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Kevin Can F**k Himself: cosa c’è dietro a quella patinata perfezione?

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Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Kevin Can F**k Himself

Seppure abbastanza recente, la prima stagione esce nel 2021, Kevin Can F**K Himself sta avendo una seconda vita, a soli tre anni circa dalla sua nascita (la seconda stagione sarà anche l’ultima). Prime Video, che da subito ha creduto nella serie, ha probabilmente ripuntato sul drama più strano e unico della piattaforma (e non solo). Descrivere Kevin Can F**k Himself non è semplice, soprattutto perché parte da un assunto che non è facile da cogliere nell’immediato.

La prima impressione è quella di stare vedendo la classica sitcom americana, luci abbaglianti, colori sgargianti e personaggi stereotipati. Risate di sottofondo e battute scadenti la fanno da padrone (qui per approfondire). Ma dopo pochissimo si intuisce, soprattutto dalle espressioni di Allison, che qualcosa non va, che c’è qualcosa di diverso che non viene svelato.

Allison (Annie Murphy), la moglie di Kevin, appare quantomeno stressata dalla situazione irreale che sta vivendo e che, con lei, stiamo vivendo anche noi che la guardiamo da fuori. Di colpo, infatti, quando Allison è da sola, la luce abbagliante si fa soffusa, le risate registrate scompaiono e il tono della narrazione assume dei tratti drammatici. Ma che si potrebbero definire anche “normali” o quantomeno reali. Ci si ritrova, forse per la prima volta, di fronte a un paradosso esistenziale in cui l’equilibrio tra realtà e finzione non esiste e la perfezione viene continuamente smontata.

Kevin Can F**k Himself

Kevin Can F**k Himself è questo: vediamo continuamente alternarsi le tipiche scene da sitcom banale, quando il protagonista è Kevin, e delle riprese realistiche e molto più cupe, quando è Allison a prendere il controllo. Ma se inizialmente tutto questo ci può sembrare un semplice parallelismo tra le vite molto differenti dei due, col tempo capiamo che c’è molto di più di questo. Kevin Can F**k Himself si propone come uno spaccato di una società trasportata quasi esclusivamente dalla perfezione, dalla patinatura, dai colori accesi e dalle risate forzate. Una società in cui un Kevin qualsiasi è il capofamiglia, fa un lavoro qualunque e fa della poca serietà uno stile di vita. Niente di nuovo, quindi: vicini invadenti, scherzi idioti, battute con doppio senso annesso.

Kevin, insomma, è l’archetipo di una società (quella americana nello specifico, ma non solo) maschilista e superficiale. Dall’altra parte c’è Allison, la vera protagonista della sua storia, che agli occhi di Kevin è la mogliettina perfetta, dedita alla cura della casa e che si lascia prendere in giro in continuazione dai maschi bianchi di turno.

Ma Kevin Can F**k Himself nasconde, come dicevamo, un segreto che non tarda a venire rivelato: Allison non è niente di tutto ciò.

Allison è una donna insicura e soprattutto molto stanca della vita patinata che il marito sembra alimentare ogni giorno che passa. Non è più disposta a fingere di essere chi non è e soprattutto non è più disposta a vivere la vita di qualcun altro, senza battere ciglio. Ed è qui che si apre la denuncia sociale che Kevin Can F**k Himself porta avanti. Nelle scene in cui Allison è protagonista il clima è cupo e malinconico, ma è anche vero.

Allison ha la possibilità di squarciare quel velo di ipocrisia che suo marito, ma anche l’intera società, si aspettano di dispiegare. In questo senso, Allison è l’eroina della storia, il deus ex machina che ha il potere di risolvere la situazione.

Kevin Can F**k Himself

Tanto più che non riguarda più solo lei, ma un’intera generazione cresciuta con gli ideali stravolti da una narrazione fin troppo egocentrica e maschilista. Con l’espediente del cambio di stile, infatti, Kevin Can F**k Himself fa un ottimo lavoro sul racconto di una vita (e, in qualche modo, anche di altre vite) completamente stravolta dalle aspettative. Facendo questo, riesce a rappresentare uno spezzato di quotidianità che gioca con l’attrazione tra realtà e finzione ma che non le intreccia mai.

