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Little Fires Everywhere: 5 spinosi temi sociali trattati in modo superlativo

Little Fires Everywhere
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Little Fires Everywhere è una serie di cui non si parla mai abbastanza. Perla del 2020 targata Amazon Prime Video, racchiude in otto intensi episodi la storia raccontata da Celeste Ng nell’omonimo libro del 2017. Una storia ambientata nell’Ohio degli anni ’90 che affonda le proprie radici negli schemi sociali e nella morale della società americana dei due decenni antecedenti.

Interpretata in modo straordinario da Reese Witherspoon e Kerry Washington nel ruolo di rappresentanti delle classi sociali che tanto il libro quanto la miniserie raccontano. Una divisione che all’inizio dà l’impressione di voler narrare una storia strettamente legata ai temi del razzismo e del suprematismo bianco. Ma che si sviluppa in realtà su più fronti dipanando molteplici temi sociali. Uno più scottante dell’altro.

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I temi affrontati da Little Fires Everywhere sono controversi, spesso intrecciati tra loro, ed esulano da una semplice conversazione in merito a cosa sia il razzismo nella società contemporanea.

Materiale terribilmente attuale a cui la miniserie ha dedicato l’attenzione e la profondità meritata senza scadere nella superficialità o peggio ancora nella banalità.

In questo articolo vorremmo esplorare i principali temi dello show per dare a quel piccolo gioiello di Little Fires Everywhere il merito di aver saputo trasformare discussioni controverse in struggente storytelling.

Il suprematismo bianco

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Il suprematismo bianco è chiaramente il tema che più di tutti finisce per calamitare l’attenzione dello spettatore di Little Fires Everywhere. E quel che risulta eccezionale è la capacità della serie di affrontarlo in modo tutt’altro che banale. Perché non assistiamo alla tipica narrazione polarizzata che contrappone “il bianco cattivo al nero buono” – in contrapposizione a quella solitamente impostata al contrario nello storytelling degli scorsi decenni.

Qui abbiamo due protagoniste di diversa estrazione sociale caratterizzate da pregi e difetti che sono risultato tanto della loro posizione quanto della loro evoluzione personale. Non abbiamo un buono e un cattivo, ma due soggetti umani, dotati di sfaccettaure che vanno dalle virtù più luminose alle oscurità più profonde.

E la differenza sociale tra Elena e Mia emerge in tutta la sua forza non tanto nella reciproca diffidenza – per altro lecita, in entrambi i casi – quanto nella loro totale incomunicabilità.

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Un’incomunicabilità che nasce dall’incapacità di fondo di comprendere l’una le ragioni e la vita dell’altra. Il duplice punto di vista utilizzato nella narrazione mostra il muro che le divide raccontando le radici delle loro scelte, della loro educazione e della loro vita attuale. Radici troppo profonde per permettere che i loro mondi possano incontrarsi sul terreno di una vera e totale comprensione.

Elena ha vissuto una vita in cui il range di scelte possibili non includeva “l’impossibilità di scegliere”. Una condizione che spesso preclude il bianco medio dalla comprensione profonda di che cosa significhi vivere dalla parte della società cui “la scelta” semplicemente non è neanche un’opzione. Mia, dall’altro lato, vive la naturale diffidenza nei confronti della società bianca come una sorta di ossessione che spesso offusca il suo giudizio e la porta a non comprendere le ragioni di Elena, con la rabbia e la presunzione di chi identifica nella propria posizione il diritto di sentirsi sempre e solo oggetto di pietà fasulla e carità.

Il lato oscuro della maternità

Nella società in cui viviamo, la maternità è vista come qualcosa di semplice e immediato: una donna partorisce un figlio e lo ama. Senza se e senza ma. L’idea che una donna possa non amare un figlio, amarlo meno degli altri, o convivere col rimpianto di averlo messo al mondo, è un tabù. Ci disgusta, ci sembra innaturale.

Forse lo è, o forse si tratta di una condizione psicologica più profonda e complessa. La verità è che una madre può amare un figlio ma al contempo vivere di rimpianti. Nonostante grossi passi in avanti, ancora oggi la maggior parte delle donne sono spesso poste a un bivio: carriera o famiglia. E qualunque cosa scelgano, da esseri umani, spesso si ritrovano a fare i conti con i più remoti rimpianti. Ma l’idea che un figlio possa essere per una donna origine di tale sentimento spiazza, destabilizza.

Perché siamo abituati all’idea che l’amore per un figlio debba essere più forte di qualunque altra cosa. Ma non sempre è così. E per quanto non sia facile da accettare all’esterno, dev’essere ancora più difficile dall’interno, per la diretta interessata. Ossessionata dal rimpianto, dallo stigma sociale e dal senso di colpa.

È devastante assistere all’incapacità di Elena di comprendere le motivazioni di quella figlia non voluta e cresciuta per volere del marito e dei ruoli sociali. Un’incapacità che nasce proprio da quel rifiuto atavico di partorire un figlio inatteso e non voluto, che le ha chiuso definitivamente le porte della carriera e scatenato ulteriori frustrazioni. Ma se Izzy è vittima innocente dei rimpianti di sua madre, Elena è altrettanto vittima degli scemi sociali cui è sottoposta. Dei ruoli prestabiliti e di giudizi che sembrano immutabili.

