Odioso, spione, infame, vigliacco, doppiogiochista, per non citare tutti gli epiteti che non possiamo certo scrivere: Arturito de La Casa de Papel se li è guadagnati tutti. In effetti, analizzando il suo personaggio, non si può certo definirlo un esempio positivo. Tradisce la moglie con la sua amante Monica, e tradisce Monica con la moglie: esilarante il suo lapsus al telefono con Laura dopo essere stato ferito.
Ordisce complotti e macchinazioni per far evadere gli ostaggi, non curandosi di causare morti: Oslo verrà ucciso per colpa sua. Manipola chiunque gli stia attorno per raggiungere lo scopo di uscire dall’incubo della Zecca. Arriva a intimidire il tenerissimo signor Torres, collaboratore di Nairobi, minacciando di licenziarlo. Colpisce alle spalle Denver, frignando e implorando per la sua vita subito dopo, come il peggiore dei vigliacchi. E tutta una serie di altri episodi che chi ha visto La Casa de Papel conoscerà a menadito.
Insomma, Arturito è il personaggio in assoluto più odiato de La Casa de Papel, e forse dell’ultimo periodo. Tutti d’accordo, no?
Eppure…
Ricordate quando a scuola c’era quel compagno che tutti prendevano in giro e tenevano in disparte, magari perché era il primo della classe e il cocco della maestra? E non era il primo della classe simpatico, che ti passava i compiti, ma quello bastardo, che segnava i “cattivi” alla lavagna e se provavi a passargli un bigliettino chiamava la maestra? Quello che, quando lo menavi, prima implorava pietà e poi ti attaccava alle spalle?
Ecco, quello! Quello è il primo esempio, e quello che tutti abbiamo sperimentato, di Arturito. Il debole con i forti e il forte con i deboli. L’infame, la carogna. Quello che alla fine tutti tengono in disparte perché nemmeno gli ostaggi lo sopportano più. Quello che è talmente bastardo e amorale che arriva a farci simpatia. Perché Arturito rappresenta la parte marcia e sbagliata di noi, quella che teniamo tutti accuratamente nascosta.
Perché vorremmo tutti essere dei Berlino, ma nessuno ha il coraggio di dire che almeno una volta nella vita siamo stati degli Arturito.
E in fondo, chi non avrebbe fatto almeno una delle cose che ha fatto lui ne La Casa de Papel per salvarsi? Arturito in fondo è un essere umano che cerca di sopravvivere. E mali estremi richiedono misure estreme. Come ribellarsi, lamentarsi, non stare mai fermi ad aspettare, ma architettare soluzioni continuamente, senza sosta. Quello che fa lui, in fondo. La Casa de Papel è costruita apposta per farci provare empatia con i rapinatori, per farceli risultare simpatici. Ma al posto di Arturito, nella vita reale, avremmo agito come lui. Non ci saremmo rassegnati, avremmo lottato, magari anche in maniera goffa perché non siamo degli eroi.
Arturito è un personaggio pensato, scritto e recitato per farci ridere e arrabbiare. Tutto, a cominciare dall’aspetto, è immaginato con questo scopo. Questo ometto goffo, grassottello, che non sta mai zitto, che tenta atti di eroismo finiti tragicamente o comicamente, ci fa sbellicare e infuriare allo stesso tempo. Berlino è costruito allo stesso modo. Un bell’uomo distinto, misterioso, di poche parole e molti fatti. Vorremmo essere come lui, ammiriamo tutto quello che fa. Eppure Berlino fa cose ben peggiori di Arturito.
Ordina l’uccisione di Monica: sì, va bene, dopo se ne pente ma intanto, se non ci fosse stato Denver, lei sarebbe morta. Separa un gruppo di donne dal resto degli ostaggi, e le terrorizza facendogli credere che sarebbero morte tutte. Sequestra una ragazzina fragile e impaurita, legandola e imbavagliandola, esponendola fiero allo sguardo terrorizzato della sua insegnante. E infine la cosa peggiore: violenta ripetutamente Ariadna e, non contento di ciò, la porta con sé in prima linea col rischio di ucciderla.
Però lui è l’eroe, e Arturito l’infame.
Sia chiaro, non vogliamo certo sminuire le azioni del direttore della Zecca, né gettare fango su un personaggio, Berlino, che ci piace da morire. Il confronto però è necessario perché questi personaggi rappresentano una parte di noi. Berlino è il nostro Super Io, quello a cui tendiamo, che vorremmo disperatamente raggiungere, l’idealizzazione di noi stessi.
E il nostro Io, anzi il nostro Es, la parte più ancestrale, animalesca e feroce di noi, è votato alla sopravvivenza a qualunque costo. È Arturito. Siamo esseri umani, vogliamo essere apprezzati, tendiamo a dei modelli di virtù e perfezione, spesso idealizzandoli. Ma dentro di noi è sempre presente quella parte vigliacca, meschina, da primo della classe, che affonda la nostra rincorsa alla perfezione.
Arturito rappresenta tutto questo ne La Casa de Papel. Ciò che respingiamo perché ci rappresenta molto più di ciò verso cui tendiamo. L’immagine eccessiva, distorta ma chiarissima, della nostra parte più nascosta. L’antieroe, il giullare che oppone alle armi la sola forza della voce e la sua mancanza di scrupoli.
Arturito ci rappresenta molto di più di Denver, di Tokyo, di Nairobi, di Mosca, di Berlino. E non vogliamo accettarlo, perché significherebbe mettere in discussione noi stessi, i nostri principi che almeno una volta nella vita abbiamo violato. Ciò non significa che siamo tutti degli infami, dei vigliacchi, dei traditori, dei pusillanimi. Ma quella parte molle e marcia è presente in noi, ed è radicata ad un livello molto più profondo della nostra spinta all’idealismo.
Perciò usciamo allo scoperto. Diamo alla macchietta de La Casa de Papel il peso che merita. Un piacevole imprevisto nelle azioni dei nostri eroi che può insegnarci qualcosa su noi stessi.