Allison è l’eroina della sua storia, ma è una di quelle eroine difettate (come per altro si definisce e viene definita più volte). Ha in mente un piano criminale, per mettere fine alla sua realtà patinata e alla vita di suo marito Kevin. Ma Kevin Can F**k Himself non è un’altra storia di una moglie che vuole uccidere il marito, bensì una fantastica lente di ingrandimento su uno status fin troppo comune di malcontento e repressione.

Allison, che per troppo tempo ha nascosto il marcio dietro alla patina sfavillante della sitcom più scontata, decide di prendere posizione e di avere finalmente la sua rivalsa.

Nel cammino verso il suo obiettivo, incontra Patty, anch’essa vicina invadente che in poco tempo, però, assume dei tratti umani e inizia a far parte della quotidianità di Allison. Le due, che sembrano voler rivendicare la loro femminilità anche su un concetto altamente maschilista come è quello della criminalità, iniziano a collaborare e a condividere delle esperienze ai limiti dell’assurdo. Che hanno, però, tutte un unico scopo: eliminare Kevin. Laddove eliminare Kevin significa eliminare quel marcio che continua ad infettare una collettività intera.

È una serie unica e imprevedibile, Kevin Can F**k Himself, che è capace di insinuare dei dubbi anche molto lontani da noi e di mettere in discussione anche dei valori che appaiono saldi. E proprio come nel suo intento, è in grado di farci rivalutare ciò che stiamo guardando e la realtà di cui parla.

Esattamente come la verità che vuole disvelare, Kevin Can F**k Himself ci rende instabili e insicuri, increduli di ciò che stiamo guardando con i nostri stessi occhi. Guardando Kevin Can F**k Himself non si è mai davvero certi di cosa stia succedendo, di quale narrazione stiamo seguendo e soprattutto di quale storia si stiano tirando le fila.

Il suo è un equilibrio instabile tra ciò che deve essere mostrato e ciò che deve essere nascosto. E, di conseguenza, è un equilibrio che fa presto a risultare non necessario alla sopravvivenza dei personaggi, che da subito vengono decostruiti nella loro interezza. Kevin è l’unico a rimanere, in qualche modo, saldo, anche nei suoi dubbi individuali e nelle sue battaglie surreali. Ma è proprio questa stabilità che ci permette di individuare in lui quella fissità retrograda, superata e superficiale che contraddistingue la società. Oggi come allora.

Ciò che dovrebbe far ridere, non fa ridere e ciò che dovrebbe mostrarsi reale non è reale (fa un ottimo lavoro di rivoluzione della sitcom). Kevin è lo stereotipo per eccellenza, rinchiuso in un mondo fatto su misura per lui (Allison urla al mondo quanto “il mondo sia progettato per quelli come Kevin, quanto il gioco sia truccato”), sdraiato in una zona di comfort perenne dove non possono che esistere i suoi bisogni. La sitcom patinata è lo specchio di ciò che la crea, e la sua controparte è necessaria sia alla sua sopravvivenza che alla sua distruzione. Perché Allison ha intenzione di distruggerla ma, allo stesso tempo, non riesce mai a sganciarsi davvero da una vita passata ad acconsentire, a cedere alla sicurezza e alla stabilità.

Perché il vero rischio, nel caso di Allison, non è smettere di amare suo marito, quanto quello di rimanere incastrata in una realtà fittizia. Non trovare una via d’uscita dalle imposizioni di una società che concede delle armi di salvezza solo ai tanti Kevin e a nessuna Allison (o Patty).

E allora Kevin Can F**k Himself è il racconto di una necessità, più che di una vendetta. È la storia di una Allison qualunque che sente il bisogno di smascherare la sua stessa vita e quella del Kevin di turno, per permettere a entrambi di imparare a vivere nel mondo reale. Che è brutto e il più delle volte imperfetto, ma è reale e d è necessario che lo sia.