Vai al contenuto
Home » L’amica geniale

L’Amica Geniale 4×07/08 – I limiti delle parole

Lila nel settimo episodio de L'Amica Geniale 4
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul settimo e l’ottavo episodio de L’Amica Geniale 4.

L’argine è rotto. La rete di protezione si è spezzata. L’energia negativa del Rione ha invaso ogni spazio vitale, distruggendo l’illusione che possa esserci salvezza al di là della propria anima. Da Lenù e Lila ai Solara, il margine si è ormai sfilacciato, lasciando il terreno alla violenza e al sangue. Non il sogno della libertà, attraverso l’arte e la comunicazione. Non la volontà di cambiare il Dna di una comunità. Nemmeno l’arma della parola può nulla, di fronte all’irrazionale forza bruta dei soprusi. Oltre la vita, deformata, resta solo la possibilità di sopravvivere in qualche modo.

Si schiude così la nostra analisi del settimo e dell’ottavo episodio de L’Amica Geniale 4, caratterizzata fortemente dal dualismo ormai insostenibile tra le due protagoniste e i fratelli Solara, sfuggiti alla morsa di Lila per fare del Rione il più naturale dei terreni di conquista.

Partiamo da qui, per comprendere meglio cosa abbiamo visto. Ma per farlo, è fondamentale cogliere fino in fondo le sfumature dell’evoluzione di Lila e di Lenù, nonché di tutti i protagonisti coinvolti.

L’Amica Geniale 4 – L’illusione della libertà

Antonio in una scena de L'Amica Geniale 4
Credits: HBO e Rai

Lenù, innanzitutto. Un po’ più libera. Prima di comprendere che libera, a casa sua, non sarà mai. Nel vortice del caos nel quale è immersa fin da quando è nata, i Solara rappresentano per molti versi la “sola” punta dell’iceberg. L’elemento tangibile di una prigione in cui sceglie consapevolmente di stare dentro, col fine di ritrovare la propria voce. Secondo questa prospettiva, la figura tossica di Nino è a sua volta un elemento simbolico, prima ancora che la terribile figura umana capace di tarparle le ali per decenni.

Lenù è libera, almeno da lui: dopo i terribili tradimenti subiti, si è rivelata la squallida nudità di un uomo vanesio che di affascinante non ha più niente. L’avevamo già sottolineato nella recensione de L’Amica Geniale 4 di una settimana fa, a proposito della scena del tradimento. Ed emerge ancora più ora, attraverso le rivelazioni di Antonio. Un uomo per il quale non c’è vita, al di là della mancanza di un riconoscimento costante di se stesso agli occhi degli altri. Non lascia andare nessuno, in nome di un cognome da portare sull’altare del suo narcisismo patologico. Non c’è amore, né sentimento: l’argine di Nino è la ricerca deviante di un desiderio da rinnovare in eterno e di uno status sociale da afferrare a ogni costo, portando chiunque ai suoi piedi.

L’inganno, però, è ormai scoperto: Elena, sfuggita alla sua morsa, sembra poter essere finalmente libera.

Libera di scegliere, di prendere in mano il proprio destino. Di vivere la vita che lei ha in mente, senza più rincorrere la volontà altrui. Libera di prendersi l’amore adolescenziale di un uomo capace di venerarla, anche se con alcuni decenni di ritardo. E di essere una scrittrice straordinaria, un riferimento globale. Essere l’unica complice di una voce autentica, la sua. Senza rinunciare, così, ai propri sogni. Superare l’argine dell’ordine autoimpostosi, connesso all’idea di assecondare gli eventi, essere un elemento passivo, uno strumento nelle mani di qualcun altro. Si illude, Elena. Si illude di poter essere altro, e per un po’ ci riesce. Attraverso l’arte e la sessualità, tra un flirt furtivo e l’appagamento della propria vanità. Rivendica il suo posto nel mondo, e il mondo è suo. Mettendo in secondo piano tutto il resto, anche ciò che conta davvero (le sue figlie, per esempio).

Ma è solo un momento. Come emerge in particolare nell’ottavo episodio de L’Amica Geniale 4 (disponibile su Raiplay), Elena è la Lenù di sempre. Un elemento subalterno che si cela nel paradosso di un nome, il suo, che diviene ogni giorno più importante. Ma continua a essere il mezzo, un tramite. La vocazione del suo romanzo viene strumentalizzato dalla stampa e dal suo editore, così come succederà in un secondo momento all’articolo col quale sperava di poter pregiudicare il potere dei Solara. Dopo esser stata usata da Nino, viene usata da tutti gli altri. Usata, senza esser riconosciuta allo stesso tempo dalla propria comunità più intima: il nido, maledetto. Il Rione. Il resto del mondo è suo, ma non basta mai.

