trish è fermamente convinta di aver agito per il bene di Jessica: la sua ferrea morale non le permette di distinguere il mondo in scale di grigio. Per lei tutto è bianco o nero, buono o malvagio. E lei sente di essere dalla parte dei buoni.
Il suo sogno di diventare eroina finalmente si realizza e le permette di superare Jessica. Di essere migliore. Ma si tratta solo di egoismo e di invidia, non c’è niente di eroico in quello che fa. Più prosegue nella sua amministrazione di giustizia, più appare irredimibile dopo le sue azioni della scorsa stagione. Gli episodi 3×02 (You’re welcome) e 3×11 (Hellcat) sono entrambi raccontati dal punto di vista di Trish, dandoci un approfondimento affascinante di un personaggio che nelle stagioni precedenti aveva quasi un ruolo marginale. Trish è così desiderosa di essere l’eroe da non distinguere più il giusto dallo sbagliato: esiste solo la giustizia di Patsy. Il contrasto tra le due amiche è uno degli elementi più avvincenti della stagione.
Con questa terza stagione si chiude definitivamente Jessica Jones.
Abbiamo in parte l’amaro in bocca e il dispiacere di non vedere più la nostra “eroina femminista” in azione, ma è giusto così. La serie ha cercato di sciogliere in modo più o meno definitivo tutti i nodi e ha cercato di introdurre un nuovo quesito spinoso: cosa significa essere un eroe, qual è il concetto giusto di moralità e giustizia. Tutti i personaggi sostengono che il fine giustifica i mezzi per ottenere quello che vogliono, ma la serie prepara una serie di incidenti che fanno crollare il loro castello di carte, facendoli crollare nella loro disperazione.
Questi sono concetti non del tutto nuovi per l’universo supereroisttico, eppure le serie Marvel targate Netflix hanno permesso di scavare a fondo nelle diverse sfumature del bene e del male, presentando le avventure degli antieroi, spesso più sfaccettati e oscuri dei nostri Capitan America e Iron Man. Jessica ci ha provato in tutti i modi a portare alto l’ideale dell’eroe che tutti si aspettavano da lei e non ha smentito alle aspettative: perché il vero eroe è colui che fa la differenza anche nelle piccole cose, colui che sa sempre cosa fare anche se vuol dire perdere ciò che ama. Jessica ha già perso tutto molte volte, ma non smetterà mai di guardare avanti, lontano da Kilgrave, lontano da Salinger, lontano da Trish.