Qui la questione inizia a farsi interessante. Perché La Casa de Papel stavolta ha un tantino esagerato. Non che sia mai stata un capolavoro, anzi. Già le prime stagioni mostravano qualche piccola discrepanza. Ma dopo l’entrata in gioco di Netflix, e ancor di più in questa quarta stagione, le cose sono peggiorate. I difetti e le mancanze di questa serie si sono moltiplicati, in una specie di circolo vizioso in cui un buco di trama insegue necessariamente l’altro. Più che di sospensione dell’incredulità, qui abbiamo a che fare a tratti con una paralisi della credibilità.
È vero che La Casa de Papel è principalmente intrattenimento. Adrenalina, plot twist, cliffhanger, ritmi acceleratissimi sono sempre stati i punti forza di questa serie.
Se però l’intrattenimento rimane fine a se stesso, si rischia di perdere un po’ di quel quid che ha reso La Casa de Papel una delle serie più amate di sempre. Va bene lo show un po’ pacchiano e molto populista, vanno bene anche il trash e il fanservice. Ma qui sembra che sia mancato lo spirito poetico e filosofico che ha reso la storia un fenomeno mediatico di proporzioni assurde. Nella prima parte, quella del colpo alla Zecca di Stato per intenderci, le motivazioni, gli ideali alla base delle azioni di ogni personaggio avevano una loro logica e un certo fascino. Nella seconda parte, invece, è tutto più confuso, disorganico, vago. Lo slancio romantico della storia è messo in secondo piano per lasciar spazio a sketch dozzinali sul valore dell’amicizia, dell’amore, delle relazioni interpersonali. La Casa de Papel non sembra più una rivoluzione.
Ma i buchi di trama e le approssimazioni sono troppe persino per una serie che aspira solo a divertire.
Pensiamoci un attimo. La terza stagione finisce con la promessa di una guerra, ma nella quarta sembra che la lente d’ingrandimento sia focalizzata di più sui personaggi e sui loro irrequieti rapporti che sulla strategia. Non c’è nessuna guerra, semmai una tregua che dilata enormemente i tempi e ci fa perdere di vista il reale obiettivo della storia. Sembra quasi una stagione di Paso Adelante con i fucili e le pistole. È tutto già visto, persino troppo. Ed è proprio questo il problema. Tutto troppo facile, troppo scontato. Al punto che viene da chiedersi “ma non è che lo fanno apposta?“.
Perché, se si guarda ai risultati, questa serie, malgrado tutto, funziona. Eccome se funziona.
Ci sono cose che non ci spiegheremo mai: Denver che all’improvviso cambia nome (ma su questa questione abbiamo registrato in esclusiva il parere del direttore del doppiaggio), Prieto che organizza una tortura per e-mail, gente con la maschera di Dalí che canta, grida e manifesta sul teatro di uno scontro serrato tra forze dell’ordine e rapinatori. E potremmo andare avanti all’infinito: il Professore che scorrazza indisturbato fino alle porte del Banco di Spagna, Marsiglia che ricopre distanze siderali nel giro di poche ore, Nairobi che dopo un’operazione ai polmoni combatte con un assassino professionista (e non ci rimette le penne per ben due volte), il “diversamente John McClane” Gandía che non muore neanche a infilargli una mina nei pantaloni – salvo poi lasciare in mano a Tokyo l’arma per ferirlo. Insomma, La Casa de Papel va tutta avanti così.
E persino nel finale ci sbalordisce. Tutti ci aspettavamo il cliffhanger e il cliffhanger ci è stato dato. Il Professore è riuscito a liberare Raquel e a introdurla nel Banco, prendendo finalmente in mano il pallino del gioco. Ma Alicia Sierra, nel frattempo destituita dall’incarico, si presenta a sorpresa nella tana del Professore. Scacco matto al re. Di nuovo.
Viene da chiedersi: possibile che Sergio Marquina, la mente geniale dietro ai piani della banda di Dalí, si sia fatto fregare non una, ma ben due volte allo stesso modo?
Le domande sono lecite, la confusione anche.
Eppure, tutto ciò non sembra affatto scalfire, se non in superficie, l’enorme fenomeno mediatico che è diventato La Casa de Papel.
Gli ascolti hanno toccato vette inimmaginabili, i social brulicano di discussioni, approfondimenti, meme, pareri discordanti. Non ce n’è uno che parli della serie senza averla vista in una scorpacciata di “riproduci il prossimo episodio”. Saranno state anche scelte discutibili, ma ogni volta che un personaggio ha alzato la pistola ne La Casa de Papel, siamo rimasti tutti col fiato sospeso. Le sparatorie, la fuga del Professore, la caccia all’uomo all’interno del Banco, tutto ciò, diciamoci la verità, ci ha esaltato anche se ci è apparso surreale. Possiamo stare qui a discutere di come potesse essere evitata la morte di Nairobi, ma la verità è che, quando lei si è accasciata a terra, noi eravamo tutti Helsinki disperati sul tappeto di casa.
Possibile, quindi, che una serie che ha alle spalle un successo così clamoroso, e che continua ad accumulare consensi come se non ci fosse un domani, possa semplicemente far finta di niente davanti a dei mastodontici abbagli?
No, non è possibile. Sembra piuttosto una scelta deliberata, una provocazione che punta al massimo risultato abbassando sempre più l’asticella. E, se ci pensate, è proprio quello che succede con La Casa de Papel. Chi la ama, la ama per quello che è. Chi la critica, corre comunque a fare un’abbuffata di episodi in tempi record. Risultato: tutti la guardano, tutti ne parlano. Semplicemente geniale.
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