Elena segue le onde, si immerge e si lascia trascinare dal flusso degli eventi e di un istinto che la porta ad agire vorticosamente senza avere un controllo effettivo delle proprie azioni. Neanche questa è la sua vita, in fondo. Ma la diviene, in nome di un’identità atavica da preservare e valorizzare pur non avendo la forza e la lingua per farlo.

A un certo punto, lo capisce. Ha la tendenza a girarsi dall’altra parte ogni volta che si ritrova di fronte una realtà ingestibile, evitando così di riconoscere le dinamiche che portano i Solara ad acquisire il potere che hanno, o le difficoltà della piccola Imma. Ma c’è un confine, e quel confine si lega alle tossicità che la uniscono ancora una volta a quella che dovrebbe essere una delle poche figure rassicuranti della sua fragile esistenza: Lila. Lila, però, ha trovato in lei l’argine estremo per sopravvivere ed evitare di essere fagocitata dalla violenza del Rione.

L’Amica Geniale 4 – La morsa mortifera dei Solara

Marcello Solara in una scena de L'Amica Geniale 4
Credits: Rai ed HBO

Già, Lila. Dopo le scosse di terremoto che avevano fatto crollare le sue certezze più barcollanti (ne avevamo parlato nella recensione della quarta puntata de L’Amica Geniale 4), era arrivato il tumultuoso parto. Dopo il parto, la smarginatura si concretizza ancora una volta nella rottura definitiva della rete di protezione che la teneva ancora al sicuro rispetto ai Solara. Pensava, addirittura, di poterli controllare. Muoverli come se fossero dei burattini tra le sue mani, facendo suo il Rione. Non in nome del proprio ego, ma della crescita collettiva. Lila era altro, senza mai essere altrove. Slegata dalle proprie radici, le riplasmava a sua immagine e somiglianza. Ma anche in questo caso, l’incantesimo si è spezzato.

Riceve tre schiaffi, nell’arco di un tempo limitato. Il primo arriva al matrimonio di Marcello Solara con la sorella di Elena, nel momento in cui Michele oltraggia la sua figura attraverso un richiamo vigoroso a Tina e Imma: sfuggito al suo giogo, il burattino ha ritrovato la brutalità della strada maestra. Il secondo è ancora più vigoroso, e si connette alla tragica figura di Alfonso. Era lui, il suo argine. Ma Alfonso, umiliato al matrimonio e poi malmenato dallo stesso Michele, viene annientato sulle placide rive del mare per poi essere ritrovato morto in spiaggia.

Il terzo è uno schiaffo reale: Michele, non più succube di Lila, arriva a colpirla violentemente, spezzando l’illusione che potesse essere invulnerabile. Lila, per loro, non è più il pericolo: è in pericolo, lei. In quel momento, si aggrappa all’amica di sempre, Lenù. Ma sembra non cercare sostegno, affatto: al contrario, usa l’amica per combattere una guerra per molti versi personale.

Oltre il confine di una battaglia giusta, combattuta da un’eroina controversa ma carica di sentimenti apparentemente universali, ritroviamo la forza caotica di una donna che non sa sostenere il peso del mondo in cui vive.

Sfugge alle responsabilità morali, pur facendosi carico delle sofferenze delle persone che la circondano. E arriva a utilizzare Lenù come se fosse uno scudo, confondendo i margini di un rapporto a suo modo unico.

Un rapporto simbiotico che si riflette nel destino apparentemente affine di Tina e Imma, ma la purezza dell’eterno affetto sembra cedere il passo ad altro. Alla necessità, in particolare, di non vedere più Elena come una mera estensione dei suoi sogni irrealizzati, negateli fin dall’infanzia, ma come una vera e propria arma. L’unica arma per poter contrastare i Solara. L’idea che attraverso il nome di Elena si possa combattere in trincea contro il loro assolutismo, resistendo alle spinte mortifere delle loro azioni. Azioni che rischiano di portarle via ogni cosa, a partire dal figlio (caduto nella spirale della droga). Anche in questo caso, però, è una mera illusione. E il finale dell’ottava puntata de L’Amica Geniale 4 lo esplicita fin troppo bene.

