Attenzione: l’articolo può contenere spoiler su tutte le stagioni de Le Ragazze del Centralino
Sebbene si parli poco de Le Ragazze del Centralino, la serie viene spesso annoverata tra le migliori produzioni spagnole presenti su Netflix e addirittura tra i migliori show spagnoli in generale: è quasi un parallelo con le sue protagoniste, che non sembrano essere membri di spicco della società spagnola del Novecento – e, da donne, come potrebbero esserlo? – ma che riescono, con grande sacrificio, impegno e ingegno, a ottenere i loro meriti e guadagnare grandi risultati. La serie ha debuttato su Netflix il 28 aprile 2017 con 8 episodi ambientati nella Madrid del 1928 ed è tornata nei successivi anni fino a raggiungere un totale di 5 stagioni. Ispirata a fatti realmente accaduti, Le Ragazze del Centralino si mostra fin da subito come una produzione attenta alla condizione subalterna e complicata della donna del tempo e si propone di raccontare la strenua lotta femminile verso il legittimo ottenimento dei propri diritti, ma non solo. Ciò che distingue il primo telefilm spagnolo ideato, prodotto e rilasciato da Netflix da altri show che trattano la stessa tematica è l’aver fatto un passo in più: andando oltre la rappresentazione della causa femminista, Le Ragazze del Centralino dà voce a tutte le persone che combattono per affermare la propria identità. E lo fa su vari livelli, raccontando storie diverse, che però condividono lo stesso comune denominatore dello scoprire e far valere il proprio vero io.
Riscopriamo, dunque, come Le Ragazze del Centralino esplora questo grande viaggio attraverso le sue iconiche protagoniste.
La tematica dell’identità si presenta fin dal primo istante, quando lo spettatore fa la conoscenza della protagonista: Lida Aguilar. Perché Lidia Aguilar, in fin dei conti, non è Lidia Aguilar, bensì Alba Romero. Dai pochi stralci del passato della donna che vengono mostrati al pubblico nel primo episodio, si evince che Alba Romero deve svolgere un compito importante – non del tutto legale – all’interno della Compagnia dei Telefoni di Madrid, e che per farlo ha deciso di indossare una nuova pelle, sottraendo l’identità a un’ignara Lidia Aguilar, quella vera. Ma siccome le cose non vanno subito come dovrebbero, la nuova Lidia Aguilar si ritrova a esistere più del previsto, mentre Alba Romero comincia a sbiadire fin quasi a sparire: perché se nessuno sa chi è Alba Romero (con l’eccezione di Francisco, unica persona del passato di Alba che è presente e conserva il suo segreto), Alba Romero esiste veramente?
Ecco allora che questa doppia identità acquisisce un significato ben preciso, ricalcando il dualismo passato/presente. Diventando sempre più Lidia, la protagonista cerca di tagliare i ponti con il proprio passato e vivere una nuova vita nel presente. Eppure, non è così facile cancellare le orme lasciate alle proprie spalle e dimenticare del tutto chi si era nella vita precedente, soprattutto se vecchie conoscenze e vecchi problemi tornano a galla all’improvviso. La battaglia della protagonista è quella di capire quali parti di sé sono davvero la sua vera essenza, quali vale la pena di tenere nella nuova vita, quali sarebbe meglio perdere. Una battaglia che, in fin dei conti, è universale, perché anche se non a tutti capita di dover o voler cambiare nome, la vita è un’eterna evoluzione e spesso ognuno di noi si trova a dover scendere a patti con la propria identità, capire chi si è e chi si vuole essere, cogliere i tratti positivi di sé stessi e quelli negativi da provare a scardinare. Tutti possiamo avere una Lida Aguilar e una Alba Romero dentro di noi che lottano tra loro alla ricerca del giusto equilibrio.
Una diversa battaglia è quella combattuta da Ángeles, la più esperta tra le telefoniste, colei che sembra subito dover meritare tanto amore, ma che in realtà riceve solo pugni in faccia – purtroppo letteralmente. Ángeles è uno dei personaggi che più portano sullo schermo la complicata vita che conducono le donne del tempo. Intrappolata in un matrimonio di certo costruitole dalla famiglia e dalle convenzioni sociali, Ángeles è una donna che vede il suo talento perennemente soffocato dall’imponente e crudele ombra di un marito violento che vuole – e si sente perfettamente legittimato a farlo – controllare ogni suo singolo movimento, ogni suo vestito, ogni suo trucco. Ma chi è davvero Ángeles?
