Il Maine è un posto ubiquo, che esiste un po’ in questo mondo, un po’ nella testa di Stephen King e – grazie alla sua penna – nelle nostre.
È il 1998 e ci troviamo nell’immaginaria isola di Little Tall (dove qualcuno di noi era già stato seguendo il thriller psicologico di Dolores Claiborne, sempre partorito dalla penna del Re).
Sull’isola si conoscono tutti. Un’isola è un mondo a sè, un universo non propriamente chiuso, ma quanto meno delimitato dal mare. La morfologia del territorio impone ai propri abitanti non solo un certo stile di vita, ma anche un’attitudine e quindi un carattere. Essere un isolano ti insegna il senso della comunità. Chiaramente si tratta di una società più “chiusa”, poichè isolata – perdonate il gioco di parole – dalle altre.
La possibile esclusione dal resto del mondo, legata alle condizioni metereologiche, per esempio, acuisce il senso di appartenenza alla tua terra, alla tua gente.
Proprio per questo i fatti accaduti nel 1989 sono rimasti segreti, sepolti nei cuori degli abitanti di Little Tall.
Noi ne veniamo a conoscenza grazie al racconto di uno dei protagonisti dei tremendi eventi occorsi durante quella che verrà da tutti ricordata come “la tempesta del secolo”. L’unico personaggio la cui morale riesce ad avere la meglio sulle dinamiche di potere, di appartenenza, di paura.
Mike Anderson (Tim Daly) era proprietario di un piccolo emporio e sceriffo di Little Tall quando, con una tremenda tormenta alle porte, Linoge (Colm Feore, interprete anche del Sir Reginald Hargreeves nella serie tv The Umbrella Academy) compare sull’isola.
Il suo ingresso in scena è scioccante, non tanto per la sua presenza scenica che è piuttosto corrispondente a un immaginario radicato, quanto per la scelta della sua prima vittima: una signora molto anziana che ci suscita immediatamente tenerezza.
Apprendiamo di lì a poco che Linoge ha dei poteri soprannaturali, che conosce i segreti più reconditi e oscuri di tutti gli abitanti dell’isola, che può assoggettarli alla propria volontà portandoli anche al suicidio o all’omicidio (come avverrà per alcuni di loro) o manipolandone la vita onirica (presto gli isolani si ritrovano tutti nel municipio per scampare alla tempesta del secolo, quando i sonni di tutti loro vengono disturbati da un sogno collettivo di suicidio di massa) e, soprattutto, che il motivo della sua presenza a Little Tall è legato a qualcosa di cui lui ha bisogno.
Ricorsiva è infatti la sua richiesta: “Datemi quel che voglio e me ne andrò”, scrivono i corpi dei malcapitati che Linoge domina mentre è in carcere.
Ma chi è Linoge, a cui ormai abbiamo visto assumere più volte sembianze demoniache?
E, soprattutto, cosa vuole, Linoge?
Sarà il nostro protagonista e voce narrante Mike Anderson a tentare una risposta alla prima domanda.
Linoge, infatti, sembra essere l’anagramma del greco Legiōn, il nome del demone di cui scrivono i Vangeli:
Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest’uomo!». E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione» gli rispose, «perché siamo in molti».
(Marco 5,8-9)
La risposta al secondo quesito ci viene invece fornita dal demone stesso dopo un’attesa durata praticamente per quasi due terzi della visione (la miniserie – che trovate sia su Prime Video che su Youtube – è composta da tre episodi).
Precedentemente Linoge si è impossessato di tutti i bambini dell’isola che sembrano essere in una trance onirica (anche se per qualche minuto li abbiamo pensati morti). Linoge è ormai al tramonto della sua vita di demone (un centinaio di anni li tira ancora, ma per lui sono davvero poca cosa) e vuole un discendente, un erede, qualcuno a cui tramandare i suoi saperi e i suoi poteri. La comunità dovrà dunque scegliere se dar lui uno dei bambini, al contrario moriranno tutti.
Può una comunità portare un simile peso? Con quali conseguenze?
Ecco che gli abitanti di Little Tall (e noi con loro) si trovano di fronte a uno di quei bivi morali capace di annichilire la maggior parte delle persone:
Il sacrificio di uno vale la vita di tutti?
Anche se questo sacrificio implica il rinnovarsi del Male?
Anche se quell’ “uno” che si deve sacrificare è tuo figlio?
È dura, lo so, ma… Questo mondo è un passaggio a pagamento. Certe volte hai da pagare poco, ma il più delle volte il prezzo è alto. E di tanto in tanto è pari a tutto quello che hai.
Come accade spesso nelle storie di King, il fascino di questa serie è racchiuso in tre elementi: l’atmosfera profondamente legata all’ambientazione – isolamento e turbamento – la tempesta del secolo non si abbatte solo sull’isola, ma dentro ogni personaggio e come ogni tempesta non lascia nulla come l’ha trovato; i personaggi perfettamente delineati e caratterizzati; il Male che ci si presenta nelle sue sfaccettature più sfumate e che è capace di insinuarsi come un gas nocivo intorno e dentro a noi.
La tempesta del secolo è una storia nera, in cui non c’è redenzione per nessuno: nè per chi asseconda, per paura, il Male, nè per chi, con tutte le sue forze, lo contrasta.
Da una parte e dall’altra, siamo uniti e per sempre soli nel dubbio di non aver fatto la scelta giusta:
Avrei potuto scrivere a Molly per dirglielo. Ci ho pensato… ho anche pregato. Quando tutte le alternative fanno male, come si fa a sapere qual è quella giusta? Alla fine, l’ho tenuto per me. Alle volte, di solito nel cuore della notte quando non riesco a dormire, penso di aver sbagliato. Ma di giorno so che non è così.