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Lezioni di Chimica: amo, dunque sono

La gente dice che non ci può mancare qualcosa che non si è mai avuto. Ma si sbaglia
Può non avere alcun senso, ed è quasi certo che non ne abbia, ma se è vero che esistono la letteratura, la filosofia, la religione, allora è altrettanto vero che a ognuno di noi manchi qualcosa che non ha mai avuto. Nello sguardo fisso sulla mutezza delle parole, nel sordo udire la voce del drastico e imprevedibile cambiamento, l’uomo si è sempre ritrovato nella ricerca di uno stimolo introspettivo che assorbisse quell’irreparabile senso di scontentezza del mondo così com’è.
Questa mancanza in Lezioni di Chimica la sente Elizabeth in quanto donna in un’epoca retrograda, la sente Calvin in quanto animale religioso, la sente senza dubbi la piccola Mad in quanto orfana di un padre che non ha mai avuto, ma che “otterrà” grazie all’irreprensibile forza del passato.
Questa mancanza, nel nostro mondo, l’ebbe Alda Merini.

“L’uomo ha sempre cercato il divino. Ma l’uomo non ha mai dato, anche con la scienza, la spiegazione della creazione del mondo. L’universo non possiamo addomesticarlo, è troppo grande.”

– Alda Merini

I fallimenti hanno sempre avuto il brutto vizio di essere indimenticabili, ed è questo l’assunto che ci rende impossibilitati ad accettare la casualità delle cose. Non è la religione né la scienza a formare l’umanesimo che ci disegna come mine esistenzialmente vaganti, bensì quell’aspetto empirico fatto di errori e traumi e che ci dice in cosa credere. Elizabeth non crede in Dio, ma questo non in quanto scienziata.
Semmai, Elizabeth è scienziata perché ha scelto di somatizzare quei traumi nati dalla delusione (o fallimento, appunto, sebbene indiretto che sia) di un padre impostore, tossico santone e portatore di una omicida voce divina. Quella che ha portato al crudo, tremendo e silenzioso suicidio di suo fratello. 
Da questo antefatto prende forma e vertiginosa altezza la sovrastruttura mentale della protagonista di Lezioni di Chimica, che in ogni suo pensiero (espresso o solo intimamente conservato) lascia immaginare la metafora della nostalgia per qualcosa di dovuto ma mai ottenuto. Per qualcosa che le manca, pur non avendolo mai avuto. È metafora a posteriori della sua esistenza ciò che afferma quando dice che “al termine del tempo passato insieme, avremo fatto qualcosa di valido, avremo creato qualcosa che non passerà inosservato” nell’introduzione al suo programma di cucina, che stempera poi con la sagace consapevolezza di chi vuole strizzare l’occhio a chi sa comprenderla in quanto vittima di una società primitiva: “Avremo cucinato, e questo conterà qualcosa”.
Già, qualcosa. Ancora quella cosa che non hai ma sai che ti manca.
“Qualcosa” è ciò che Elizabeth sente di star facendo forse solo quando attorno a sé vige un ambiente controllato, un campo isolato in cui può avere il suo esperimento (sociale) sotto controllo (“io desidero avere spazio quando svolgo il mio lavoro, rafforza l’idea che il lavoro che facciamo insieme sia importante”, preziosa metafora pronunciata sempre durante il suo programma di cucina, veicolo del suo pensiero, ideale canale del progresso). 

Lezioni di Chimica – Elizabeth

Ogni meccanismo di difesa prodotto dalla mente di Elizabeth fa riferimento a stabilità, prevedibilità che riduce il rischio, affabilità che abroga la delusione. Lo fa sempre, anche quando parla della musica che preferisce. Non ammette melodia se non quella di accordi che si ripetono uno dopo l’altro, come molecole nell’universo che si annodano come a seguire un ordine prestabilito. Elizabeth è etere, immacolata macchia di spazio che cerca vita ma non trova ossigeno. Questa è Elizabeth prima dell’entropia. Prima di scoprire che “a volte un errore può condurre a qualcosa di buono”. Prima del caos. Questa è Elizabeth prima della vita.

“Io non fui originata, ma balzai prepotente, dalle trame del buio, per allacciarmi a ogni confusione”

– Alda Merini

Ci sono cose che sfuggono all’evidenza empirica. Potrebbe anche darsi che la scienza sia il come e la religione sia il perché, ma se c’è una verità in cui sia scienza che religione credono incontrovertibilmente è che l’essere umano non sia fatto per essere solo. Perché nessuno sta meglio da solo.
Lei non voleva esserci. Lui doveva esserci.

L’abiogenesi è il “necessario caos” che dà vita alla fiaba scientifica di Lezioni di Chimica.

