La caduta della casa degli Usher non è solamente una Succession in salsa horror, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, né una magistrale rappresentazione sullo schermo dell’opera omnia di Edgar Allan Poe: è, anche, una metafora crudele e sottile del conflitto generazionale.
L’espediente narrativo che ci guida alla scoperta dell’origine del male, del peccato originale degli Usher che li condanna tutti a morti orribili e grottesche è quanto di più classico si potesse immaginare: un racconto intorno al fuoco, naturalmente dell’orrore. Roderick Usher racconta a Auguste Dupin, una volta alleato e per tutta la vita nemico giurato, la verità dietro la fortuna della sua famiglia e le motivazioni che hanno trasformato quella fortuna in cenere e disgrazia.
Più volte ci avviciniamo all’origine di tutto, a quella sera di Capodanno del 1980 che, come si intuisce subito, è cruciale nel definire il destino della famiglia Usher. Ma, come ogni storia dell’orrore attorno al fuoco che si rispetti, sul più bello bisogna fare un passo indietro, per gustarsi meglio l’attesa della rivelazione.
Sono parte del racconto, sono anzi vere e proprie voci narranti nella testa del padre, i fratelli Usher, che intervengono spesso sullo schermo, a beneficio di qualche sano jumpscare, per aggiungere la loro voce a quella del padre, in quella che nasce e si sviluppa come una vera e propria tragedia greca.
C’è l’ambizione, ne La caduta della casa degli Usher, l’ubris, il peccato originale della tragedia greca. La rovina della famiglia comincia e finisce dall’ossessione nello sfidare gli dei.
La caduta della casa degli Usher (640×320)
Ognuno dei fratelli Usher è caratterizzato da una malattia mentale che lo contraddistingue, così come ognuno di loro muore avvolto da un colore particolare. Prospero, il fratello più giovane e il primo a morire, lussurioso e superficiale, è naturalmente maledetto dal rosso, come il suo corrispettivo letterario ne La maschera della morte rossa di Poe. Victorine, ambiziosa e senza scrupoli, vede il mondo virare in arancione mentre il battito del cuore meccanico la tormenta. La narcisista Camille, sempre contraddistinta dal bianco perlaceo dei suoi capelli, incontra la morte nell’oscurità del laboratorio della sorella. Napoleon, in una scena decisamente molto fedele allo spirito de Il gatto nero, viene ripreso da una assillante luce gialla mentre distrugge il suo appartamento, ormai in preda alla paranoia. Tamerlane, che ama guardare, viene uccisa, ironia della sorte, proprio da uno dei tanti specchi con cui ha tappezzato casa sua, in una opprimente atmosfera verde. Frederick, maniaco del controllo e bugiardo compulsivo, incontra impotente la morte sotto forma di (Il pozzo e il) pendolo mentre una luce blu lo avvolge.
Ognuna delle morti dei fratelli Usher arriva in forma di contrappasso per i peccati commessi durante le loro vite: Frederick, che aveva costruito castelli di bugie, viene letteralmente travolto dalle macerie, Camille, che aveva insidiato il lavoro della sorella, viene fatta a pezzi da una delle sue creazioni, Victorine, che aveva giocato col cuore degli altri trafigge il proprio, Prospero, consumato da droghe e sesso, viene spellato vivo, Tamerlane è vittima del suo vouyerismo, Napoleon soccombe alla paranoia suicidandosi.
Verna, o il Corvo, agisce come giustiziera, per dare a chiunque si macchi di ubris ciò che gli spetta. La caduta della casa degli Usher ci mostra che le colpe dei padri ricadono sui figli, e sui figli dei loro figli, come una crudele tara genetica o, peggio, come un debito di sangue da saldare con il destino.
Quando Madeline e Roderick sono seduti al bar, durante quel fatale Capodanno, si sono già macchiati di crimini indicibili: hanno appena murato vivo il Ceo della Fortunato, in modo da assicurarsi la leadership dell’azienda, hanno mentito in tribunale, hanno distribuito milioni di dosi di Ligodone, rovinando la vita di altrettante persone.