L’Amica Geniale 4 – Il potere disilluso della parola

Lila in una scena dell'ottava puntata de L'Amica Geniale 4
Credits: Rai ed HBO

Lo specchio distorto nel quale Lila aveva costruito un’esistenza alternativa, avulsa dai tormenti del Rione e di un microcosmo in cui la storia si riscrive ciclicamente con parole sempre uguali, si rompe in mille pezzi. Attraverso la cultura, sperava che si potesse combattere l’immobilismo. Attraverso le bugie, essere altro. E distruggere così il potere incarnato dai Solara, un sistema da eradicare per poter finalmente respirare.

La forza bruta, tuttavia, non conosce ragioni. E non riconosce i confini imposti dagli strumenti della parola. Nel momento in cui l’articolo che ha imposto a Elena non sortisce gli effetti sperati (al contrario, stringe ancora di più le mani della famiglia criminale intorno al suo collo), l’argine tra il suo mondo ideale e quello in cui vive crolla. Crolla sotto i colpi di chi non conosce altra lingua al di fuori della violenza, ieri come oggi. Dall’alba dei tempi. Anche quando lo scudo, la sua Elena, ha una fama di caratura mondiale.

Lila, dopo aver trascinato Lenù nel suo baratro, averla portata a guardare coi propri occhi la tragica realtà nella quale è immersa da sempre e averla manipolata affinché arrivasse addirittura a viverci in prima persona (non è un caso che il nuovo appartamento di Elena “dia sulla strada”), capisce che nemmeno l’amica “importante” non possa nulla, al loro cospetto.

Il potere della parola, da lei venerata fin dai tempi in cui le due acquistarono il primo libro insieme coi soldi del “risarcimento” di Don Achille, si infrange sotto i colpi dei criminali: oltre quella certezza sradicata, resta solo la sensazione inedita di essere inerme.

Elena, dal canto suo, è succube della situazione. Pubblica un articolo non suo, spezza l’argine tra la realtà e la fantasia che l’aveva fin lì convinta del fatto che esistesse un solco tra i sogni e la sopravvivenza, tra l’osservatrice e la parte in causa. La letteratura e la realtà sono una cosa sola, ma la funzione sociale non si traduce nel cambiamento del suo microcosmo. Firma (inconsapevolmente) un articolo che strumentalizza la sua influenza attraverso uno stile più caotico, segnato dall’influenza di Lila: riporta le brutture di quel sistema, attraverso un linguaggio che non le appartiene. Sceglie di esserci (seppure ancora su impulsi di altrui), e di non essere per una volta la spettatrice passiva della sua stessa esistenza, ma non ha i mezzi per farlo davvero.

Ogni margine è trascinato nel vortice: le figlie, fin lì tenute separate a fatica dagli spettri del Rione, ne sono ormai testimoni con conseguenze che emergeranno davvero nel tempo, ed Elena non è più un elemento alieno a dinamiche che aveva tenuto a distanza per decenni. Sospinta dalla volontà altrui, è dentro il problema senza essere nemmeno riconosciuta autonomamente: pur di ritrovare una voce che aveva perso da quando era una bambina, è tornata nell’unico angolo del mondo con cui non sappia comunicare. Nel momento in cui Michele le stringe il polso, Elena osserva nervosamente il braccialetto da lei indossato, riportando a galla un trauma degli anni dell’infanzia: nel mirino, però, non c’è mai lei. C’è e ci sarà sempre Lila, come se Lenù fosse invisibile. Intangibile, nella sua inconsistenza. Mentre Elena Greco è qualcuno di importante per chiunque, a casa sua non è nessuno per (quasi) tutti.

Si rinnova, così, la storia di una vita. E di una storia che non sarà mai pronta al domani: un eterno oggi, segnato dalla legge della violenza.

Zoppica, allora, Elena. Come faceva sua madre, e forse faceva sua nonna. Come rischiano di fare le sue figlie. La parola, in quell’inferno, non può nulla, distruggendo così il sogno di due bambine che avevano solo voglia di leggere e scrivere. Due piccole donne, alla ricerca di sé. Non può nulla, fino a prova contraria: questa storia, nel bene e nel male, non si è ancora conclusa. L’ultimo atto, però, è ormai alle porte.

Antonio Casu