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La Casa di Carta è populista?

La casa di carta
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La casa di carta ci ha accompagnato per due stagioni intrigandoci e appassionandoci come poche altre Serie hanno saputo fare nell’ultimo periodo. Ha avuto la capacità di diventare virale, in brevissimo tempo, a livello mondiale, riuscendo a consacrare ancora una volta Netflix come rapace profittatore di futuri successi seriali. La forza di quest’opera sta tutta nella capacità di coinvolgimento dell’osservatore. Rimaniamo incollati allo schermo in costante proiezione verso quello che verrà.

Gli episodi scorrono veloci come fossero manciate di minuti. In poco più di un giorno possiamo ardire all’impresa per nulla faticosa di concluderne la visione senza sentirci appesantiti. La trama multifocale, la caratterizzazione dei personaggi, la partecipazione che suscita permettono di gustare continuativamente l’opera in un binge-watching che non stanca affatto.

Arrivati quasi a conclusione della seconda stagione, però, in un momento di massima tensione, il Professore, fino a quel momento impeccabile tuttologo, si lascia andare a qualche considerazione… un po’ avventata. Da qui la (legittima) domanda: La casa di carta è populista? Per rispondere a questa domanda torniamo indietro di qualche episodio. La casa di carta

Ricordate il momento in cui Berlino e il Professore alzano i calici a suon di “Bella, ciao”?

Bene, se vi siete chiesti il senso di questa strana associazione di sicuro non avete tutti i torti. La logica, un po’ poco logica, affonda le sue radici nel senso della Resistenza. E nel suo legame con la canzone e con i due personaggi. C’è la volontà da parte degli autori de La casa di carta di richiamare qui, nell’impresa che i due fedeli compagni si apprestano a compiere, quella, ben più “alta”, realizzata dai partigiani. Berlino, Tokyo, Rio, Nairobi, Helsinki, Denver e Mosca come novelli oppositori al regime. Già, ma quale regime?

Nel caso dei membri della Resistenza appare da subito chiaro che il “regime” è quello nazi-fascista installato in Europa Occidentale durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma ne La casa di carta? L’associazione è meno elementare. Come abbiamo proposto in un precedente articolo e come affermato dallo stesso showrunner della Serie, Alex Pina, “La casa di carta è un inno alla Resistenza”.

Una resistenza, d’accordo. Ma a cosa?

Se a prima vista i personaggi che compongono l’eterogeneo quadro compositivo della Serie possono apparire dei semplici ladri, qua e là, nel corso degli episodi notiamo nel Professore un idealismo, più o meno fondato, teso in un certo senso a giustificare la sua impresa ammantandola di valore positivo. I personaggi finiscono, almeno pare, per condividere questa sua visione. Tokyo, per esempio, si trova ad affermare: “La vita del Professore ruotava intorno a una sola idea: ‘Resistenza’. Suo nonno, che aveva resistito con i partigiani per sconfiggere i fascisti in Italia, gli aveva insegnato quella canzone. E lui l’ha insegnata a noi”.Il professore

A questo punto, però, ancora ci sfugge un particolare. In che modo si manifesta questa supposta resistenza e contro chi? In nostro soccorso arriva prontamente il Professore stesso che nel finale di seconda stagione si lascia andare con l’ispettore Raquel a un monologo carico di acceso livore.

Sarà utile riportarlo qui per intero prima di analizzarne i contenuti.

Nel 2011 la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla centosettantunomila milioni di euro. Dal nulla. Proprio come stiamo facendo noi. Però alla grande. Centottantacinquemila nel 2012. Centoquarantacinquemila milioni di euro nel 2013. Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche. Direttamente dalla zecca ai più ricchi. Qualcuno ha detto che la Banca centrale europea è una ladra? Iniezione di liquidità l’hanno chiamata e l’hanno tirata fuori dal nulla. Dal nulla.

A questo punto ci appare tutto più chiaro. Quello che sul finale di prima stagione era stato un immotivato quanto travolgente fomento (chi può negare di essersi fatto trasportare dalle note di Bella, ciao?) trova ora anche una sua logica (non dovuta?) giustificazione. Il “nemico”, il “regime” contro cui battersi e fare resistenza sarebbe quello della BCE. Il monopolio delle banche, foraggiate dalla Banca Centrale Europea, colpevoli di godere di favori particolari. Insomma, l’eterna lotta tra ricchi e poveri.La casa di carta

Andiamo però per un momento ad analizzare meglio i contenuti.