La caduta della casa degli Usher (640×360)
Ma non sono questi i peccati originali per cui il Corvo tornerà, decenni dopo, a esigere un pagamento. Madeline e Roderick, in quella notte cruciale, ipotecano il futuro dei loro figli e delle future generazioni. Non hanno esitazioni, quando Verna gli propone la terrificante clausola che, in cambio del successo e della ricchezza, li vedrà sacrificare la vita di coloro che metteranno al mondo.
Non è un patto col diavolo, è peggio: il diavolo può chiederti la tua anima, non quella di qualcun altro. Roderick e Madeline, così intossicati dall’idea di diventare ricchi e potenti, non si fanno scrupoli a mettere sul piatto la vita di generazioni che devono ancora vedere la luce. La misura della loro arroganza è talmente spaventosa che persino Verna, l’entità senza tempo e senza inclinazioni, proverà pietà quando si tratterà di riscuotere l’unica vita veramente innocente.
Lenore. Il fattore che né Roderick né Madeline avevano considerato: che potesse uscire un pulcino immacolato, dalla nidiata satanica degli Usher, era quasi impossibile. Tutti gli Usher sono stati concepiti e cresciuti per diventare macchine umane, un piccolo esercito di psicopatici senza cuore né ideali. Lenore scombina l’equazione, con la sua innocenza e il suo idealismo così commoventi da spingere persino la dea della morte a dirle che, nonostante la sua vita debba finire quella notte, la sua eredità continuerà.
Un barlume di speranza in una notte oscura fatta di ambizione, avidità, cinismo e spregiudicatezza.
La caduta della casa degli Usher (640×360)
Il patto che i fratelli Usher stipulano quella notte con Verna è una metafora del conflitto generazionale che ci troviamo a vivere ogni giorno. Abitanti di un pianeta sempre più cianotico e inospitale, avvelenato dalle generazioni passate che, incuranti del domani e dell’eredità che avrebbero lasciato al sangue del loro sangue, hanno preferito barattare un’agiatezza e una cultura del consumo sfrenato in cambio del futuro delle prossime generazioni.
Nel finale de La caduta della casa degli Usher vediamo il dolore per ciò che dovranno subire gli innocenti a causa degli errori commessi dalle generazioni precedenti. Lenore, personaggio ricorrente nella produzione poetica di Poe, nella quale lui proietta l’immagine dell’adorata moglie morta, incarna l’ingiustizia di dover espiare peccati non propri e il poeta la onora così:
“An anthem for the queenliest dead that ever died so young”.
Vittima delle scelte scellerate compiute dal nonno 50 anni prima, quando ha messo sul piatto la sua morte e quella degli altri fratelli Usher come se fosse un gioco, Lenore è l’unica a beneficiare di una morte indolore, nonché di una prospettiva: il suo sacrificio non sarà inutile perché sua madre continuerà a farla vivere attraverso le sue azioni benefiche, controbilanciando, in qualche modo, l’opera di male della Fortunato.
Vivrà anche in forma di grezza coscienza digitale, un innesto momentaneo della serie con Black Mirror: un algoritmo capace di ripetere, ossessivamente, solo una parola, Nevermore. Il verso del corvo nella celebre poesia di Poe.
Lenore non è l’unica innocente a subire le conseguenze della voracità degli Usher: anche l’ingenua Juno, ormai vedova ed erede di una fortuna, decide di liberarsene così come si libererà del Ligodone, riaffermando come l’impulso alla vita, nell’essere umano, possa essere più radicato di qualunque dipendenza.
La caduta della casa degli Usher si conclude, in un certo senso, con un messaggio di speranza, nonostante anche l’innocenza si sia dovuta piegare alle leggi inflessibili della morte. Un messaggio affidato ad Auguste Dupin, perfetto contraltare di Roderick Usher: un uomo che ha sempre creduto negli ideali e nei legami familiari al di sopra di qualsiasi bene materiale, unico testimone della caduta dell’antica casa degli Usher e, con lei, della fine di una pestilenza che aveva avvelenato quella famiglia.
“Addio, Roderick. Me ne vado a casa, da mio marito, dai miei figli e dai loro figli. Sono l’uomo più ricco del mondo, sai?”.
Giulia Vanda Zennaro