Ebbene no. Lo Squartatore – The Ripper – non parla di Jack, il misterioso e ancora sconosciuto killer di prostitute dell’epoca vittoriana. La docuserie britannica – una stagione di quattro episodi diretti da Ellena Wood e Jesse Vile uscita su Netflix il 16 dicembre 2020 – racconta degli omicidi di 13 donne, e l’aggressione di altre 10, compiuti da un nuovo squartatore tra il 1969 e il 1981, nell’area urbana tra West Yorkshire, Leeds e Manchester.
Uno dei serial killer della storia tra i più spietati quanto famosi.
La serie tv ripercorre l’intera vicenda, dalla prima vittima ufficiale del 1975 – Wilma McCann – alla carrellata di omicidi e aggressioni che seminarono il panico nel Nord dell’Inghilterra degli anni ’70. Racconta delle lunghe e controverse indagini, la cattura del killer, il processo e dunque la sentenza.
Lo scorso 13 novembre Lo Squartatore, alias Peter Sutcliffe, è morto a causa delle complicazioni da Covid nell’ospedale di North Durham a ben 74 anni.
Il serial killer venne subito chiamato dalla stampa Lo Squartatore dello Yorkshire proprio perché il suo modus operandi ricordava quello del famigerato Jack. Addirittura ancora oggi si vocifera che sia la sua reincarnazione e tra mitomani e lettere presunte autentiche nessuno ha mai sentito l’esigenza di trovargli un altro nome.
Non c’è dubbio che i riferimenti con Jack the Ripper siano molto profondi.
Riferimenti che hanno contribuito ad accrescere l’interesse morboso sul caso da parte dalla stampa inglese, la quale per anni non ha parlato d’altro. La vicenda del the Ripper di fine ‘800 la conosciamo forse tutti quanti. Tra le opere più note ricordiamo sia il film con Johnny Depp La vera storia di Jack lo squartatore – From Hell che il libro di Paul Begg The Jack the Ripper A to Z dai quali sappiamo che non è mai stato identificato, quindi mai arrestato, e che forse ha ucciso circa 15 persone.
Sappiamo invece che operava nel quartiere malfamato di Whitechapel a Londra e che, esattamente come Sutcliffe, lasciava i corpi delle proprie vittime, sempre e solo donne, riverse a terra in condizioni raccapriccianti: sgozzate, mutilate e appunto squartate.
Di sicuro è facile intuire che entrambi nutrissero nei confronti delle donne un odio viscerale.
Donne che in entrambi i casi erano in maggioranza (presumibilmente) prostitute. Ed è proprio sul termine “presunte” che la docuserie incentra il suo racconto donandoci un punto di vista del tutto nuovo che forse non ci aspettavamo.
Un’altra cosa in comune che hanno i due killer sono le numerose lettere che sia la stampa che la polizia ricevevano durante il periodo in cui erano attivi. Lettere che forse in entrambi i casi non sono nemmeno autentiche.
Ma se pensiamo che con Lo Squartatore stiamo per assistere solo a un’altra serie su un serial killer potremmo sbagliarci.
Anzi, se stavamo cercando proprio questo rimarremo delusi. Niente panico: Netflix abbonda di titoli sul tema, sia documentari veri e propri che storie recitate come Mindhunter. Storie che vedono protagonista sempre la mente del criminale. I suoi pensieri, i suoi scopi contorti e i motivi che lo hanno reso “un mostro”.
Invece The Ripper non ha come protagonista l’assassino in sé, ma gli effetti che le vicende hanno avuto sul contesto storico e sociale. Infatti la docuserie si rivela con sorpresa un racconto molto interessante sulla società inglese (e non solo) degli anni ’70. In particolar modo ci mostra come la donna veniva vista, trattata e considerata.
Tenendo presente il numero significativo di femminicidi che viene compiuto ogni giorno e l’importanza di quanto ci sia ancora bisogno di lottare per una piena emancipazione della donna, Lo Squartatore offre degli spunti di riflessione molto attuali.
Come accade in ogni documentario di cronaca nera, anche in questo ci vengono raccontati con piglio analitico lo sviluppo delle indagini e i metodi investigativi.
Il tutto corredato da testimonianze, foto, filmati e documenti ufficiali. Considerando che i fatti risalgono a poco più di 40 anni fa, abbiamo l’opportunità di ascoltare le testimonianze dirette sia delle vittime sopravvissute all’aggressione, come Mo Lea, che dei familiari di quelle che sfortunatamente non ce l’hanno fatta, come il figlio ora adulto di Wilma McCann.
Eppure sotto accusa non c’è il killer, ma l’indagine condotta dalla polizia.
Qui si apre uno scenario del tutto nuovo. Il documentario mette in luce i pregiudizi, la mentalità misogina di una cultura retrograda, superficiale e moralista che ha finito addirittura per pregiudicare le indagini stesse portando a ritardare la cattura di Sutcliffe.
Un documentario su un carnefice spietato che invece diventa un’accusa sulla pericolosità della società stessa che vede la donna solo come una vittima, come un essere debole e inferiore. I danni di una mentalità sessista altrettanto colpevole che genera mostri come Lo Squartatore da un lato e mette a rischio le libertà personali e l’incolumità dei cittadini dall’altro.
Altra sorpresa: la cosa più raccapricciante del racconto non è il modus operandi del killer.
A lasciarci sconcertati è il fatto che l’opinione pubblica dell’epoca (ma anche quella odierna?) considerava la vita di una donna “presunta” prostituta molto meno di quella di una ragazza giudicata dalla società “rispettabile”. Solo la seconda veniva definita una vittima innocente, lasciando intendere che per le prime valesse quel maledetto “beh, se l’è cercata lei” che purtroppo ancora oggi serpeggia intorno ad alcuni casi di femminicidio.
Sia la stampa che la polizia (composte da soli uomini, almeno fino all’arrivo della giornalista Joan Smith che ci regala finalmente un punto di vista scevro da beceri moralismi) hanno contribuito ad alimentare pregiudizi pericolosi sviando le indagini su false piste.
La vicenda, per quanto terribile, ha avuto però un risvolto positivo.
Cioè ha sollevato un problema molto profondo movimentando l’opinione pubblica e aprendo dei dibattiti sulla morale e sulla donna. Nacquero molte manifestazioni furiose al grido di “rivendichiamo la notte” a seguito del coprifuoco indetto per “proteggere” le donne, le quali al contrario scesero in piazza contro una società patriarcale:
“Per rivendicare che la notte appartiene tanto a noi donne quanto agli uomini (perché) si dava quasi per scontato che gli uomini potessero attaccarci se giravamo da sole di notte”.
Una docuserie che merita di essere vista non tanto per soddisfare quella curiosità morbosa sui serial killer, ma per conoscere uno spaccato dell’epoca molto interessante, purtroppo ancora attuale e forse poco noto. Inoltre, se ci sentiamo orfani di The Crown, Lo Squartatore è un ottimo modo per passare una serata (magari un po’ inquietante) in compagnia della storia contemporanea inglese.