La generazione spontanea e non calcolata di formule chimiche che sovrappongono il battito cardiaco. 
Come il più classico dei prodi cavalieri, lui le porterà il suo ribosio alla festa, come a camuffare di goffo e scientifico qualcosa di magico e incalcolabile, come il violento scontro o la morbida fusione di due atomi.
Lui, Calvin Evans, che ha stampato nel suo nome la contraddizione dello scienziato dal retaggio teologico (Giovanni Calvino), e che vedrà proprio nel suo scontro ideologico interiore un disegno più semplicistico ma anche più ampio: la necessaria imprevedibilità della vita, il caos. L’entropia. La stessa che l’ha portato a conoscere Elizabeth Zott, e di cui ancora non conosce (e mai conoscerà) le ironiche proporzioni.
Nell’ingenua tenerezza dell’educazione, Calvin si ritroverà nei gesti meccanicamente impacciati di Elizabeth che sanno anche di calore materno, quello che non ha mai ricevuto.
Nell’attenzione e nella passione di Elizabeth, Calvin troverà tutto l’amore in ogni sua forma e sfaccettatura possibile: quello materno (quando tornerà a mangiare grazie alle sue ricette), quello fraterno (l’appoggio, lo stimolo e il potere creativo nella collaborazione alla ricerca sull’abiogenesi), ma soprattutto quello più tangibile e inevitabile, quello reso possibile solo dalla fusione di due atomi: “l’ipotenusa d’amore”.

Lezioni di Chimica
Lezioni di Chimica – Elizabeth e Calvin

Cambiare è ciò per cui siamo chimicamente progettati, e a cambiare in Lezioni di Chimica è prima la società (idealmente, seguendo un’evoluzione non lineare), poi la stessa Elizabeth. 
Ma sopra ogni elemento, a cambiare è l’ordine delle cose, spietatamente e senza logica.

“La vita non ha senso. Anzi, è la vita che ci dà un senso, sempre che noi la lasciamo parlare. Dobbiamo ascoltarla la vita. È bello accettare anche il male. Una delle prerogative del poeta, e che è stata anche la mia, è: non discutere mai da che parte venisse il male. L’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente. È diventato poesia, ecco. Il cambiamento della materia che diventa fuoco. Fuoco d’amore per gli altri. Anche per chi ti ha insultato”

– Alda Merini

Di laconici landscape e ambienti vuoti, in treno uno dopo l’altro, è piena Lezioni di Chimica
Ambienti che vediamo costantemente abitati, vissuti, in costante reazione, fanno spesso da intervallo nella loro vuotezza, diventando mutazione ed evoluzione, cambiamento. Morte.
La morte nella trasposizione di Apple Tv+ è una costante raffinata, e c’è anche quando non la vediamo. C’è nelle cose, oltre che nelle persone.

Accettare l’inevitabilità del cambiamento è il messaggio portante di una serie che si fa portavoce di tanti argomenti cardine, tutti trattati con estrema delicatezza e profonda poesia.
Questo passaggio trova aspra accoglienza nel fragile concepire l’esistenza, in quella visione “emotivamente egocentrica” della morte, che si arrovella sull’importanza dell’evoluzione sotto ogni aspetto ma ignora l’evoluzione ultima, negando che ogni essere umano nasce, cresce e, inevitabilmente, sorprende.
Sorpresa è la metafora della morte in Lezioni di Chimica, ed è la presa di coscienza immediatamente precedente l’incidente di Calvin. 
Ciò che rende impossibile l’accettazione è continuare a chiedersi perché: quale forza si nasconde dietro l’entropica maschera di un passo fatto al momento sbagliato oltre il marciapiede sbagliato?
Un passo. Quello che, ironia della sorte, Calvin riteneva essere la sola cosa che conta quando non sai cosa fare, quando ti senti smarrito: mettere un piede davanti all’altro. Ancora, e ancora.
Come Alda Merini che trasforma il male ricevuto in poesia, sapendo che non ha alcun senso, sapendo che tutto ciò che conta è rendere il vissuto qualcosa di unico, così Elizabeth accetta il male quando smette di discutere sul perché e sul “da dove provenisse”.
Perché questa è vita: un’epifania, un passo dopo l’altro che calpesta l’umida mattina stampata in bianco e nero sull’asfalto, caduche certezze che diventano rassicuranti privazioni, lo scortese attrito del cuoio sulla mano, la stretta di un guinzaglio che sembra un avvertimento. 
Un passo, nella direzione sbagliata. Vuoto
Ma in quel silenzio entropico ogni molecola è ancora al suo posto, e mentre le strade umide della mattina sono un po’ più sole e il laboratorio è nudo e sterile come mai prima, si andrà avanti a chiedersi “della posta di Calvin che cosa ne faccio?”
Perché al caos bastano solo due elementi di interazione per andare avanti.

Lezioni di Chimica – La morte di Calvin

La gente dice che non ci può mancare qualcosa che non si è mai avuto.
Ma si sbaglia, perché “l’altro” è qualcosa che mancherà “dopo” tanto quanto è mancato prima di averlo, prima di amare ed evolvere. E se è vero che esiste l’amore, allora è altrettanto vero che c’è stato almeno un momento in cui a ognuno di noi è mancato qualcosa che non ha mai avuto.
Siamo inevitabilmente imprevedibili, eppure non ancora immuni alla sorpresa.
Nasciamo, amiamo e moriamo.
Nasciamo, amiamo e, inevitabilmente, sorprendiamo.

A te, che sei sempre stata terrorizzata dalla morte. A te, che nel tuo animo eterno non puoi concepire la fine.
A te, che con l’ipotesi di noi spero di aver regalato qualcosa di cui non aver paura: qualcosa che non finirà mai.