Rabbia: è questo il tema centrale che funge da meccanismo di base per l’intero sistema di questa seconda stagione. Una rabbia che affonda le radici nel passato di Jessica, nell’incidente che ha scatenato tutta questa serie di azioni e reazioni che l’hanno portata ad essere una figura oscura, determinata e furiosa.
Gli ultimi due episodi, Pray for my Patsy e Playland, concludono un ciclo narrativo che ha visto un accenno di verve solo negli ultimi 4 capitoli.
Si conclude un ciclo narrativo che tutto ha dato, tranne che effettiva profondità ai personaggi. Se la prima stagione si era prefissata di dare un grande cattivo a questa eroina scorbutica, in questa seconda stagione ci si aspettava un minimo di approfondimento sul passato di Jessica.
Dopo aver scoperto dell’origine “medica” dei suoi superpoteri, della sopravvivenza della madre e aver condito il tutto con della malsana voglia di elevarsi a salvatrice di masse da parte di Trish, tutto si conclude con un cambiamento drastico, ma nessuna evoluzione.
Abbiamo scoperto il passato dell’investigatrice, l’abbiamo vista fragile, debole, umana prima di essere una donna con superpoteri. Una Krysten Ritter che ha fatto ancor più suo il ruolo, regalandoci battute sarcastiche divine, una solida padronanza delle emozioni del personaggio, ma ciò che l’ha frenata è la scrittura di questa stagione. Gli ultimi episodi sono una corsa contro il tempo per salvare la madre, per farla espatriare dopo ave commesso l’ennesimo omicidio. Una fuga forzata dalla stessa Alisa, che carica di peso Jessica nel camper.
Il personaggio di Alisa è basically un animale: se viene ferita, attaccata. Senza alcun freno. E’ una persona che non è più in grado di vivere in una società, perchè non conosce più le regole di coesistenza civile di questa. Eppure, quando un auto sbanda e mette in pericolo una famiglia indifesa, non ci pensa un momento a salvarli. Una reminiscenza di quella che una volta chiamava buon senso. Un barlume sporadico che non può bastare a far si che ella venga reinserita nella società, venga salvata, espatriata. Questo lo sa anche Jessica, che inconsapevolmente si arrende quando scopre di essere braccata dalla polizia.
Cosa succede ai nostri sogni quando ci accorgiamo che non potranno mai divenire realtà?
Si trasformano in incubi.
Il sogno di poter tornare ad avere una famiglia, di salvare la madre in qualche modo, si trasforma in un macabro incubo. Un utopia difficile da concepire, sgradevole, riluttante per chi finalmente aveva ritrovato qualcosa che aveva creduto di aver perso per sempre. Ma come siamo stati abituati con la scorsa stagione, la fine arriva quasi senza preavviso. Un colpo e tutto va in pezzi.
Una vita spezzata, un rapporto in fumo, un’esistenza dilaniata. Di nuovo.
Il personaggio di Trish ha avuto un lento decadimento verso un oblio costellato di insoddisfazione, gelosia ed egocentrismo tale da distruggere tutto ciò che aveva intorno a sé. Anche la cosa più genuina che era rimasta della sua vita: Jessica. Trish ha ucciso sua madre. Non è più sua sorella, è l’assassina che vedrà ogni notte nei suoi incubi, quando rivivrà la scena della morte di Alisa. Forse la sua morte era giusto che avvenisse, ma una figlia non potrà mai ammetterlo, men che meno accettare che ad averlo fatto sia stata l’unica altra persona che poteva considerare famiglia.
L’egocentrismo di Patsy è stata una delle sfaccettature di cattiveria che si sono viste in questa stagione. Non ci vuole un grande bad guy, per avere una nemesi da affrontare. A volte, le persone a noi vicine si possono trasformare nei peggior cattivi e farci più male di chiunque altro.
Questa stagione è stata percorsa da tanti piccoli lati negativi che l’umanità può trasformare nella nostra grande battaglia contro il male. Per Jeri, ad esempio, è stato scoprire la sua vulnerabilità e fragilità a qualcuno, che l’ha poi truffata. Sebbene inizialmente la sua storyline lasciava il tempo che trovava, la conclusione merita una standing ovation per la sagacia e l’astuzia che il personaggio ha mostrato. Grazie soprattutto ad una interpretazione da parte di Carrie-Anne Moss accattivante e genuina. L’unica ad essere risaltata insieme a Jessica Jones.
Per quanto abbia dato molte risposte ad alcuni interrogativi lasciati aperti nella precedente stagione, il confronto ahimè non regge.
Gradevole, non troppo lento, con alcuni particolari a risollevarne la qualità tecnica, ma nell’insieme la stagione passa molto in sordina e arriva a fatica ad una sufficienza. Gli elementi positivi ci sono, ma riguardano la sfera dei particolari come la musica in perfetta armonia con la parte noir e investigativa del personaggio, la regia pulita e molto girl power (tutti gli episodi sono stati girati da donne), con maggior nota di merito per l’episodio con il favoloso Tennant.
La recitazione è buona solo per la Rytter e la Moss, gli altri personaggi introdotti sono molto scialbi (Karl, Alisa, Oscar) e gli altri non hanno fatto passi da giganti. Le storie secondarie non hanno avuto mordente sufficiente ad interessare lo spettatore.
Insomma, l’intera stagione è stata trainata a fatica dalla sola presenza scenica della Ritter, che in alcuni particolari momenti è stata sublime. Una terza stagione appare assai ardua da individuare nel futuro, ma se venisse confermata, si avrà bisogno di una trama più forte per rialzare il tono assai scadente di quest’ultima.
P.S: Hellcat is coming.
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