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Forse, un giorno, capiremo sul serio Legion

Legion
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Legion fu un fulmine a ciel sereno. Il pubblico si aspettava un classico show supereroistico adattato dai fumetti degli X-Men della Marvel; del resto, così era stato pubblicizzato. In realtà, si discostò subito dalla carta, tanto che molti spettatori lo abbandonarono dopo la prima stagione. La serie, però, non si è mai vergognata di appartenere al suo genere, cercando allo stesso tempo di dire qualcosa di nuovo. E qui sorge un altro problema. Il pubblico tende ad associare i supereroi a qualcosa di comodo e d’intrattenimento, perché così vengono solitamente proposti. Persino i prodotti che si presentano come delle novità, come WandaVision e Loki, finiscono per essere impantanati nelle regole, negli schemi e nelle limitazioni del loro universo, con il protagonista che non è altro che l’incarnazione del grande e valoroso eroe.

Legion ha dimostrato quanto terreno inesplorato c’è ancora in TV, a cominciare proprio dal suo protagonista.

Nel corso degli episodi, David Haller passa da un ragazzo che sta imparando a usare i propri poteri a potentissimo uomo che vuole distruggere la realtà, da salvatore del mondo al villain più spietato che ci sia. Raccontandolo in maniera spiazzante, la serie decostruisce prepotentemente la figura dell’eroe, dimostrando ciò che di terribile potrebbe fare qualcuno con quelle capacità ma mentalmente instabile.

Legion

Infatti, la malattia mentale è al centro di Legion e non è un tema facile da affrontare. Serve grandissimo tatto per non sfociare nella caricatura offensiva e, contemporaneamente, bisogna renderla importante ai fini della storia. O altrimenti è inutile averla inserita. Anche quando viene fatto, però, può mettere a disagio lo spettatore, perché invoca paura, mancanza di controllo, rifiuto di persone, gruppi o intere società. Legion non solo rappresenta i disturbi mentali e i loro effetti, ma compie un passo ulteriore, domandandosi: com’è sentirsi dire per tutta la vita che stiamo immaginando certe cose, solo per scoprire che invece sono reali? Così come David Haller non è in grado di distinguere la realtà dall’immaginazione, anche il pubblico ne rimane all’oscuro, ma solo per un po’. Perché, come disse il creatore dello show:

“Lo spettacolo non esiste per manipolarti e ingannarti. Esiste per metterti nello stato d’animo di un personaggio e poi rivelare la realtà mentre la scopre”.

Quindi, non entriamo soltanto nella testa di David, ma diventiamo David.

Il che ci coglie alla sprovvista, perché non avevamo mai visto un prodotto tv così innovativo. In più, è lui stesso che racconta la storia e ci sono tantissime ragioni per evitare un narratore inaffidabile. La più importante è l’attrazione del pubblico: spesso, infatti, non cerca trame impegnative o prospettive distorte; ma opportunità per evadere dalla quotidianità e trovare un posto dove non dover pensare dopo una giornata di lavoro. Infatti, analizzare la mente di David Haller disorienta, perché appunto lui non sa il più delle volte a cosa credere. Essendo poi legata alla sua emotività, la realtà di Legion è in continua evoluzione, fluida e sempre in discussione. E allora, diventa difficile fidarci o, meglio ancora, rilassarci mentre la guardiamo.

Dunque, anche l’ambiente esterno è influenzato da David. Non assomiglia a niente di consolidato in TV. Legion evita la formula in stile CW, ovvero creare un carattere visivo distintivo che colloca ogni serie all’interno dello stesso ambiente immaginario. Questo rifiuto di aderire al tradizionale design dei supereroi gli consente di stabilire il proprio linguaggio visivo, che ricalca l’estetica degli anni 60/70. Infatti, l’ospedale psichiatrico Clockworks sarebbe perfetto in uno sci-fi degli anni 70 con quelle linee pulite, sterili e l’illuminazione brillante. Più David Haller è instabile, più la realtà diviene inquietante, stridente, manifestandosi con luci stroboscopiche e una disposizione degli spazi oscura e labirintica. Anche in questo modo, lo show Marvel di FX sfida la nostra percezione, facendoci mettere in dubbio la stessa esistenza di Clockworks.

E stilisticamente, ha molto più in comune con il terrore clinicamente preciso di Black Mirror e la surrealtà di Twin Peaks (lo show a cui Legion si avvicina di più) che con i mondi quasi realistici delle serie tv supereroistiche, DC o Marvel che siano.

Vedere l’horror psicologico – genere di per sé di nicchia, complesso e faticoso – nelle manifestazioni di David, tanto psichedeliche quanto terrificanti (grazie, soprattutto, a una meravigliosa Aubrey Plaza), non era un qualcosa a cui il pubblico era preparato. Almeno, non in un prodotto supereroistico, né in una serie tv Marvel. La cosa ancor più straniante è vederlo mixato all’estetica colorata e retrò. È un po’ come se Stanley Kubrick e Wes Anderson si fossero fusi con David Lynch: tutti innovatori originali e avanguardistici che, però, non sono stati compresi subito. Come, appunto, Legion.

Le immagini oniriche e surreali, che offuscano i confini della realtà, sono date anche dagli effetti speciali. Invece di essere travolti da ampie sequenze di CGI, Legion si affida agli interpreti e alla trama per creare suspense, usando gli effetti speciali soltanto come sostegno all’azione, mai come attori principali. Ad esempio, nella fuga di David Haller dalla Divisione 3, non sono solo le esplosioni o gli spari a toglierci il fiato, ma soprattutto il costante movimento in avanti, il ritmo vertiginoso e il nostro uscire da lì dentro un passo indietro rispetto ai protagonisti.

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Certo, il surrealismo è già di per sé molto difficile da usare e, purtroppo, in Legion non ha sempre funzionato al meglio, soprattutto nella seconda stagione: seppur avvincente, la sua astrattezza ci ha lasciato troppo all’oscuro. La narrazione così deliberatamente confusa, in stile Christopher Nolan, non aiuta la comprensione; il simbolismo e le metafore sono così tante che spesso è difficile capire dove si voglia andare a parare; l’attenzione da tenere durante tutti gli episodi è così elevata che perdere un secondo è fatale. Senza contare che non ha mai voluto che ci sentissimo a nostro agio guardandola.

Eppure, è stata più influente di quanto non si pensi. Non ha avuto paura dell’astratto, rappresentando ad esempio la lotta tra due sensitivi come una gara di ballo, o di abbandonare la logica per l’autenticità emotiva; ha fornito costantemente nuovi colpi di scena su abusati cliché dei fumetti; il suo design retro-futuristico ha influenzato opere come Loki e The Umbrella Academy, ispirandone altre con il suo sperimentalismo. Prendiamo WandaVision della Marvel: la tecnica per differenziare i vari piani di realtà, il modo in cui la protagonista ricrea la realtà dopo una perdita devastante, i concetti di viaggi nel tempo e/o universi paralleli (inseriti anche in Loki e What if?), gli episodi originali come la sitcom anni 80 trovano tutti un corrispondente in Legion e David Haller.

Ecco perché la serie Marvel di FX non è stata compresa. Per tutti i motivi spiegati, per come sia uno spettacolo di eroi senza un chiaro eroe, per il modo in cui affronta elementi non comuni al mondo fumettistico, per il suo ruolo avanguardistico. Infatti, sempre più programmi TV hanno appreso il suo messaggio, seppur non siano così audaci. E, dato che la narrazione al giorno d’oggi sta diventando sempre più complessa, speriamo che un giorno potremmo davvero rivalutare questo gioiellino chiamato Legion.