Essere liberi non basta. Alle volte la libertà diventa così impossibile da sembrare foschia, laddove nulla ha senso perché nulla è più raggiungibile. Come se riuscissimo a vederci oltre quella nube così densa solo trasformati. Uomini salvi ma sfocati, senza vita. E da qui, dove ha inizio La Casa de Papel, dal punto in cui il nostro unico modo di vederci riflessi in quella dimensione è sentendoci offuscati, siamo incapaci di mettere a fuoco noi stessi. Neanche strizzando gli occhi fino all’estremo possiamo immaginarci proiettati in quel futuro.
Perché la libertà è bella, ma non è tutto.
Diventa inutile, quasi fastidiosa, quando sei sul punto di darle ancora più valore e poi finisce tutto, in pochi secondi. Essere a un passo dal crollo non fa altro che renderti determinato a darle ancora più senso, ad aumentarne il costo e vertiginosamente anche il rischio. A causa di un solo dettaglio il mondo può perdere nitidezza, morire nel grigio della disperazione. Negli occhi di Tokyo diviene abitudine dipendere dagli effetti collaterali delle sue scelte. L’impulsività, conseguenza di una vita fin troppo ingiusta anche come punizione, tesse il fil rouge che la trama non può far altro che seguire fedelmente.
E inciampa, si rialza a fatica, lascia un nodo dietro di sé, sempre più grande, sempre più pericoloso, corre, non può far altro che scorrere il tempo, che si porta via la trama e gli intrecci. Sembra una storia senza fine, ma forse tutto è cominciato da lì, dalla fine di una vita, da una rinascita improvvisa e insperata. In alcuni momenti si ferma anche lui, il tempo. Non ci riesce proprio ad andare avanti, rallenta, guarda le morti che accadono e che sapeva sarebbero accadute, ma non ha mai potuto farci nulla. Deve passare, anche davanti alla morte, sua estrema manifestazione.
E ogni volta che da quella prigione si sente vicino il rischio del crollo dell’impresa, della distruzione della felicità, la storia si ripete.
Libertà o denaro? La domanda non è mai stata contemplata esplicitamente, forse perché sarebbe scontato scegliere la cosa più banale, il regalo che nessuno di loro ha mai avuto. Allora si continua a stampare, a non pensare, ad agire per il futuro che da offuscato si fa sempre più nitido. Riusciamo persino a vederlo riflesso nel sorriso di Nairobi mentre incita quasi con dolcezza e determinazione i veri operai dell’impresa. Ed è forse lei l’emblema della scelta del gruppo. Non ha nulla da perdere e uscirne indenne ma senza alcun incentivo non le servirebbe a nulla.
Nella costruzione del progetto ha trovato il modo giusto di vivere, quello che la rende totalmente impegnata. La Casa de Papel è tutta qui. Nella redenzione trasformata in rinascita, nel momento in cui basta mettere le mani a terra dopo una caduta e rialzarsi con fiducia. Dimenticando solo per un attimo la storia passata per riuscire a erigere le basi per un futuro diverso, migliore forse.
Allora la libertà perde tutto il suo valore, non ha più senso se presa da sola.
C’è bisogno di altro, di qualcosa di fondamentale, persino più importante della libertà. Bisogna uscire dalla zecca con un peso maggiore. È necessario che tutte le cose ne escano con un valore più alto di quello che avevano quando sono entrate. Ed è esattamente quello che è successo, tutto ciò che La Casa de Papel ha dato all’inizio non è neanche la metà di quello che ha regalato alla fine. Una libertà pagata milioni, con la quale un gruppo di persone ha scritto la propria storia e quella di un paese.
Vale certamente di più, è la parola chiave de La Casa de Papel, onnipresente ma sperimentata solo alla fine. Di certo è sempre stata lo scopo finale, arriva però in molte occasioni a essere messa in secondo piano a favore del valore più effimero e materiale. Eppure arriva ad avere un significato totalmente diverso dal normale, riesce alla fine a rendere nitida quella dimensione in apparenza così sfocata. Ed è così che ogni comparsa si riconosce nelle figure di un futuro ormai non più irraggiungibile.