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Non eravamo pronti per Kidding

Kidding
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Kidding ci ha tratto in inganno inizialmente. La presenza confortante e simpatica di Jim Carrey, il titolo che richiama lo scherzare e la durata degli episodi inferiore ai 30 minuti ci hanno fatto credere di essere davanti a una comedy leggera e spensierata. Insomma, a un semplice intrattenimento da poter mettere in sottofondo mentre ci occupavamo delle nostre attività quotidiane. Del resto, a noi italiani Mr Pickles e il suo show televisivo fanno pensare a L’albero azzurro con l’iconico Dodò o a quell’imperdibile appuntamento pomeridiano chiamato Melevisione. E non c’era niente di più allegro e rassicurante di quei programmi.

Ben, non avevamo mai sbagliato così tanto perché no, Kidding non è per niente uno scherzo. Anzi.

La serie tv di Showtime è complessa, introspettiva, una tragedia mascherata da commedia e un prodotto sperimentale sia nelle tematiche profonde che nella tecnica sopraffina. Caratteristiche che la rendono imperdibile e, paradossalmente, un prodotto di nicchia, destinato solo ai pochi che sono davvero pronti ad abbracciarla. Certo, seppur la visionarietà di Michel Gondry non sia per tutti, Kidding ricorda molto da vicino il suo capolavoro cinematografico con protagonista proprio Jim Carrey, ovvero l’intellettuale Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

Entrambe omaggiano la complessità della vita; entrambe sono storie metanarrative composte da strati di realtà che si sovrappongono e alterano la verità. Se Joel usa l’espediente della cancellazione dei ricordi per entrare e uscire dalla sua esistenza, per Jeff lo strumento con cui compie questa scissione è lo schermo televisivo. Il fantastico mondo di Mr Pickels è un’universo immobile, pieno di colori e di pupazzetti colorati che cantano allegre canzoncine, dove non è permesso soffrire. Così Jeff, innocente e candido, intrappolato in un personaggio e in un programma che gli hanno fatto perdere il contatto con la realtà, a differenza dei suoi familiari non può vivere un sentimento che è costretto a reprimere ma che lo sta consumando. D’altronde, come gli dice suo padre – un tagliente e perfetto Frank Langella:

Non sei una persona reale, sei l’uomo dentro al televisore: sei un brand consolidato

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Ormai, però, Mr Pickles è una maschera malinconica dal sorriso forzato e dagli occhi tristi. Jeff non riesce più a tenere sé stesso separato dal suo alter ego televisivo, trovandosi a chiedere: chi sono veramente? Il sorridente conduttore tv che parla con le marionette o l’uomo che distrugge il proprio studio in preda a quelle emozioni disperate che non riesce più a trattenere? E come posso cantare un inno ad ascoltarsi o insegnare ai bambini a rimanere fedeli a sé stessi, se non mi conosco, se non mi accetto?

E non è una domanda, la prima, che ci siamo posti tutti almeno una volta nella vita, soprattutto se messi di fronte a situazioni spiacevoli? Eccola l’universalità scomoda, vera e disagiante di Kidding.

Quel mondo zuccheroso e colmo di pupazzi canterini non è creato per indorare la pillola; anzi, mostra quanto sia reale il dolore dei personaggi, ognuno incastrato in quella confusione poco ordinata che si chiama vita, ma anche morte. Già, la morte, uno degli argomenti più scomodi che si possa mai affrontare e non solo in TV. Ma Jeff vuole raccontarla ai bambini e, allo stesso modo, vuole fare con altri argomenti adulti, come il divorzio. Sebbene il padre lo avversi, perché Mr Pickles non può parlare di ciò, Jeff riuscirà a convincerlo, realizzando uno degli episodi più poetici e commoventi del suo programma televisivo. Lì spiega con delicatezza e sensibilità ai suoi “amici” che il cambiamento non è sempre negativo, ma può essere occasione per crescere; agli adulti di smettere di fingere che il loro tacere, riguardo a determinate questioni, sia per proteggere i bambini e non sé stessi da un qualcosa di cui sono spaventati, ma che i piccoli intuiscono comunque.

