Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Killing Eve
In Italia abbiamo, a volte, la tendenza a far passare inosservati dei prodotti che meritano. Non per spocchia e nemmeno per invidia, ma più che altro per inesperienza. Quello che non capiamo, tendiamo a metterlo da parte, in quanto esseri umani. Ma chi vive di serialità televisiva o chi ne fa una passione sa che, proprio quello che non riusciamo a cogliere nell’immediato, potrebbe essere il prodotto giusto su cui soffermarsi e di cui incuriosirsi. Killing Eve fa parte di quelle serie troppo sottovalutate, tanto che molti dei nostri lettori non ne conosceranno nemmeno il titolo. Eppure, Killing Eve ha quattro stagioni e pare venga rinnovata anche per una quinta e anche ultima. In Italia, però, non ci siamo ancora accorti della sua bellezza e, nonostante la firma di Phoebe Waller- Bridge (conosciuta nel nostro paese soprattutto per Fleabag), il grande potenziale della serie non viene soddisfatto dal pubblico italiano. Killing Eve è un thriller, è una spy story, è una storia d’amore, è una storia di follia. Quando ci approcciamo a prodotti simili, che contengono vari generi e che mettono in gioco varie chiavi di lettura, siamo spesso abituati a giudicarli un caos senza capo né coda. Perciò, quando invece qualcuno che sa farlo riesce a trovare il modo di mischiare vari generi e di farlo anche bene, rimaniamo stupiti e il più delle volte ignoranti in materia.
Vi diamo due semplici motivi per iniziare subito Killing Eve, che sono poi i due motivi che la rendono tanto grande: Sandra Oh e Jodie Comer. Le due attrici, la prima consolidata grazie a Grey’s Anatomy l’altra sconosciuta ai tempi della serie in questione, padroneggiano la scena e da vere protagoniste la riempiono e la rendono luminosa. La scrittura, di Phoebe Waller -Bridge per l’appunto, le aiuta molto e attraverso una storia di perversioni, di amori proibiti, di sangue e di perfidia le due donne intrecciano le loro vite. La scelta di due protagoniste femminili non delinea alcun afflato femminista o post femminista; lo specifica proprio Phoebe Waller-Bridge che lamenta il fatto, per l’appunto, che se una donna scrive di un’altra donna è per forza femminista. Al contrario, Killing Eve normalizza la narrazione intorno alla perfidia e alla bramosia, che sia femminile o che sia maschile. Le due protagoniste sono il perno della serie intera ma sono anche soprattutto il perno di una narrazione duale, che si infrange nel momento dell’incontro e che trova il suo apice nell’intreccio delle due personalità. Il gioco di dualismo che si crea tra le due, una agente segreto dell’ MI6 e dell’MI5 (il corpo di servizi segreti britannici) in cerca del suo colpevole (Sandra Oh) e l’altra killer spietata coinvolta in un’organizzazione altrettanto losca (Jodie Comer), è un gioco che si delinea principalmente sul campo dell’omicidio, analizzato da una e perpetrato dall’altra.
L’originalità di Killing Eve (che è poi forse il motivo per cui in molti in Italia e non solo, non l’hanno compresa) risiede soprattutto nel ribaltamento in primis della narrazione giallistica e di spionaggio. Nella primissima puntata, nella primissima scena, scopriamo già chi è l’assassino. Basta uno sguardo di Jodie Comer e intuiamo che ha qualcosa che non va, che la killer è senza dubbio lei; per altro, la scoperta viene introdotta da una scena iniziale geniale e davvero unica nel suo genere che da subito ci fa intuire lo stile dell’intera serie. Quando la detective inizia le sue ricerche, sappiamo già chi sta cercando, persino prima di lei, e ci viene tolto quindi, in un certo senso, il piacere di provare a indovinare. Ma il bello è che non ci pesa affatto. La scrittura è talmente affinata e curata nei minimi dettagli che, laddove va a mancare una vera e propria ricerca, esplode invece una frenetica lotta tra le due, che ci tiene continuamente col fiato sospeso e che ci coinvolge totalmente. Lotta che si tramuta, quasi subito, in un’ossessione reciproca. Questo, infatti, è il fulcro dell’intera serie, che ripercorre un’estenuante quanto affascinante rapporto tra chi cerca e chi è ricercato. Ciò che va sottolineato di Killing Eve è che fa tutto questo con un linguaggio e con una narrazione del tutto originali per una spy story: le due donne, infatti, entrano in una strana connessione che le lega indissolubilmente e che le porta anche ad un tipo perverso di gelosia. Tutte le emozioni che le due donne provano sono amplificate e allo stesso tempo uniche, sensazioni che difficilmente risultano intuibili e comprensibili al primo sguardo. Phoebe Waller- Bridge ha infatti un modo del tutto innovativo di descrivere la complessità dei suoi personaggi, soprattutto quando sono donne.
L’inseguimento serrato, la foga, la paura, la pazzia ma anche e soprattutto un’energia travolgente. Questi gli elementi che compongono Killing Eve. La narrazione è molto energica e questa energia si irradia in maniere del tutto differenti: c’è l’energia positiva, che spinge Eve a voler trovare la serial killer per poter salvare delle vite umane, comprese quelle di chi le è vicino; c’è l’energia folle di Villanelle, che la spinge ad uccidere quasi per passione e senza pietà, trovando in sé un forza controversa ma anche molto potente; c’è l’energia svisceratamente passionale, che si va creando tra le due donne, un tipo di passione completamente diverso da ogni altro tipo, una passione che travolge e che inganna e a cui è davvero difficile dare un nome. Eve è vittima di Villanelle in un modo diverso dalle sue altre vittime. Non è indifesa ed è anzi vittima di un gioco di potere che si va istaurando intorno all’indagine e attorno, spesso, anche alle sue stesse scelte. Eve non ne è quindi solo vittima, ma è anche carnefice tanto quanto Villanelle. Le due, infatti, sembrano combaciare perfettamente e allo stesso tempo sembrano essere una molto lontana dall’altra. Pur non toccandosi mai, almeno nella prima stagione, capiamo subito che tra loro c’è una strana chimica, uno strano feeling. C’è un legame che non si riesce a denominare, un rapporto cui è impossibile mettere un’etichetta e che viene compreso attraverso gli sguardi e le azioni.
Killing Eve è una serie molto estetica. Spiegarla non è semplice perché, come spesso accade, queste emozioni vengono trasmesse più con un solo sguardo dell’attrice che con mille parole. Jodie Comer, poi, ha uno sguardo penetrante che convince da subito e da subito ci lascia intuire quale sia il suo tratto caratteriale predominante: la follia. Killing Eve si basa sull’estetica delle due donne, ma anche sull’estetica del lusso della serial killer (lusso dovuto al suo lavoro), nell’estetica dei paesaggi inglesi, che richiamano una certa freddezza d’animo, di entrambe le protagoniste. Per questo è un prodotto che va fruito e che va guardato per essere compreso a pieno. E per questo, forse, è un prodotto che in Italia non è riuscito ad intraprendere la strada del successo. Spesso ci si sofferma sulla trama, giudicando un’opera dalla copertina, senza andare a fondo, senza curiosare. Killing Eve, invece ha bisogno di curiosità, di un approccio enigmatico e interrogante. Ha bisogno di un pubblico disposto a mettersi in gioco, e non di un pubblico giudicante. Se le si desse una vera possibilità, Killing Eve potrebbe potenzialmente essere il vostro prossimo thriller preferito.