“I Clinton sono come l’herpes, quando pensi che se ne siano andati si ripresentano di nuovo”, parole di Tim Allen, non di Mike Baxter il personaggio che interpreta in Last Man Standing.
Una battuta da perfetto conservatore. Dove finisce Tim Allen e dove inizia Mike Baxter, quindi? Quesito senza risposta certa, come discernere se è la camicia a scacchi da taglialegna a rendere chi la indossa conservatore oppure è la simpatia politica ad influenzare le scelte di abbigliamento. Last Man Standing accerchiato da 3 figlie e una moglie con riferimenti maschili ridotti al nipote Boyd che tenta di plasmare a sua immagine e a Ryan, il padre di Boyd, che rappresenta l’alter ego progressista e per giunta vegano di Mike Baxter. Il loro rapporto parte male in quanto Ryan non affronta le proprie responsabilità per aver reso madre single la figlia adolescente Kristin. Già si delinea la contrapposizione tra tutti i Baxter a Stelle e Strisce che si identificano nella propria famiglia che non è mai solo il circolo di consanguinei ma l’America stessa. La grande famiglia da difendere e preservare a tutti i costi, la famiglia che fa diventare l’America di nuovo grande (MAGA Make America Great Again di Trumpiana memoria) e il parterre progressista/democratico che sente la famiglia come punto di partenza dal quale allontanarsi, per affermare la propria individualità, nucleo dal quale fuggire per evitare coinvolgimenti o affrancarsi da infanzie fagocitanti.
Last Man Standing ha la peculiarità di portare questi due mondi ad affrontarsi in un ring dove l’unico arbitro è il buon senso. Il terreno di scontro maggiore è l’educazione del piccolo Boyd, conteso tra il nonno Baxter che si sente “roccia” per la sua famiglia, granito di pensieri steso su fine settimana dedicati alla pesca mentre il padre Ryan vola alto tra fiere di artigianato. Boyd è la nuova generazione che subisce la fascinazione di questi due mondi contrapposti imparando da subito che il paese in cui vive è una culla di grandi contraddizioni.
Last Man Standing è una sit-com a sfondo politico?
Se siete arrivati a leggere fino a qui la domanda è legittima. La risposta è lapidaria: no. Questa non è una serie che si può considerare come un’evoluzione comica della politica. Senza scomodare Gramsci e il concetto che tutto è politica, Last Man Standing resta una sit-com con una narrazione intelligente su temi di vita quotidiana che possono portare a considerazioni più ampie utilizzando esclusivamente la simpatia dei personaggi/interpreti ognuno col proprio punto di vista. Mike Baxter/Tim Allen incarna il pensiero conservatore che si diverte a punzecchiare il cerchio magico liberale che lo circonda. Ha lui le battute più riuscite e domina la scena in maniera brillante. I suoi familiari di area progressista o che comunque non sposano totalmente i suoi punti di vista, restano più opachi con l’eccezione della moglie Vanessa.
Mike Baxter è una costola 2.0 del personaggio di Archie Bunker, che ha i suoi natali negli anni 70 nella sit-com All in the Family (Arcibaldo). Carroll O’Connor ha interpretato per 9 anni l’irascibile tassista pieno di pregiudizi anche razziali, in continuo scontro (anche lui) con il genero Mike Stivic e le sue origini polacche. Un animo conservatore della prima ora con un’educazione grossolana ed un carattere iroso che travolge tutto e tutti. Mike Baxter invece ha il piacere della dialettica che usa al meglio per stuzzicare la sua famiglia progressista e far passare i suoi messaggi che convoglia poi nel suo vlog giornaliero. Last man standing ha avuto anche l’intelligenza di smettere di fare battute sull’allora Presidente Trump che era diventato un obiettivo fin troppo facile a causa della sovraesposizione mediatica. In Last man standing, anche se Tim Allen la fa da padrone con il suo animo conservatore, la bilancia nel confronto coi progressisti non si blocca mai dalla sua parte. L’ironia è il contrappeso costante che delinea la serie ed è sempre lei a vincere come fosse l’ultimo uomo a restare in piedi.