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La Casa de Papel ha toccato vette di trash inarrivabili – La recensione della quarta stagione

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Stavolta non sarà facile parlarne. Non sarà facile perchè durante questa stagione è cambiato un po’ tutto. O meglio: non è cambiato davvero tutto, ma si sono acuite alcune caratteristiche che già La Casa de Papel nei precedenti capitoli aveva assimilato come proprie facendone a tratti quasi un furbo motto identitario, sapendo paradossalmente trasformare dei punti deboli in tratti che, piacessero o meno, finivano col rappresentare un punto di forza del fenomeno mediatico, ancor prima che della serie stessa.

Non sarà facile parlarne perchè La Casa de Papel è andata oltre. Ha esagerato con le baggianate e con l’approssimazione. E ha perso per strada anche la forza trascinante di una trama che, volente o nolente e pur con tutti i suoi buchi, era estremamente accattivante specialmente nelle prime due stagioni.

In questo quarto atto, la serie acquisita da Netflix sembra quasi essere andata fuori giri. Schiava dei suoi stessi difetti che si sono pian piano trasformati in problemi enormi, e che nonostante la forza ancora devastante del fenomeno mediatico rischiano di diventare ingestibili da adesso in avanti.

Ma prima di andare avanti, torniamo indietro. La terza stagione si era conclusa comunque col botto e lasciava sperare in alcune evoluzioni che avrebbero dato alla serie la possibilità di crescere, senza contorcersi stancamente nei suoi soliti clichè. Il Professore si era incazzato perchè avevano – anche se poi non era vero – ucciso la sua amata Lisbona e aveva ordinato la guerra. Guerra che era partita in maniera puntualissima: quelli che prima, agli occhi del popolo, erano dei rapinatori dal cuore d’oro avevano fatto fuoco sugli uomini dello Stato, bruciandone vivi alcuni. Dando vita a una potenziale evoluzione interessante: come avrebbero reagito i fan della banda del Professore davanti a una simile carneficina? Come si sarebbero comportati una volta presa consapevolezza del fatto che quel gruppo insurrezionale e rivoluzionario era diventato un gruppo di spietati killer?

Quella offerta dal finale della terza stagione era una bellissima opportunità, che La Casa de Papel ha sprecato. Al momento di ripartire con questa quarta stagione, di quegli intenti che si erano palesati a fine terza non c’era più traccia. Tabula rasa. Senza coraggio di evolvere e servendosi dell’ennesimo buco di sceneggiatura che sembra quasi creato ad hoc, gli autori si dimenticano colpevolmente di quegli eventi e continuano a fare esattamente quello che gli pare. La Casa de Papel non cambia punto di vista, se ne frega delle conseguenze e continua a raccontarci che la banda del Professore rappresenta i buoni, concentrandosi sul finto arresto di Lisbona e sulla quasi morte di Nairobi che in fondo, altro non sono che la conseguenza di una guerra ormai troppo violenta in cui quelli travestiti con le maschere di Dalì in faccia hanno fatto ben più morti di quelli che hanno subito.

La Casa de Papel tenta di rimbambirci servendoci su un piatto d’argento i soliti ghirigori amorosi tra i protagonisti e la solita solfa legata a colpi di scena costanti ma sempre più deboli. Non cambia posizione, o più semplicemente non prende una posizione. Era molto più facile chiudere un occhio sugli innumerevoli buchi di trama quando la trama era comunque nel complesso entusiasmante e più che funzionale a un intrattenimento quasi primordiale, ma al contempo efficace. Tuttavia i colpi di scena vistosi, tratto caratterizzante della serie anche in questa quarta stagione, un tempo sapevano inchiodarci alla sedia facendoci dimenticare del resto. Adesso no, perchè abbiamo la sensazione di star assistendo a qualcosa di già visto. Già visto troppe volte, con una ciclicità ridondante.

Al posto della trama entusiasmante ma imperfetta è arrivato il trash. O meglio, è salito in cattedra il trash, che già c’era prima ma che nella season 4 raggiunge vette inarrivabili. E per quanto non sia lusinghiero dirlo per una serie che ambirebbe in teoria a rapirci per ben altre cose, il trash diventa quasi il maggior punto di forza di questa quarta stagione.

