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Bella Ciao
Le rivoluzioni si combattono fino alla fine, costi quel che costi. La resa non è mai un’opzione considerabile e ogni grande impresa è realizzabile se c’è il sacrificio di un martire. L’ha mostrato Berlín, leader della rivalsa proletaria dal nome ironico, con l’ultima battaglia. In trincea, per coprire le spalle dei compagni ormai involati verso il trionfo. Una vittoria nella quale non potevamo non sperare: non è solo una questione di empatia, perché questo è molto più del Camerun che mette in ginocchio il Brasile. Questa è una rivolta sociale, che sfila un miliardo di euro dalle tasche dei ricchi per metterli a disposizione di nove disperati.
Il sogno di un nonno partigiano e di un padre che aveva a cuore il destino del figlio malato è diventato realtà: il mondo della finanza che con una mano invisibile (ma consapevole) impone una dittatura subdola è stato messo in ginocchio dall’astuzia e dall’eroismo di chi non aveva più niente da perdere e intendeva regalarsi un futuro più sereno. Una rivoluzione, incarnata dalle note fuori dal tempo di Bella Ciao, più volte menzionata e cantata a squarciagola nei momenti chiave, dalle tute rosse dei compagni, dall’idealismo del Professore e, in ultima battuta, dal sacrificio di un dittatore che non ha (quasi) mai rinunciato alla democrazia.