Caro fratellino,
se stai leggendo questa lettera, allora è finita.
Vuol dire che sono morto, e non ho avuto la possibilità di bruciarla per non farti conoscere i sentimenti e i pensieri che tengo dentro di me. In questo momento mi va di farlo, di farteli conoscere, ma tra poco potrei cambiare idea e non leggerai mai questa lettera. Così non sapresti mai chi ero fino in fondo.
Ci siamo. Domani è il grande giorno, domani inizia tutto. O potrebbe finire tutto.
So che sei nervoso, probabilmente temi che qualcosa possa andare storto. Ho visto la paura nei tuoi occhi, quando ci siamo salutati poco fa. Ho visto come tremava il tuo sguardo, nonostante ci fossimo abbracciati e avessi provato a farti forza nell’unico modo che mi sembrava possibile. Ma forse avevo più bisogno io di quell’abbraccio.
Non so neanche perché sto facendo tutto questo, in realtà. In effetti, è una vera cazzata che un malato terminale si metta a capo di una rapina milionaria sapendo che, anche andasse nel migliore dei modi, avrà poco tempo per godersi i suoi soldi. E il poco tempo non conta, l’importante è come lo passi. E di passarlo a letto in preda agli spasmi, al dolore, nella mia merda e nel mio piscio e pieno di soldi ma incapace a godermeli, non ne ho voglia.
E in realtà, se posso essere sincero con te (e se non sono sincero con mio fratello, con chi dovrei esserlo?), dei soldi non me ne frega niente. Lo faccio per me. Perché mi diverte l’azione, perché mi piace sparare, perché mi galvanizza quell’attimo in cui faccio il mio ingresso in una banca, una gioielleria, un casinò, e tutti lì dentro capiscono nel giro di un secondo che stanno per passare un brutto quarto d’ora. Non mi interessa ammazzare, non mi è mai piaciuto: se ammazzi qualcuno finisce il divertimento, e quella persona non potrà mai più darti qualcosa di suo, fosse anche solo la sua paura. A me piace parlare con loro, costruire un rapporto, capirli. Non puoi comandare se non conosci chi hai sotto di te.
Se non lo faccio per i soldi, allora perché lo faccio, Sergio?
Lo faccio per me, te l’ho già detto. Ma quello che voglio veramente dirti, quello che mi duole così tanto ammettere da farmi venire la tentazione di bruciare queste parole mentre le scrivo, è che lo faccio anche – e soprattutto – per te. Se provassi dei sentimenti fratello, te lo giuro, sarebbero tutti per te.
Quello che hai ideato, quello che hai messo in piedi, è una cosa straordinaria, Sergio, davvero. Riunire tutte quelle persone, infiammarle con l’idea dei soldi, sì, ma anche con un ideale…io non saprei farlo. Perché sono un grande stronzo che sa godersi la vita ma non si è mai scomodato a cercare un significato dietro le cose.
Tu hai bisogno di me perché io sono il tuo braccio, ma tu sei il cuore che non avrò mai.
Per tutti quei disperati, quegli sfigati, quegli scappati di casa, tu sei il Professore. Solo per me sei Sergio, e mi rigiro questo privilegio tra le mani come fosse una pietra preziosa. Io e te abbiamo un rapporto speciale, che va oltre il sangue, oltre la nostra infanzia disastrosa, oltre le nostre vite sempre sull’orlo del baratro…siamo dei sopravvissuti. Questo ci dà una prospettiva nuova sul significato di Resistenza.
Tu andrai fino in fondo a questo piano, lo so. Io andrò avanti finché posso contro questa malattia che mi porto addosso, continuando a bere, a spendere soldi e a fare l’amore come se nulla fosse cambiato. Finché c’è il vino c’è speranza, Sergio, e quando finirà…ne riparleremo.
Non ti ho ma ringraziato per avermi dato il comando del piano perché conosco benissimo le ragioni del tuo gesto. Tu vuoi che me ne vada da questo mondo con la consapevolezza di aver concluso qualcosa nella vita, e non solo con la certezza di avere dei matrimoni falliti alle spalle, una montagna di soldi rubati e nessuno che piangerà sulla mia tomba. Capisco perché lo fai, e hai tutto il mio affetto per questo.
Normalmente non sono un idealista, ma penso che il miglior modo per ripagarti sia mostrarti che anche io so credere in qualcosa, e che posso regalare quel sogno a te. Come ho fatto intonando le note della Resistenza, quando a te mancavano le parole.
Restassimo anche solo io e te in trincea, Sergio, io non arretrerò di un millimetro, hai la mia parola. La parola di un bastardo donnaiolo, materialista, cinico, narcisista ma con la coscienza candida come quella di un neonato.
Avrei ancora tante cose da dirti, ma le mani ormai riescono a malapena a reggere la penna e sento l’adrenalina iniziare a lasciare spazio alla stanchezza. Quando usciremo da lì parleremo di tante cose. Di nostro padre, dei nostri progetti per il futuro. Tu ne hai senz’altro più di me.
Noi siamo la resistenza, Sergio. Non lo dimenticare mai quando saremo dentro.
Ti abbraccio, fratello mio
Andrès
P.s.: se le cose dovessero mettersi male per me, non guardare indietro. Bevi un bicchiere di vino e fatti una bella scopata in mia memoria. Ne hai decisamente bisogno, fratellino.