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Kaos è nata per non ripagare le aspettative

Kaos
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Per chi è cresciuto a pane, Xena e nutella (insieme a svariate altre Serie Tv sulla mitologia greca), l’annuncio di un nuovo prodotto che parla degli Dei dell’Olimpo è parso come una manna dal cielo. L’idea di rivedere sullo schermo Zeus, Ade, Era e il parentado olimpico al completato ci ha esaltati all’inverosimile. Le aspettative si sono fatte, molto presto, elevatissime. Se la nostra umile esistenza umana ha un tempo, ahimè, limitato, Kaos ci ha messo tempi – per rimanere in tema – biblici prima di concedersi alla nostra visione. L’abbiamo aspettata ben sei anni e, forse, sta proprio qui il suo problema.
Ideata da Charlie Covell (alla sceneggiatura di The End of the F***ing World), la serie Netflix è arrivata lo scorso 28 agosto, dividendo gli animi. Ebbene si, il grande capolavoro seriale che sarebbe dovuto essere Kaos non è né grande, né capolavoro. Semplicemente, è una Serie Tv che, certo, intrattiene e tutto sommato soddisfa, ma non fa molto altro (vi lascio qui la nostra recensione). Esplorando e reinterpretando la mitologia in un formato contemporaneo e, per così dire, originale (già altre serie, in realtà, l’hanno fatto: American Gods e Good Omens), Kaos si proponeva come la risposta di Netflix a questo tema così apprezzato dal pubblico.

In Kaos, lo scorrere del tempo non è un problema solo di Zeus

Jeff Goldblum nei panni di Zeus, in Kaos

Sebbene gli dei siano il problema maggiore contro cui i protagonisti umani si devono scontrare, essi non lo sono nell’ecosistema complessivo della serie. Kaos reinterpreta l’immaginario legato alle divinità greche. Ritroviamo gli aspetti e le caratteristiche “tradizionali” di queste divinità, ma, sotto agli abiti chic e allo stile altolocato, possiamo vedere dall’altro. Uno Zeus (Jeff Goldblum, che sembra essere nato per questo ruolo) megalomane, pieno di sé, capriccioso. Una Era (Janet McTeer, che ora venero come mia dea) scaltra, perspicace e, soprattutto, vendicativa. Un Poseidone (Cliff Curtis) apparentemente calmo, ma insidioso come l’acqua. Un Dionisio (Nabhaan Rizwan) che oscilla tra le proprie aspettative e l’approvazione del padre. Un Ade (David Thewlis; si, proprio quell’insegnate di Difesa contro le Arti Oscure) stanco delle pretese del Padre di Tutti. Viene accompagnato da Persefone (Rakie Ayola), che, a differenza del mito, tiene le redini degli Inferi nelle sue mani.
Potenti. Immortali. Eterni. Così ci sembrano, a un primo sguardo. Ma, attraverso lo sguardo paziente e attento di Prometeo (Stephen Dillane), Kaos ci mostra come, in realtà, questi dei siano, visceralmente e tremendamente, umani. Basta, infatti, una linea, una leggera ruga sulla fronte, per mandare in paranoia totale Zeus, che scaglia tutta la sua frustrazione sul prossimo: dapprima i valletti dell’Olimpo, poi gli umani, fino ad arrivare alla sua famiglia. Un Narciso che, a differenza dell’ingenuo protagonista del mito, possiede un potere distruttivo inimmaginabile.

I nuovi Prometeo: Riddy, Ceneo, Ari

Una linea appare,
l’ordine si azzera,
la famiglia cade e
il caos impera.

Questa la profezia che scatena il Kaos. Una concatenazione di eventi che trascende i tre piani di Olimpo, Terra e Inferi. Il tutto è legato a tre umani. Riddy/Euridice (Aurora Perrineau), moglie e musa ispiratrice di Orfeo (Killian Scott), bloccata nel Regno dei Morti a causa dell’arroganza del marito, che così facendo, paradossalmente, la salva. Ceneo (Misia Butler), costretto al limbo da una madre provvidente. Infine, Ari (Leila Farzad), figlia del re Minosse, il quale, in combutta con Poseidone, fraintende la propria profezia, conducendo la figlia ad avverare la propria. Come Prometeo moderni, i tre umani sono alla ricerca del nuovo fuoco da donare all’umanità per combattere, nuovamente e definitivamente, la superbia divina.
Contro gli dei (e i loro interpreti), l’azione di ribellione umana, alla sceneggiatura, come all’interpretazione, non riesce a raggiungerci con l’intensità e l’urgenza che un’insurrezione dal basso dovrebbe avere. Certo, stiamo assistendo al posizionamento dei primi tasselli di un mosaico che si prospetta – speriamo – essere molto più grande e complesso. Ma è proprio nella dimensione umana che Kaos perde la grinta che invece mantiene sul fronte olimpico.

Peccare è umano; perseverare è diabolico. Ma Netflix non lo sa.

Le Moire: Lachesi, Cloto e Atropo.

Kaos è, per forza di cose, caotica. Diverse linee narrative che si intrecciano, con costanti cambi di punti di vista. Tre piani del reale, ma anche continui ritorni a un passato lontano, nel tentativo di mostrarci la grandezza e la vastità (spaziotemporale) di una profezia destinata a sconfiggere esseri dal potere, apparentemente, infinto. Kaos ci prova a trasmettere tutto ciò e, in parte, possiamo dire che riesce benissimo nell’intento.
Tuttavia, oltre a problematiche di tipo narrativo, Kaos ha risentito, sopra a ogni cosa, di tempistiche produttive troppo lunghe. Inevitabilmente, tra l’annuncio della serie, nel 2018, e la sua uscita, nell’agosto 2024, le aspettative di critica e pubblico sono andate via via aumentando. L’hype attorno alla creazione di Covell si è fatto così grande, che ci aspettavamo, sì, una dark comedy, ma anche un taglio nettamente più maestoso e mastodontico. Non è una combinazione così azzardata e, sebbene di difficile attuazione, risponderebbe alle necessità di una serie che potrebbe, con un po’ di riscaldamento, essere gloriosa. I presupposti, infatti, perché Kaos diventi una delle punte di diamante di Netflix ci sono tutti. Cast divino spettacolare, una storia di base mitologica (che non stanca mai), il taglio irriverente, tipicamente à la Netflix.
Personalmente, sono molto curiosa di vedere cosa ci proporranno con la seconda stagione e credo che, con i giusti cambiamenti, Kaos possa diventare una serie audace, quasi sfacciata, che, in un momento in cui ogni giorno escono serie tv nuove, possa diventare addirittura memorabile.