C’erano una volta gli anni Duemila e c’erano una volta due dottoresse bionde empatiche e insicure che avrebbero presto conquistato il nostro cuore: la dottoressa Izzie Stevens (interpretata da Katherine Heigl, Grey’s Anatomy) e la dottoressa Elliot Reid (Sarah Chalke, Scrubs). Da quando hanno abbandonato i loro camici, le due attrici hanno proseguito le loro carriere, fino ad approdare insieme in casa Netflix per un nuovo progetto comune: L’estate in cui imparammo a volare.
L’estate in cui imparammo a volare, basata sull’omonimo romanzo di Kristin Hannah, è l’ultima serie originale arrivata sulla piattaforma streaming, dove seppur passata quasi in sordina sta continuando ad attrarre nuovi fan. L’accoglienza riservata alla serie è stata tiepida, soprattutto perché dopo i primi episodi leggermente sottotono molti spettatori hanno espresso un parere negativo. Tuttavia non ci siamo fatti scoraggiare e .l’abbiamo completata. Ecco i nostri pensieri a riguardo.
Attenzione: la recensione contiene spoiler.
Di cosa parla L’estate in cui imparammo a volare?
L’estate in cui imparammo a volare è fondamentalmente la storia di un’amicizia. Tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, attraverso un intreccio di ricordi, esperienze e piani temporali distinti, ripercorriamo le vite di Kate Mularkey (Sarah Chalke) e Tully Hart (Katherine Heigl), che si incontrano adolescenti e rimangono l’una al fianco dell’altra per i successivi trent’anni. Accanto alle due amiche gravitano famiglie, amori e colleghi, si delinea un universo ricco e complesso che tuttavia ha sempre al centro Kate e Tully, l’una il punto di riferimento dell’altra, l’una la vera casa dell’altra.
Conosciamo Kate e Tully in tre momenti diversi, le vediamo contemporaneamente poco più che bambine quando per la prima volta le loro strade si incontrano, siamo quindi spettatori del loro affacciarsi all’età adulta e al mondo del lavoro e infine osserviamo la loro vita quando, ormai quarantenni, sembrano rimanere l’una l’ancora di salvezza dell’altra. L’estate in cui imparammo a volare ci mostra quindi le differenti fasi della vita e dell’amicizia delle due protagoniste, cercando di tendere ponti tra questi momenti, di raccontarci cos’è successo nel mezzo, ricostruendo il puzzle di due esistenze in fondo ordinarie, rese straordinarie da quel legame così indissolubile che accompagna Kate e Tully in ognuna delle loro avventure.
L’estate in cui imparammo a volare è una serie che si basa sull’emozione molto più che sull’azione, sull’evoluzione dei personaggi piuttosto che su quella della trama. E questa non sempre si rivela una scelta vincente.
Nel caso della serie Netflix la lentezza della trama orizzontale e il continuo rincorrersi dei piani temporali in cui è ambientata non danneggiano il risultato finale nel complesso, tuttavia rischiano fortemente di far sì che diversi spettatori abbandonino la visione dopo un paio di episodi. Infatti il principale problema di questo prodotto è che, soprattutto nella prima metà della stagione, è piuttosto difficile entrare in sintonia con le due protagoniste, soprattutto nella loro versione più adulta. Se fin dal primo momento vogliamo proteggere le adolescenti Kate e Tully, così vulnerabili e perennemente inadeguate, lo stesso non succede quando le vediamo cresciute.
Tully da ventenne e ancora di più da quarantenne è esuberante ma glaciale, è rimasta talmente scottata dalla solitudine che ha provato crescendo e dalla mancanza di modelli genitoriali da voler rifuggire qualsiasi tipo di relazione che non sia l’amicizia con Kate. È solo verso metà stagione che iniziamo a comprendere fino in fondo le ragioni del suo comportamento, che riusciamo a vedere cosa si cela dietro la corazza che l’ormai famosissima Tully Hart veste per tutto il tempo. La performance di Katherine Heigl, inizialmente eclissata dalla collega Sarah Chalke, si rivela invece brillante nella seconda metà della stagione, soprattutto a partire dal momento in cui Tully affronta un aborto spontaneo e le sue conseguenze tanto sul piano fisico tanto su quello psicologico.
Affezionarsi alla Kate adulta è invece più facile all’inizio, lei che con quel senso di inadeguatezza e di smarrimento esistenziale che l’accompagna fin dall’adolescenza sembra essere perennemente seconda. Seconda soprattutto alla migliore amica Tully, che pure guarda a Kate con adorazione e invidia. Perché se pure è verso che l’amicizia tra le due protagoniste rimane profonda e sincera in ogni istante, immancabilmente vediamo anche come negli anni questo rapporto abbia alimentato un senso di competizione tra le due, un confronto mai aperto che sia Tully che Kate sono convinte di aver perso in partenza. È una rappresentazione dell’amicizia estremamente realistica, una partita in cui le due sono compagne di squadra eppure competono per il titolo di migliore giocatrice, ognuna facendo il tifo per l’altra sperando però che in fondo non vada troppo lontana. Lo vediamo soprattutto nella relazione delle due con Johnny, amico e collega di entrambe negli anni Ottanta e quindi (ex) marito di Kate.
Per essere una serie che si basa più sui personaggi che sull’effettiva evoluzione della trama, L’estate in cui imparammo a volare non sempre riesce a dare ai propri personaggi lo spazio e l’approfondimento che ci si aspetterebbe da un prodotto del genere. Kate, Tully, Johnny e Nuvola – l’assente eppure oppressiva madre di Tully – assumono una tridimensionalità che, se non ce li fa propriamente amare, quanto meno ci permette di comprenderli e affezionarci a loro. Tuttavia non si può dire lo stesso di almeno due personaggi che avrebbero necessitato di una caratterizzazione molto più dettagliata, soprattutto in virtù del ruolo di primaria importanza che rivestono nella serie: Marah, la figlia adolescente di Johnny e Kate, e Max, compagno e poi fugacemente marito di Tully.
Nel complesso, superati i primi episodi non sempre all’altezza delle aspettative, L’estate in cui imparammo a volare è un prodotto decisamente riuscito, seppure con ampio margine di miglioramento. Le emozioni che la serie promette di far provare arrivano potenti, seppure in ritardo e – anche se sembriamo avere le risposte circa quanto accadrà ai personaggi – rimaniamo spesso spiazzati davanti ai momenti in cui le cose finalmente accadono, in cui ci rendiamo conto che forse avevamo dato tutto troppo per scontato, che avevamo sottovalutato quanto alcuni eventi potessero segnare il cammino di Kate, Tully e di tutti quanti orbitano loro intorno. Menzione d’onore per la performance di Sarah Chalke come Kate Mularkey, davvero convincente e tanto più riuscita se messa al confronto con quella di Katherine Heigl, che pure ci regala momenti di profonda commozione.
Rimaniamo in attesa di notizie sulla seconda stagione, che appare quanto più necessaria dopo i due grandi cliffhanger con cui si conclude il finale: Johnny sarà sopravvissuto? Ma soprattutto, cosa può aver fatto Tully di così grave da avere irrimediabilmente danneggiato un’amicizia che pareva indistruttibile? Insomma, non so voi ma noi abbiamo un bisogno urgente di risposte.