È solo nel più drastico dei modi che la donna riesce ad affermare la propria identità, a sentirsi libera di essere chi è realmente: dopo la morte – o meglio, l’omicidio – del marito. Fa quasi ghiacciare il sangue riconoscere che altrimenti Ángeles non sarebbe mai riuscita a essere sé stessa. Ed è paradigmatico il cambiamento anche visivo che lo spettatore coglie subito dopo la morte di Mario: Ángeles inizia a indossare rossetti dalle tinte forti che prima non avrebbe mai messo. Un cambiamento estetico che riflette un cambiamento molto più grande, un’acquisizione di sicurezza sempre più determinante il cui apice arriva quando Ángeles assumerà un’identità segreta, di cui all’inizio nemmeno le sue amiche sapranno qualcosa, ossia quella del Mirlo. E sarà dietro questo nome che la donna comincerà a gestire traffici illeciti. Una trasformazione che a parte del pubblico è parsa – anche giustamente – un po’ esagerata, però di sicuro paradigmatica. Soprattutto per la scelta del nome: mirlo, in spagnolo, significa merlo. E finalmente Ángeles ha potuto aprire le ali e volare via.
Ancora diverso, ma sempre legato all’affermazione di sé che racconta Le Ragazze del Centralino, è il percorso compiuto da Carlota.
Seppur appaia fin da subito una donna dall’indole ribelle, all’inizio Carlota sembra recitare il perfetto copione che la società si aspetti da lei. Anticonformista sì – non vuole un matrimonio combinato, esce e rientra a casa senza rispettare orari ritenuti consoni per una ragazza, ha un fidanzato che si è scelta da sola – ma nei fatti più concreti? Carlota sembra trovarsi nel limbo di chi ha tante idee importanti che però rimangono, appunto, solo idee. Non che la società in cui si trova le fornisca tutti gli elementi di cui avrebbe bisogno per trasformare i pensieri in realtà, questo è certo. Poco a poco, però, Carlota comincia a capire che può impiegare le proprie forze per fare qualcosa di più e la sua lotta entra nel fervore più grande quando la donna realizza che non vuole tirar fuori le unghie solo per sé stessa, ma per tutte le persone che si trovano nella sua situazione.
Il viaggio di Carlota, quindi, non è più soltanto un percorso individuale, ma diventa un viaggio di identità collettiva: persone che, insieme, cercano di rincorrere un importante obiettivo comune. Il suo personaggio ci dimostra come non si viva in solitudine e come anche il contesto in cui ci si trova stabilisca la nostra identità. Ma Carlota non può trovare sé stessa soltanto combattendo la battaglia femminista, perché c’è anche un’altra questione che in qualche modo la lega e non le consente di esprimersi totalmente: il suo amore per Sara, che poi sceglie di essere Oscar.
Nella Spagna del tempo, dove già la condizione della donna era problematica, non è difficile immaginare come la società reagisse a relazioni omosessuali. È il motivo per cui Carlota farà molta fatica ad ammettere anche solo a sé stessa di provare dei sentimenti per Sara e per cui, quando finalmente deciderà di vivere l’amore che entrambe meritano, sarà costretta a nascondersi o a subire violenza, sia fisica che psicologica.
E sullo sfondo di questa Madrid tremendamente bigotta, la battaglia più difficile è senz’altro quella di Sara.
Sara vive intrappolata in un corpo in cui non si riconosce. Lo sa, nel profondo. Lo sa, anche se fa paura anche solo pensarlo: sa benissimo cosa succede alle persone come lei. Sa quanto la società attorno a sé sia rigida, stretta, e di certo anche impaurita dalla diversità. Ma Sara sa che non può continuare a vivere così, fingendo che vada tutto bene, perché nei pochi attimi in cui si concede di essere Oscar – la persona che realmente è – si sente meglio, perché tutto diventa perfetto, al posto giusto.
Allora, col supporto di Carlota, che ama chiunque la persona accanto a sé voglia essere, Sara o Oscar, cerca di trovare qualcuno che possa aiutarla. E si va incontro a uno dei momenti più tragici de Le Ragazze del Centralino che con una reale crudezza mostra le atrocità che si presentavano al tempo alle persone come Oscar. Oscar viene accolto in una struttura ospedaliera che con tante belle parole propone di aiutarlo a sentirsi meglio, ma di fatto verrà intrappolato in un vortice di torture e oscenità. Sarà Carlota a salvare Oscar, poco prima che sia troppo tardi.
Il senso di umiliazione mista a paura che colpisce Oscar è un macigno che lo spinge a ritornare Sara per un po’ di tempo. Ma non funziona. Col supporto di Carlota e le altre ragazze del centralino che danno un calcio al bigottismo del resto della società. Oscar torna a vivere e continua, passo a passo, il suo percorso per affermare la propria identità.