John Locke è uno di quei personaggi di Lost di cui è impossibile stancarsi di parlare. Se infatti è vero che nella serie cult che ha segnato un’epoca è difficile individuare un personaggio che risulti insipido o indifferente al pubblico, non si può comunque negare che alcuni hanno inevitabilmente avuto un peso e un’influenza maggiore di altri, e Locke in questo ha diviso milioni di telespettatori. La sua storia, tuttavia, almeno in partenza non può non stimolare l’empatia e la compassione dello spettatore; questo ci porta dritti al tema dell’articolo, cioè il rapporto che John Locke ha avuto con la fede e i momenti in cui ha pensato di averla riposta nelle situazioni e nei soggetti sbagliati.
John Locke è un uomo che deve credere, ha l’impellente bisogno di farlo. La tragica storia con il padre biologico gli costa un rene, la colonna vertebrale e la felicità; l’incidente a cui incredibilmente sopravvive, infatti, lo costringe alla sedia a rotelle, in uno dei momenti più strazianti della storia di Lost. Poi, il miracolo: l’arrivo sull’Isola corrisponde al recupero della sensibilità delle gambe, significa tornare a vivere come ha sempre voluto fare.
Quest’ultimo aspetto porta John a essere praticamente costretto ad avere fede: affidarsi a quello che lui chiama un “leap of faith” è la soluzione paradossalmente più razionale che decide di scegliere per spiegarsi ciò che gli è successo. Il continuo scontro con Jack si basa infatti proprio su questo: per credere nel potere della fede bisogna fare un salto di razionalità, che per molto tempo Jack è stato incapace di fare. Ma fede in cosa? Nell’Isola, ovviamente.
Eppure, non sono pochi i momenti in cui la fede di John Locke ha vacillato. Ne individuiamo 2, cercando di contestualizzare le situazioni che, inevitabilmente, hanno un peso diverso in base al momento storico in cui il personaggio si trova.
Il primo momento è quello in cui John Locke si sente fortemente tradito dall’Isola; dopo aver superato il trauma per la morte di Boone (altro momento in cui la fede aveva vacillato), l’uomo scopre insieme a Mr. Eko che la prassi di premere il pulsante nel bunker non è un modo per evitare “una catastrofe” ma solo un esperimento psicologico che nell’ottica del Progetto Dharma doveva essere monitorato da un’altra stazione. John, dunque, si sente preso in giro, e decide che la soluzione è non premere il pulsante per avere la prova che non succederà nulla. Ma Mr. Eko prenderà il suo posto nel compito, introducendo in Lost un tipo di fede con una sfumatura diversa da quella di Locke, una fede più religiosa. A ogni modo, non premere il pulsante in realtà creerà una piccola catastrofe con una grande esplosione elettromagnetica: sarà per questo che John recupererà la fede.
Il secondo e decisivo momento lo abbiamo invece quando Locke non è più sull’Isola; seguendo inconsapevolmente il piano dell’Uomo in Nero, infatti, John aveva provato a riportare sull’Isola tutti coloro che erano riusciti ad andare via (i cosiddetti Oceanic Six), fallendo però nell’impresa visto che nessuno dei sei aveva accettato.
La perdita della fede è rappresentata dalla scelta di suicidarsi: dopo un ultimo biglietto indirizzato a Jack (Vorrei che mi avessi creduto), è ormai pronto a impiccarsi. La sua azione sarà fermata da Ben che però, dopo averlo manipolato, lo ucciderà in quel momento ponendo fine a una triste ma incredibile vita.
La storia di John Locke, in realtà, ci insegna delle sfaccettature che possono sembrare impercettibili a un primo sguardo; quello del personaggio è un credere nel destino, diverso dal generale concetto di fede a cui siamo abituati. La sua, per essere precisi, è una fede nel destino, una fede che lo porterà alla sconfitta ma che dimostrerà che era stato l’unico a capire fin dall’inizio in che posto erano capitati. Un posto che ha permesso ai personaggi di vivere il periodo più intenso della loro vita. Un posto che vale come pretesto per ritrovarsi prima di “lasciar andare”. In poche parole, un posto magico.