ATTENZIONE: proseguendo con la lettura potreste imbattervi in spoiler sulla quinta stagione de La Casa de Papel.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Come ci sentiamo a scomodare Catullo per descrivere i contrastanti sentimenti che La Casa de Papel da sempre ci trasmette? Ovviamente non granché, ma questo è veramente nulla rispetto alle trashate che la quinta stagione ci ha costretto a sopportare. Perché sì, noi volevamo solo sapere come sarebbe finita per i Dalì della porta accanto, quali stratagemmi avrebbero utilizzato quest’ultima volta per evadere, e invece non si sa come – beh in realtà era fin troppo prevedibile- ci siamo ritrovati in una guerra in stile videogioco, intervallata soltanto da battute cringe e siparietti non abbastanza commoventi da farci dimenticare l’imbarazzo provato nelle scene precedenti. Di tutte le mostruosità che le prime sole 5 puntate de La Casa de Papel ci ha garantito, come sempre, ci siamo sforzati di individuarne 5 in particolare che proprio ci hanno portato dove non avremmo mai voluto: a stringerci le ginocchia al petto e oscillare avanti e indietro con la testa, domandando a un interlocutore sconosciuto ‘PERCHE’?’.
1) Uscita a quattro
Così, de botto e senza senso ti arriva sto sbarbatello. Un finto giovane o un finto vecchio, che da ora in avanti ricorderemo come Rafael, il figlio di Berlino. Che? Esatto. Quel volpone di Berlino si sa, di conquiste ne ha fatte e tra idilli e passioni ci è scappato pure un pargolo. Eccoci dunque qui al fatidico incontro, quando Rafael con gli occhi spenti di un Elliot Alderson qualsiasi si rivolge al padre in un misto di sudditanza e imbarazzo. Inadatto alla vita e carismatico come una patata lessa, Rafael potrebbe essere il figlio di chiunque tranne che di Berlino, il quale, lieto di incontrarlo ci tiene a ricordargli immediatamente come la sua nascita sia stato l’incipit della separazione con sua madre. Niente che comunque un bel piatto di aragoste non possa risanare e che Tatiana non possa – prima o poi – distruggere. Elegante e bellissima Tatiana si butta tra le braccia di Berlino baciandolo appassionatamente, mentre Rafael semplicemente vegeta fino a quando l’alano della fidanzata di suo padre non si improvvisa andrologo cercando nei gioielli di Rafael il giusto intrattenimento in attesa che la sua padrona si liberi da quella morsa sensuale. Allo spettatore non resta che guardare impallidito il primo inscenarsi del trash, disilluso e amareggiato: siamo solamente al settimo minuto e già ogni speranza è stata abbandonata. Quale sarà la sorte di Rafael? Riuscirà a bombarsi Tatiana? Ma soprattutto, perché nessuno sta dando da mangiare a quel povero alano?
2) 110 e lode in medicina e chirurgia
Ha schegge tra le vertebre C3, C4 e C5. Un movimento sbagliato e addio mobilità del braccio, o dei polmoni. Nervo frenico, si chiama.
Tokyo, l’allegro chirurgo
Stupidi noi a non immaginarlo. D’altronde dopo i fantomatici esordi delle prime stagioni e l’operazione a cuore aperto della quarta, non poteva finire diversamente. E pensare che è bastata un’estate di mojito e lambada per ottenere una laurea a pieni voti in medicina e chirurgia, altro che aule studio aperte dopo mezzanotte e spritz a 2,50. Ma che poi con che spavalderia, quale sicurezza nel dare diagnosi e che sagacia nell’azzeccarle, credo. La trasformazione è ormai avvenuta: alla fine del suo viaggio la conturbante Tokyo ne esce vincitrice, medico della fanteria. Presto! Qualcuno le dia un camice e una penna con cui scrivere una ricetta a occhi chiusi e poi ci siamo, il sogno di una vita si è finalmente realizzato, e senza neanche essersi sbattuta troppo. Chapeau. Autodidatta presso la strada, indomita macellaia della trincea, presappochista e maestosa nella sua ignoranza: Tokyo ci ha insegnato che se vuoi puoi, e se non puoi fa lo stesso, mal che vada la prossima volta smetterai di alzare la mano quando sentirai urlare ‘c’è un medico in sala?’. Lascia perdere cara Tokyo, non fare in cielo ciò che in terra ci hai fatto subire.
