Ci sono alcune storie reali che sono così assurde da sembrare una sceneggiatura cinematografica. Quella che ci racconta Landscapers – Un crimine quasi perfetto, la miniserie da quattro episodi prodotta da SKY ed HBO, è una di queste storie.
Si tratta di un True Crime con protagonisti due brillantissimi attori britannici (Olivia Colman e David Thewlis) che, con un’intepretazione magistrale, vestono i panni dei coniugi Susan e Christopher Edwards accusati di aver ucciso e seppellito, nel giardino della stessa casa delle vittime, i genitori della donna. E se già sembra assurdo così, provate a leggere il resto.
Siamo alla fine degli anni ’90, in Gran Bretagna. Christopher è un contabile, un ragioniere, Susan una bibliotecaria. Entrambi risultano, per personalità e aspetto, dimessi. Si conoscono tramite un’agenzia matrimoniale ed è presto amore. Diventano così una coppia bizzarra e all’apparenza noiosa. Nel 1998, tuttavia, i genitori di Susan spariscono. Per ben quindici anni, Chris e Susan latitano e incassano le pensioni dei due scomparsi, ma nel 2013 il delitto viene scoperto e i coniugi, che sempre racconteranno la duplice morte come un tremendo incidente dichiarandosi tuttora innocenti rispetto ai capi d’accusa, si costituiscono e vengono condannati a scontare venticinque anni di carcere per omicidio premeditato. I due raccontano anche di una serie di abusi subiti da Susan da parte dei suoi genitori, ma questa versione, se da una parte ci avvicina agli Edwards, dall’altra risulta poco credibile.
La vicenda da cui trae origine la serie presa in analisi, seppur tragica, ha dei tratti comici, che concorrono a dare a questo True Crime un taglio tragicomico, appunto.
I due vivono da tempo in Francia, quando Christopher, probabilmente sfiancato dalla difficoltà di trovarsi un lavoro (la barriera linguistica è quasi insormontabile!) e dal dover fare i conti con soldi che continuano a esaurirsi per le assurde spese della moglie (perlopiù cimeli cinematografici talvolta anche di dubbio valore), si trova costretto a chiedere un aiuto economico alla sua matrigna. Proprio in questo contesto le confessa di aver seppellito i suoceri nel loro stesso giardino.
Finora abbiamo parlato di due protagonisti – Chris e Susan -, ma siamo stati inesatti: i protagonisti di Landscapers – Un crimine quasi perfetto sono infatti tre. Se proprio volessimo azzardare un’ipotesi ardita, potremmo spingerci ancor più in là e definire Chris e Susan come comprimari del vero protagonista della serie che è anche la grande passione degli Edwards: il cinema.
Esso, infatti, compare sia come forma di narrazione scelta dagli autori (stiamo parlando di una serie tv, quindi un’opera filmica, in senso lato, non di una poesia, una canzone, un saggio), come medium narrativo, come linguaggio della narrazione e come filtro sul mondo. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, non sapevo che sarei giunta a questa conclusione. Anzi, nelle mie intenzioni e letture dell’opera vi era una collocazione fondamentale ma quasi scenografica/ambientale del cinema. Eppure, più procedo nell’analisi, più ritratto la mia precedente tesi. Il cinema è IL protagonista di Landscapers – Un crimine quasi perfetto. E forse, ma questo non lo sapremo mai, è anche parzialmente all’origine del gravissimo crimine commesso dai due coniugi. Co-responsabile dello sfalsamento del piano di realtà nel quale sembrano immersi i due, almeno, nella versione che la serie ci mostra e in parte responsabile della “cattura” degli Edwards (i soldi finiscono a causa della sfrenata passione-ossessione di Susan per il cinema, ed è per questo che Christopher confessa l’accaduto alla matrigna che non esita a denunciarli, salvo poi avvisarli).
La serie ideata da Ed Sinclair (marito della Colman) e diretta da Will Sharpe (che abbiamo visto recitare nella seconda stagione di The White Lotus) ci ricorda a tratti, per estetica e ironia, quel gioiellino di Fargo (i poliziotti richiamano quelli del film dei Coen e della serie omonima).
Tuttavia, il maggior pregio del prodotto di Sinclair e Sharpe risiede indubbiamente nel rispecchiamento tra realtà e finzione filmica, perchè Landscapers – Un crimine quasi perfetto è una serie tv che racconta una storia assurda ma vera, vissuta da persone reali che, perlomeno nella rappresentazione televisiva, hanno un piano di realtà così sfalsato da credersi in un film (o in mille film, e quasi in ogni film, quindi nel “cinema” in generale). Landscapers – Un crimine quasi perfetto è un gioco di specchi, un gioco di riflessi, una deformazione del piano di realtà che si trasforma in pellicola.
Landscapers – Un crimine quasi perfetto non è una serie acclamata dalle folle e la sua estetica non ne permette una fruizione “su larga scala”, ma abbiamo molto apprezzato il tipo di operazione artistica proposta: hanno preso un True Crime, lo hanno completamente destrutturato tirando fuori un prodotto originale che non si limita a raccontarci un brutale e bizzarro fatto di cronaca nera, ma quanto finzione e realtà siano talvolta mescolati (non è un caso che serie si apra con i comandi di regia – “Azione! Fate piovere!” – e che sullo schermo si alterino scene semireali e cinematografiche, oltre a teatri di posa e a set all’occorrenza da montare o da smontare). Svariate le vicende occorse nella vita dei due o gli interrogatori mostrati come spezzoni di film western o polizieschi.
Eppure Landscapers – Un crimine quasi perfetto non è solo questo. Questa serie è anche la storia – a tratti patetica, a tratti poetica – di un amore profondo e profondamente patologico. Ed è così che, se il alcuni momenti anche uno spettatore cinefilo può patire un po’ di noia, il finale ribalta questa percezione. Proprio nella finta corrispondenza tra Christopher e Gerard Depardieù si celano i due punti cardine di questo assurdo True Crime: il mescolamento di finzione e realtà e l’amore di chi arriva a fingersi qualcun altro pur di cullare sì, la nostra fragilità, ma anche i nostri sogni più intimi.
Ed ecco che ci sembra che il titolo della serie ne contenga improvvisamente tutto il significato: “landscapers” significa “giardiniere” (un macabro gioco di parole, insomma), ma anche “paesaggista”, cioè chi disegna i paesaggi in cui poi forse poter anche vivere.
Come in un film.