Soprattutto nelle prime 4 puntate ci siamo divertiti, assistendo a una serie di scene assurde che mai avremmo pensato di vedere tutte insieme in quello che teoricamente dovrebbe essere un drama, e soprattutto in così poco tempo. Discorsoni d’alto rango tra Denver e Tokyo col primo che paragona la seconda a una Maserati, sulla quale la seconda invita il primo a fare un giro ma il primo la ammonisce dicendo che rischia di portare la macchina in officina a cambiare le sospensioni, e vedrà come si ridurrà il telaio. Canti folli con dei monaci protagonisti assoluti sulle note di Cerco un centro di gravità permanente di Battiato, dopo che già prima avevamo assistito a un’altra scena super trash con Ti Amo di Umberto Tozzi in sottofondo (nessuno mi toglierà dalla testa che questo sempre più clamoroso dominio delle canzoni italiane sia legato al fatto che la serie ha un successo fuori dal normale proprio in Italia).

Ma i momenti più trash ce li ha offerti sicuramente Marsiglia: il suo “”””approfondimento”””” è stata sicuramente la cosa più bella che ci abbia regalato La Casa di Carta in questa quarta stagione. Marsiglia nel deserto. Marsiglia col casco dentro una macchina. Marsiglia col toro. Marsiglia che regala massime sul pisciare, sull’amore o sulla funzionalità dei ravioli. Che beve birre analcoliche facendo ammiccamenti su potenziali performance erotiche. Vogliamo Marsiglia ovunque. Un personaggio comico straordinario, da trasferire in una comedy. Prenderlo dalla Casa di Carta, cosi, e trasferirlo in una comedy in cui dovrà fare semplicemente Marsiglia della Casa di Carta. Non chiediamo nient’altro.

“Triste profesore. Se vuole possiamo parlare di sentimenti”

Marsiglia durante l’insensatissimo scontro fisico col Professore

Il problema è che nella seconda parte della stagione il trash cala, la serie prova a farsi più seria e mostra tutta la sua inadeguatezza. In una sorta di ipnosi autoindotta continua disperatamente a strizzare l’occhio allo spettatore facendo leva sul populismo, con metafore sportive per ogni cosa, dal calcio al tennis ai motori. Senza però più poter fare affidamento su una trama che, al di là dei pluricitati e ormai onnipresenti buchi, sembra non funzionare più. I cliffhanger di fine puntata, storico punto di forza, diventano sempre meno incisivi. Molti macrotemi portanti si sono indeboliti, su tutti quello dell’amore, ormai destrutturato da ogni tipo di costruzione con innamoramenti che avvengono alla velocità della luce, vedi Nairobi che dichiara amore a Helsinki prima e Bogotà poi nel giro di mezza giornata.

In un contesto del genere, risultano indebolite anche le morti strazianti come quella di Nairobi: siamo lontani dai livelli di empatia provati ai tempi della fucilazione di Berlino, che pur tramite flashback continua a essere uno dei pochi personaggi davvero intriganti della serie, che soprattutto in questa quarta parte ha subito parecchio la sua assenza.

Nella terza parte si erano visti anche migliori effetti di scena e un aumento esponenziale della fotografia, che sembravano conseguenza diretta dell’effetto Netflix: anche questi pregi acquisiti, durante la quarta stagione sembrano un lontano ricordo.

E così, rimane poco. Rimane un finale che ci regala gli ennesimi raffazzonatissimi escamotage narrativi buttati là solo per far rimettere ogni tassello al suo posto e poi scombinarlo nuovamente: Lisbona viene riportata in gruppo dopo la buona riuscita di una strategia così banale che probabilmente erano 20 anni che non la vedevamo in televisione, ma poi il Professore, che ricordiamolo in teoria sarebbe un genio totale, viene sgamato nel suo nascondiglio da Alicia Sierra poichè il genio totale si è dimenticato di mettere almeno un paio dei suoi innumerevoli uomini a disposizione che spuntano come funghi a presidio del nascondiglio stesso. Machissenefrega, l’importante è la citazione scenica: “Scacco Matto, figlio di put*****”.

Da questo si ripartirà di nuovo per la quinta parte, ma stavolta temiamo sia davvero troppo poco. Un tempo La Casa de Papel era tanto fenomeno mediatico con un po’ di serie. Ora è tutto fenomeno mediatico con quasi niente rimasto della serie. Un ibrido tra telenovela, comedy ed action movie, che ha trasformato la sua tremenda ma affascinante imperfezione in un totale stato confusionale. Con l’ipotesi concreta che, nonostante la ancora trascinante forza del prodotto nella sua accezione di fenomeno mediatico, dopo la quinta stagione saremo costretti a dirle “Oh Bella. Ciao”. Ma stavolta ciao per sempre.

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