Andrés de Fonollosa, in arte Berlino. L’artista narciso dietro le maschere de La Casa de Papel. Elegante, raffinato, a tratti dispotico, a tratti magnanimo. È l’estro imprevedibile nei piani assennati del Professore, un dandy dai modi distinti e signorili, l’esteta sarcastico e stravagante della banda. Qualcuno ha visto in lui un’anima fredda e glaciale, ne ha avvertito il gelo sotto una coltre di superiore distacco: insensibile, sfrontato, tirannico, accentratore. Ma sono le sfumature a modellare il personaggio, le più impercettibili variazioni cromatiche del suo spirito. Berlino è indaco. Come i mantelli delle Madonne nella pittura del Duecento o come le tuniche dei Tuareg nel deserto del Sahara. E in lui le due anime, quella più squisitamente spirituale e quella ascetica, sono compenetrate, incasellate.
L’indaco, d’altronde, è un colore multisensoriale. Sta a metà tra l’azzurro, simbolo di creatività, idealismo, pacatezza, e il violetto, emblema di mistero, magia, metamorfosi. Berlino poggia i piedi là in mezzo, su una realtà che sente e che vive appieno, con un slancio quasi panistico, in un’immersione totalizzante nel ritmo vitale delle cose. È un idealista realista, che cerca di trarre il bello dalle situazioni più angoscianti. Esplora il significato della vita vivendolo, come è costretto a fare lui, da condannato a morte. La sua non è follia, seppure ne conservi tratti lapalissiani. È la chiaroveggenza di chi vede la propria esistenza allontanarsi irrimediabilmente e cerca di prosciugarla fino all’ultimo (qui le sue 10 citazioni più intelligenti).
Imprevedibile, eccentrico, straordinariamente originale, Berlino è il personaggio che sfugge a ogni tipo di collocazione.
Lo abbiamo visto calarsi nelle vesti dell’odioso comandante senza scrupoli a capo delle operazioni. Autoritario e poco compassionevole, perfezionista, egoista, maschilista. Ma è anche il personaggio che ha maggiormente incarnato gli ideali alla base del piano del Professore, condividendone, forse più di tutti, lo slancio romantico. Da villain a eroe, generale e partigiano insieme, Andrés è uno che la realtà non sta ad aspettarla, ma se la crea. Non resta fermo in attesa della fine. Si muove, combatte, agisce, si eccita. È l’artefice di quella piccola parte di destino che può ancora controllare, quella che sfugge al male, alla fine, alla morte.
La Casa de Papel ci ha regalato, con Berlino, una figura tragica, singolare ed eccentrica.
Uno scassinatore con il culto dell’arte, un ladro in abiti eleganti e tessuti raffinati, un criminale con l’ossessione dell’onore e grande senso estetico. La vita lo ha ferito, punto nel profondo: ha creduto nei legami di sangue, ma suo padre lo ha abbandonato per farsi una nuova famiglia. Ha creduto nell’amore, ma i suoi matrimoni sono stati un deludente fallimento. Ha creduto nella vita, ma la malattia gli ha fatto annusare il sapore della fine. Nessuna possibilità di guarigione, un condannato a morte. Un condannato a vivere costantemente con la morte. Andrés è l’eroe tragico che gioca alla roulette russa rimanendo calmo e impassibile. È il combattente che si getta nella mischia per i suoi compagni, quello che assume il comando quando le cose si mettono male. Il partigiano che sacrifica la propria vita per quella della banda, che resta a morire in trincea mentre gli altri conquistano la libertà.
La sua è la vita dell’artista che cerca di fare della propria esistenza una straordinaria opera d’arte.
L’indaco è un colore che gli sta bene perché simboleggia spiritualità e risveglio interiore. Ha un potere rilassante e meditativo e, chi se ne sente affascinato, può avere repentini attacchi di malinconia. Come quando viaggi a tutta birra con i finestrini abbassati e il sole in faccia e all’improvviso sei costretto a fermarti per fare benzina. E la benzina di Berlino non è scura come la pece. È indaco, per l’appunto, il “colore della mezzanotte“, quando gli ultimi barlumi di luce si scontrano col nero della notte che avanza. E in Berlino c’è sia la gioia adrenalinica del mattino che l’inquietudine cupa delle tenebre. Se dovessimo giudicare i personaggi della serie La Casa de Papel (anche quelli più insopportabili) attraverso una scala cromatica, lui starebbe senz’altro tra i “colori freddi”. E tuttavia, se volessimo disegnare l’arcobaleno, non potremmo prescindere da lui.
Perché Berlino non è blu. Il blu non ha dimensione, l’indaco sì. È difficile da acciuffare, ha delle sfumature che non sempre possiamo riprodurre, ma ha una tangibilità tutta sua. E non è neppure viola, più concreto, meno enigmatico. Sta esattamente nel mezzo, sfugge a una precisa catalogazione.
Secondo alcune teorie, che nulla hanno a che fare con la scienza ma che proprio per questo conservano una certa dose di fascino e mistero, le persone con l’aura color indaco sono destinate a migliorare l’umanità. Berlino non è una sorta di Messia dei tempi nostri e neppure un guru orientale col talento per le rapine. Ma somiglia un po’ a un bambino Indaco, geniale e ribelle, musa, artista e scultore della sua propria esistenza.