Il professore parla di una “iniezione di liquidità”. Non molti anni fa, nel periodo al quale fa riferimento il Professore, Mario Draghi, presidente della BCE, tenne a chiarire che “Il credito fornito alle controparti bancarie nelle operazioni di liquidità non può essere né deve essere interpretato come un’iniezione di capitale a banche in difficoltà”. In particolare, Draghi faceva riferimento a un programma che prevedeva l’acquisto da parte della Banca centrale di titoli di debito di Stato.

Solo apparentemente degli “aiuti” alle banche nazionali. Stesso discorso per gli Omt, quelli a cui probabilmente (e dico probabilmente perché i numeri sono del tutto sballati) fa riferimento il Professore. Si trattava, per farla facile, di aste di prestiti (a tasso “agevolato”) a banche europee. Prestiti, quindi. Nessuna donazione, nessun “regalo”.

Per quanto pure si tratti di una creazione di denaro “dal nulla” essa esige una garanzia, una contropartita. Nel caso dei prestiti, appunto, la restituzione della somma con l’interesse maturato. L’intento era quello di rivitalizzare i movimenti economici europei permettendo alle banche di concedere a loro volta prestiti e aste di titoli a cifre più vantaggiose per gli investitori (cioè noi).

Questo in soldoni. Ma abbandoniamo l’aspetto più prettamente tecnico e torniamo a La casa di carta.

la casa de papel

Alla luce di quanto detto può effettivamente essere considerata populista? Sicuramente il discorso che il Professore fa rispecchia certo populismo piuttosto diffuso al giorno d’oggi. A questo punto, allora, le strade da percorrere sono due. O riteniamo che il Professore creda davvero a quanto detto, oppure… C’è un ‘oppure’. Ricordate la strategia adottata durante la rapina?

Evitare lo scontro armato, non fare feriti e morti, risultare accattivanti ed “eroici”. Il tutto per un fine ben preciso: ottenere il favore dell’opinione pubblica. In questo modo si sarebbe rimandata più a lungo l’irruzione dei corpi speciale e, una volta guadagnata la fuga, si avrebbe avuto il favore omertoso dei cittadini, idealmente schierati dalla parte dei rapinatori.

E se tutto questo discorso infarcito di facile populismo non fosse allora che l’ennesima giustificazione apparente di fronte all’opinione pubblica da parte del Professore? Non possiamo dirlo con certezza ma potrebbe senz’altro rappresentare un’eventualità. Certo, il fervore con cui pronuncia quelle parole e il carattere “privato” della conversazione farebbero pensare il contrario.

Ma, al netto di tutto, La casa di carta può essere considerata una Serie populista?

Non proprio. Neanche dopo quanto detto. Già, perché l’opera non ruota di certo sull’aspetto politico-sociale della questione. Non approfondisce (né ha l’obiettivo di farlo) la morale idealista e la visione economica che emerge, invece, solo da quelle poche parole pronunciate dal Professore. Il fine della Serie è, di contro, quello di analizzare i suoi protagonisti. Calarsi nella quotidianità eccezionale di ognuno, nelle loro prigioni mentali ed emotive e restituire profondità a un essere umano sfaccettato e a volte incoerente.La casa di carta

Il Professore, Berlino, Tokyo, Rio, Nairobi, Helsinki, Denver e Mosca non sono soltanto dei ladri. Sono soprattutto uomini con difetti, incertezze, errori passati e una loro sensibilità emotiva. Amiamo La casa di carta non per il messaggio ideologico (assente o populista che dir si voglia) quanto per quello umano. Per l’attenzione che rivolge a tutti i personaggi mostrandoci come spesso e volentieri il bene e il male non siano che concetti astratti.

Dietro quelle idee fisse di giusto e sbagliato, di buoni e cattivi, di ladri e poliziotti si nascondono uomini dubbiosi e fragili pronti ad amare e a essere amati.

Raquel e il Professore non sono che due facce della stessa umanità. Nascosti dietro l’istituzionalità e l’illegalità dei rispetti ruoli, spogliati delle maschere, non restano altro che due persone accomunate dall’ugual bisogno e dalla medesima capacità di amare. Due uomini la cui Resistenza è tutta nella volontà di vincere le coercizioni della società superando la barriera che li separa e lasciandosi andare al reciproco sentimento d’amore. E, in questo, non c’è nulla di populista. Molto, invece, di umano.

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