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La Linea Verticale è la realizzazione del sogno di Boris

La Linea Verticale
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla prima stagione de La Linea Verticale

Un’altra tv è davvero possibile? Se lo domandava dieci anni fa il visionario Boris, e la risposta sembrava esser sempre la stessa: no. Manco fosse affetta da un tumore inestirpabile, la televisione italiana e la sua serialità non sapevano tirar fuori niente di buono. Escluse poche, note, eccezioni, generate, nella maggior parte dei casi, da Sky. Nell’alba del nuovo anno, però, l’inerzia sembra essersi spostata, e il 2018 potrebbe finalmente dare una risposta affermativa all’annoso quesito. Lo dimostrano gli sforzi, faticosi, delle generaliste tradizionali di offrire dei prodotti soddisfacenti ad un pubblico più giovane e acculturato, e lo confermano alcune serie tv, già in onda o prossime all’esordio. Una, su tutte, ha attirato la nostra attenzione e ha catturato i giudizi positivi dei critici più arcigni. Stiamo parlando de La Linea Verticale, e non stentiamo a definirla la realizzazione del sogno di Boris.

La Linea Verticale

L’affermazione non è casuale perché le due serie, seppur diversissime, sono strettamente correlate. Mattia Torre, regista e autore de La Linea Verticale e del libro omonimo dal quale è tratta, è stato uno degli sceneggiatori di Boris (di cui ha anche codiretto alcuni episodi) e i cast presentano diversi interpreti in comune (Paolo Calabresi, Ninni Bruschetta, Antonio Catania e Giorgio Tirabassi). Non finisce qui. O meglio, è solo l’inizio. Boris, infatti, ha messo in scena con una satira molto efficace uno spaccato dell’Italia che non funziona e non sa rinunciare ai propri vizi, sfruttando il set di una serie tv come spunto per raccontare una realtà globale. Un po’ come ha fatto, rinunciando alla comicità in nome di un’ironia meno brutale, La Linea Verticale, un medical dramedy sui generis che ha concentrato in otto episodi da venticinque minuti un microcosmo surreale, grottesco e allo stesso tempo sincero e realistico. Una serie coraggiosa, che si è proposta di evidenziare senza moralismi i problemi della sanità pubblica italiana.

Vi ricorda qualcosa? Se avete visto la terza stagione di Boris, la risposta è in due parole: Medical Dimension. Come ben sappiamo, il progetto di “qualità” naufragò presto sotto i colpi di una produzione che l’aveva concepito con il preciso scopo di essere fallimentare, ma La Linea Verticale, in fondo, sembra essere il compromesso ideale tra MD e la stessa Boris. La concretizzazione di un sogno, realizzato dalla Rai che, in controtendenza rispetto alle politiche seriali portate avanti da troppo tempo, ci ha regalato un gioiellino inatteso. Perché, diciamolo, La Linea Verticale è davvero bella e, seppure scada a tratti in un eccesso di melodrammatica “italianità” che farebbe storcere il naso al caro Stanis, è una delle serie tv più incisive degli ultimi anni. L’abile scrittura di Torre, coadiuvata da un cast convincente che ha dato vita ad una schiera di personaggi originali mai al confine con il macchiettistico, ha mixato al meglio l’ironia surreale di Boris con gli elementi più tradizionali del drama nazionalpopolare ottenendo un ottimo risultato, nei numeri e nello sviluppo del racconto. Bilanciato nel criticare senza essere disfattista, e nel far ridere senza risultare inopportuno.

La Linea Verticale

La Linea Verticale è un viaggio spirituale all’interno di una realtà molto tangibile. Un percorso che buona parte di noi, direttamente o no, è stato costretto ad affrontare almeno una volta nella vita. Le paure e le speranze di un malato di cancro sono state messe in scena senza fastidiosa retorica e stucchevoli odi o invettive incondizionate al nostro sistema ospedaliero che, d’altro canto, ospita al suo interno tanti, meravigliosi, angeli della vita, contrapposti a chi, invece, preferirebbe stare da un’altra parte. Un racconto irto di ostacoli, superati al meglio da Torre e dalla Rai, che ci ha finalmente resi orgogliosi e ha mostrato, soprattutto grazie alla programmazione dinamica dell’ex direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, una volontà di rinnovamento sempre più indispensabile. Un’altra tv, insomma, è davvero possibile, e la qualità può trovare terreno fertile anche con un pubblico generalista, lontano dal target catturato da anni da Sky. La Linea Verticale sarà solo un caso isolato? O è il primo passo di una bella rivoluzione? Nel dubbio, optiamo per la seconda: un’ipotesi concreta, una speranza senza utopie e un incoraggiamento alla René Ferretti. Dai, dai, dai!

Antonio Casu 

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