Il ruolo del genitore

Altro tema portante di Little Fires Everywhere. Il rapporto genitore-figlio tra bellezza e difficoltà.

L’idea di cosa faccia di un uomo o di una donna un genitore. È madre chi un figlio lo crea partorendolo o è madre chi lo cresce? Cos’è meglio per una nuova vita che si affaccia al mondo: crescere nell’amore e nel benessere o tra le braccia spoglie di colei con cui si condividono carne e sangue? Il legame di sangue è sempre stato frutto di discussione nell’umanità. C’è chi crede non si possa spezzare, che sia più forte di qualunque altra cosa al mondo. E chi crede che l’educazione, le esperienze vissute assieme, facciano di un rapporto genitore-figlio quel che è.

Little Fires Everywhere porta alla luce questa domanda ma se ne pone molte altre in merito.

Quanto è giusta una società in cui la vita di un bambino è soggetta alla capacità di un genitore di provvedere a lui senza l’aiuto di uno stato che semplicemente non guarda in faccia agli emarginati? E quanto è giusto che le radici etniche di un bambino adottato facciano parte della sua vita da adulto a prescindere dalla nazionalità di chi lo ha cresciuto? Sono domande spinose cui rispondere non è semplice e con le quali questa serie ci ha strappato il cuore a più riprese.

La tolleranza insegnata ai giovani

Negli ultimi anni si sono fatti grandi passi avanti nell’insegnamento di materie trasversali a scuola. Ma Little Fires Everywhere é ambientata nel ’97, e tante cose erano molto diverse vent’anni fa. Sembra ieri, eppure ci separa un abisso da quell’epoca in cui l’omosessualità sembrava una perversione in ogni strato della società. In cui un’adolescente alla scoperta della propria identità sessuale dovesse sopportare bullismo ed emarginazione, come accade a Izzy, in manera quasi scontata e automatica.

Ma Little Fires Everywhere non si sofferma solo su una triste storia di bullismo e intolleranza verso una giovane ragazza lesbica. Ma mette in luce delle crepe molto più profonde della giovane società americana.

La divisione che porta ragazzi giovanissimi a essere giudicati e trattati in modo diverso a seconda del colore della pelle, delle origini o del grado di popolarità a scuola. Il più delle volte strettamente connesso alla ricchezza della famiglia, al modo di vestire o di comportarsi. Questa divisione inizia dall’alto: dai genitori, dai tutori, dagli insegnanti. Da persone che dovrebbero insegnare ai giovani a essere se stessi, a inseguire le passioni anziché il giudizio altrui.

E che invece li invogliano a smussare i propri angoli solo per piacere alla massa, a omologarsi per rientrare in certi canoni di accettazione. Che pretendono da loro successo e perfezione fin dalla tenera età, sottoponendoli a una pressione sotto la quale finiscono per implodere. Come accade a Lexie. O a Izzy, forzata a contrastare le sue tendenze per combattere l’emarginazione. O nel caso opposto a Pearl. Sconfitta in partenza dal pregiudizio di chi avrebbe dovuto aiutarla a spiccare il volo invece di considerare la sua provenienza un ostacolo insormontabile.

Le disparità di genere

Little Fires Everywhere ha parlato di molte disparità sociali. Da quella di razza a quella di genere. E ha saputo trattare ogni disuguaglianza con la meritata delicatezza. Ma soprattutto con ottima attenzione al dettaglio. Perché sono i microdialoghi, o le storyline minori, quelle che hanno saputo sottolineare con più forza la differenza tra uomo e donna nella società moderna.

Il dislivello tra Elena e suo marito nel tempo dedicato a crescere i quattro figli ne è un esempio. Il fatto che lei abba dovuto rinunciare a una carriera mentre il marito ha potuto coltivare la propria. In quel rabbioso “I need you to do actual things” di Elena si cela tutta la frustrazione di una donna che non accetta l’idea di aver deciso col proprio partner di metter su famiglia salvo poi essere la sola a rinunciare a una grossa fetta di se stessa. Come poi decide di fare con rassegnazione. Diventando la Elena maniacale e sottilmente oppressiva che abbiamo conosciuto.

Ma anche la storia di Lexie mostra quanto radicate siano le basi della disparità di genere. Quanto presto, spesso, le donne inizino a doversi far carico di cose fatte in due. Il senso di colpa di portare in grembo un bambino che potrebbe stroncare la carriera e le ambizioni di due ragazzi ma finisce per stroncare l’emotività della sola donna, che vive in solitudine il suo dramma. Come in solitudine avrebbe dovuto vivere perfino la prevenzione.

È singolare infatti notare come il ragazzo di Lexie dia per scontato di proteggersi da una gravidanza indesiderata lasciando che la sua ragazza prenda una pillola anticoncezionale invece di considerare l’uso dei preservativi. Si tratta di una semplice frase, una dichiarazione, una convinzione. Sicuramente anche ingenua. Che mette però in luce l’abisso che ancora separava quella giovane società da un’attenzione più comprensiva di certi dettagli.

Gli stessi che fanno la vera differenza nelle disuguglianze di diritti tra generi. E Little Fires Everywhere non avrebbe saputo rivelarli meglio.

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