3) Arturito come Rambo
Prendete un idiota e dategli una pistola. Bene, ora prendete Arturito e dategli un lanciafiamme. Il risultato saranno frasi raccapriccianti come questa: ‘Non si preoccupi governatore, il barbecue si farà lì fuori’ e urla alla Rambo tali da risvegliare le coscienze di ogni machista di questo universo e fargli ammettere: ‘se assomiglio a questo sparatemi.’. La storia di Arturito ha stancato da un bel pezzo, ma nonostante ciò vedere quel piccolo bastardo e immaginare quale sarà la sua fine, è un guilty pleasure al quale siamo affezionati. ”Piccola, dissi, sono un genio ma nessuno lo sa all’infuori di me” scriveva Charles Bukowski in Factotum in quella che potrebbe essere la perfetta descrizione del confuso agire di quel malandrino di Arturito quando un giorno qualsiasi decise di prendere un lanciafiamme e fare l’eroe di cui nessuno aveva reclamato l’aiuto. Misogino, molestatore seriale, stupido come la m***a e simpatico come la sabbia nelle mutande, Arturito è esattamente come le verruche in piscina: che tu indossi le ciabatte o meno prima o poi te le dovrai sorbire. Ed è esattamente allo stesso modo che abbiamo dovuto assistere, inermi, a 10 minuti di sproloqui sull’amore e sull‘essere uomo – seguono rumori indistinti di sciacquone – enunciati da Arturito mentre cercava di domare il suo nuovo giocattolo fiammante. Ebbene sì, 10 minuti della nostra vita che non torneranno mai più indietro.
4) Gandia il picchiaduro
Chi fermerà la musica? – cantavano i Pooh. Ma davvero, chi lo ammazza Gandia? Il gioco è bello quando dura poco, e questo gioco ha già stancato dopo i primi 4 minuti di esecuzione, e non si sa come siamo giunti alla seconda stagione di militanza e ancora sto maledetto Gandia continua a turbare la nostra vista. Un impavido nazista come se ne vedono in tutti i film di guerra dal 1950 a questa parte: forte, invincibile, cattivissimo e senza cuore. Il perfido Gandia oltre a non morire mai, o quasi, ha anche un’altra eccelsa dote dalla sua parte: l’imbarazzante atteggiarsi durante il combattimento. Come un personaggio di un videogioco qualsiasi quando aspetta di essere scelto dal giocatore, Gandia oscilla a destra e a sinistra tenendo quel suo testone oblungo in perfetto allineamento con il parallelo di Greenwich, immobile e drittissimo. Una volta che scende in campo però capiamo subito che siamo finiti in una partita di Tekken, tra urla, pugni sul petto e migliaia di altre cose che iniziano per A e finiscono con Mascolinità tossica. Potete sparagli, potete mutilarlo, potete accoltellarlo anche, ma niente, niente tranne i piedini di Tokyo – che se ricordate furono largamente apprezzati dal Gandia-fetish nella scorsa stagione – hanno la potenza di muovere una qualsiasi sensazione nel vuoto animo del combattente. Niente piedi smaltati però in questa quinta parte de La Casa de Papel, ma solo botte da orbi e truculento cringe. Ci ha lasciato facendo ciò che sapeva fare meglio: (inserisci cattiveria qui).
5) Sierra partorisce
Senza ombra di dubbio la scena più trash di tutti i primi cinque episodi della quinta parte de La Casa de Papel. Semplicemente inarrivabile. A quale persona al mondo sarebbe mai venuto in mente di girare una scena de genere, di scrivere un copione del genere e di pubblicare addirittura un episodio del genere? Queste e altre domande, sono quelle che a ruota libera si sono affollate nella mia mente quando priva di qualsiasi difesa ho dovuto assistere al parto di Alicia Sierra. Che avrebbe partorito nella tana del Professore era prevedibile fin dalla stagione precedente, ma mai nessuno avrebbe potuto pensare che sarebbe accaduto in questa grottesca maniera. Il dolore lancinante, poi finalmente il parto e infine la partecipata commozione. Alicia Sierra sa di non potersi fidare di nessuno se non di se stessa, ed è proprio per questo motivo che dopo essersi autoproclamata ‘la regina delle figlie di pu***na’, brandisce un manico di scopa rendendolo un bastone da selfie che rivolgerà verso la sua vagina declamando i molti motivi per i quali la Spagna è casa sua e cito: ‘Questo bambino adora il rischio, figlio di pu****a’. Ok Ali, figurati, se non lo sai tu chi siamo noi per giudicare, ma diciamo che infilarsi un righello di metallo dove sai tu per misurare la dilatazione ora non ci pare la migliore delle idee, poi fai tu. Tanto, troppo scompiglio è ora che qualcuno, un deus ex machina cali sulla scena per rasserenare gli animi: Marsiglia, per favore, fai qualcosa.
Sierra: Quanto sono dilatata?
Professore: La dilatazione si misura palpando
Marsiglia: Che parte del piano è questo?
Puntuale, senza alcuna sbavatura, Marsiglia parla poco ma quando lo fa ti stende. Brividi. Grazie Marsiglia, ti saremo sempre debitori. Sempre.