Ero in un periodo in cui le Serie Tv iniziavano a stancarmi. Un vero addicted, almeno una volta nella vita, ha sperimentato questo fenomeno: ne hai viste troppe e troppe tutte insieme, hai fatto indigestione. Non ti appassiona più niente, neppure quella Serie Tv a cui ti eri appassionato tanto. Poi escono le nuove proposte e ti sembrano poco emozionanti, nessuna storia riesce a prenderti e finisci per lasciare le puntate scorrere mentre fai altro. Poi improvvisamente salta fuori una serie spagnola con questo poster di presentazione dove i ladri stanno in tuta rossa con maschera di Dalì, tranne una che ti guarda con un’espressione come per dirti “ora ti frego” (e parlo di Ursula Corberò). Inizi a guardarla e ti frega, in effetti. La Casa de Papel è scritta da Dio e te ne accorgi subito, dai primi fotogrammi.
Non smetti più di guardare. Ma cosa ha questa serie di così speciale?
1) Idea
Una storia è buona quando parte da un’idea semplice e che, quando la senti, dici: “Sì, è questa“. L’idea alla base de la Casa de Papel è: “un gruppo di rapinatori prende in ostaggio la zecca di stato e inizia a stampare banconote”. Senti questa idea e ti dici che lo vuoi vedere. E, almeno per me, è la cosa più incisiva che si possa immaginare. Come dice il Professore, colui che ha architettato il colpo: puoi sacrificare tutta la tua vita lavorando per una paga da fame e poi morire. Oppure puoi rischiartela una volta sola, per il colpo della vita, e poi godertela. Coglie nel segno, ci abbiamo pensato tutti, in realtà. La rapina diventa rivolta sociale: perché devo rovinarmi la vita con un lavoro che odio per avere questi pezzi di carta?
Me li vengo a prendere. Non mi metto a fare il tuo gioco, mondo infame, non mi faccio usare. Mi ribello, mi prendo quello che posso o muoio provandoci. E, se ci riesco, me la godo.