Ed più facile cambiare canale che trovarsi di fronte a quest’amara verità.

Kidding ci parla di come sia difficile affrontare la morte, ma allo stesso tempo ci dice che dalle tragedie più grandi può nascere qualcosa di bellissimo. È vero, Phil è morto, eppure continua a vivere in altre persone che, grazie ai suoi organi, possono correre, viaggiare, saltare e amare. La cosa più importante è che ciò avviene nella realtà, non dietro uno schermo, perché è la prima ad aver davvero bisogno di sorrisi. È un giro lungo e doloroso quello di Jeff, ma che termina con lui che, ormai maturato, sceglie di far pronunciare al pupazzo di Mr Pickles il più grande atto di gentilezza che possiamo mai fare: “Io ti ascolto”.

È la chiusura perfetta di una serie tv senza cali, con picchi altissimi e dal cast elevatissimo: da Frank Langella a Catherine Keener, da Judy Greer alle sorprese dei più giovani, come Cole Allen e Juliet Morris, passando per il mattatore assoluto Jim Carrey. Eccezionale nei panni di Mr Pickles, rende umana una figura che, in altre mani, sarebbe stata solamente fastidiosa dato l’eccessivo buonismo; magnifico in quelli di Jeff dove deve trattenere la rabbia e il dolore dentro di sé anche nel privato, per non sgretolare la sua immagine pubblica, forzando un sorriso e nascondendo le lacrime.

È proprio questo il senso della serie tv, ovvero l’accostare emozioni contrastanti per rivelarne la profondità, decostruendo il genere a cui appartiene.

L’avevamo detto, Kidding è sperimentale, anticonformista e tradizionale allo stesso tempo. Parte da una premessa divertente e da un attore comico (ma chi ha visto Truman Show o Eternal Sunshine of the Spotless Mind conosce l’enormi doti drammatiche di Jim Carrey) per poi rivelarsi un racconto cinico, disilluso, che lascia l’amaro in bocca e che nasconde un’inquietudine oscura. Qualcuno l’ha definita post-commedia, altri una “commedia in teoria“, per cercare di inserirla all’interno di un filone che vede accumunati prodotti come Bojack Horseman, The Good Place, Unbreakable Kimmy Schmidt e Crazy Ex-Girlfriend: in pratica, questi spettacoli hanno trame buffe e dolorose, che parlano di questioni delicate in maniera pungente, diretta e talvolta politicamente scorretta.

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Ma, seppur si avvicinino, sono vani tentativi di trovare per forza una categoria a una qualcosa che non si era mai visto in TV. Kidding sorprende non solo per la piega dell’intreccio, ma perché è ancorato ai problemi della nostra realtà, senza bisogno di inventare mostri, enigmatici crimini o universi paralleli. Guardarla implica viaggiare nei nostri sentimenti, mettersi a tu-per-tu con il nostro io interiore e capire finalmente chi siamo; significa sprofondare nel dolore della morte, del divorzio o di altre situazioni del genere ma allo stesso tempo trovare un modo per affrontare e liberarsi di quei momenti così dolorosi; vuol dire comprendere che i nostri idoli non sono quelli che appaiono sullo schermo, ma persone vere con pregi, difetti, gioie e dolori. Soprattutto, vuol dire vedere il nostro mondo senza filtri e affiancare la sofferenza al sorriso perché è così che succede nella vita, ogni singolo giorno.

Purtroppo, tra noi pubblico, non tutti erano pronti per le verità di questo viaggio; non tutti hanno superato l’inganno abbracciando l’innovazione. Ed è un peccato, perché Kidding è un gioiellino assoluto, perfetto in ogni suo aspetto. Speriamo, allora, che sia il tempo a farne riscoprire la bellezza e a renderlo quel cult che si merita dannatamente di essere.