Gli occhi galleggiano sull’anima e rivelano chi siamo. Così quelli del Professore, enigmatici e scaltri, acuti e penetranti. La posizione privilegiata da cui osserva le cose. Sergio Marquina, in arte Il Professore, è il primo personaggio con cui La Casa de Papel con ci permette di creare un legame indissolubile. Il primo con cui entriamo in confidenza quasi subito.
Ha la faccia da vagabondo irrequieto quando ci ingaggia la prima volta sul ciglio della strada, a bordo di una Seat Ibiza rossa del ’92.
Sorrisi timidi, imbarazzati, si fanno largo tra un tic nervoso e l’altro, a tratteggiare i contorni di una personalità complessa con cui pian piano entriamo in sintonia. Ma il Professore, non serve dirlo, è molto più di questo (e, se non dovesse bastarvi, eccovi qui dieci motivi per amarlo ancor di più). Ce ne accorgiamo dal modo in cui posa gli occhi sulle cose, da come ci guarda dentro. Oltre quelle lenti spesse, dietro cui regge i fili del gioco, si cela il suo universo impenetrabile.
L’universo di un anarchico amante delle regole, di un genio criminale dall’animo buono, di un ribelle con la passione per l’origami. E, soprattutto, di un idealista ostinato.
Il suo sogno parte da lontano, mette le radici in un letto di ospedale, tanti anni prima. È un sogno che profuma di soldi, certo, ma che si accompagna agli strascichi di un’idea disperata e dolce: che nessun padre debba morire criminale per salvare la vita del proprio figlio.
Basterebbe partire da qui e sarebbe sufficiente per volergli bene per sempre. Basterebbe partire da qui e scordarsi di tutto il resto, della voce metallica dietro il telefono, degli espedienti per salvare la situazione, della banda, di Raquel, del casale di Toledo.
E invece La Casa de Papel ci mostra un personaggio che è tutto questo e anche di più. In lui c’è la storia di un riscatto atteso da tempo e di una promessa da mantenere.
Siamo la Resistenza. Non una qualsiasi banda di rapinatori, ma l’idea romantica di un riscatto sociale che pesta i piedi ai poteri forti.
Il Professore ha pensato a tutto. Il suo non è solo un piano per mettere in piedi la rapina più strabiliante che sia mai stata escogitata. Il suo è un inno alla libertà e uno schiaffo in faccia all’ipocrisia spicciola di una società malata e corrotta, in cui il confine tra buoni e cattivi viene continuamente ridisegnato e abbattuto.
La sua è la vittoria del Camerun in rimonta sul Brasile.
Potresti realizzare tutti i tuoi sogni senza fare del male a nessuno.
È il principio cardine di un antieroe gentile che sembra essere completamente fuori dal tempo. In un mondo dominato dalla violenza, infatti, dove le teste si piegano al rumore degli spari, predicare la gentilezza diventa un’eresia.
Ma Sergio, prima di diventare il Professore, è stato un bambino malato che ha visto scorrere l’infanzia dietro la finestra di un ospedale, tra la puzza alcolica di medicinali che ristagnava nell’aria. È stato un orfano di padre quando ne aveva più bisogno e, suo malgrado, lo scarto di una società che pensa agli uomini come a degli ingranaggi standardizzati e senza anima.
Il Professore è nato per la voglia di rivalsa nei confronti di quella vita che gli ha strappato via il padre troppo presto. Ma anche, a un livello più profondo, per dare un po’ di pace al senso di inquietudine che traspare da ogni suo gesto.
Siamo la Resistenza, combattiamo in trincea per realizzare un sogno. Ci abbarbichiamo a un’idea per sentirci vivi e per mostrarla al mondo.
Non si può amare La Casa de Papel (la terza stagione uscirà su Netflix il 19 luglio) senza provare un affetto istintivo per colui che ne è la mente e lo stratega. Così come non si può fischiettare Bella ciao senza pensare che, quella stessa canzone, il nonno del Professore la canticchiava sulle montagne col fucile in spalla, incalzato dal fuoco fascista.
La casa di carta si è aggrappata all’idea di una Resistenza che sembrava ormai andata e ha cercato di renderla in qualche modo attuale, colpendo dritto alla pancia delle persone. Ma è una Resistenza di disgraziati cui la vita avrebbe dovuto offrire una seconda possibilità.
E il Professore è il partigiano al comando. Per cui basta una parola e siamo tutti arruolati!
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