Tricia Tanaka è morta, il decimo episodio della terza stagione di Lost, è una vera e propria esperienza. 45 minuti passati a inseguire un sogno che entrano nel cuore e trasmettono più emozioni di quanto altre serie riescano a fare nel corso di intere stagioni. Perché dietro alla tenacia di Hurley, protagonista indiscusso della puntata, riscopriamo il senso del nostro fare e del nostro andare. Un faro di speranza in cui poter ricaricare il proprio ottimismo, un angolo sicuro in cui poterci rifugiare per sentirci al sicuro. Insomma, uno degli episodi più rappresentativi e allo stesso tempo più sottovalutati dell’intera Lost.
Attenzione, il seguente articolo contiene spoiler su alcuni importanti snodi di trama di tutta Lost, siete avvisati!
Il sorriso circondato da efelidi di un bambino riccioluto di fronte al padre apre la nostra storia: una storia che parla di ottimismo, di fede e di speranza. Il sogno del piccolo Hugo pare piuttosto concreto: sfrecciare a bordo di una Camaro rosso sfavillante e guidare fino a perdersi lontano. Ma non è ancora il momento di partire. Le chiavi dentro la toppa dell’auto purtroppo non girano e il ragazzino pensa che sognare sia da stupidi.
“Sperare in qualcosa non è mai stupido. Se credi che delle belle cose accadranno, vedrai che accadranno. In questo mondo, figliolo, devi essere l’artefice della tua fortuna!”
Eppure l’uomo che ha proferito queste poetiche e sagge parole regala al piccolo Hugo una merendina e sale sulla sua moto con un borsone senza più voltarsi. Ritornerà solo dopo diciassette anni per reclamare una fetta del patrimonio milionario del figlio o, almeno, così pare.
E Hugo Reyes cresce. Cresce senza un padre, abbandonato alle voci nella sua testa e alle proprie paure, vincendo milioni ma perdendo nella vita, vittima di una maledizione che lo vuole succube del fato e degli eventi. È così che qualche tempo dopo, sull’Isola, l’uomo si ritrova a piangere sulla tomba dell’unica ragazza che l’aveva fatto sentire speciale, in preda ai sensi di colpa e alla sensazione di poter solo creare danni alle persone a cui tiene. Quando però lo sconforto arriva ai suoi picchi, tutto cambia e un braccio mummificato restituisce al ragazzo l’entusiasmo necessario: forse per lui la fortuna è tornata a girare. Hugo vuole vincere, una volta tanto, ed è disposto a rischiare pur di farcela.
Farcela per liberarsi di un peso, di una maledizione che gli ha tolto ogni cosa: l’amore, gli amici, ma soprattutto la serenità. Vincere per reclamare il proprio posto nel mondo, per dimostrare di potercela fare, per provare attimi di felicità all’interno di una tragedia senza fine. E una vittoria questo ragazzone se la meriterebbe, perché lui è un’anima pura, buona come nessun altra sull’Isola, capace di rendere migliori le persone che lo circondano.
E proprio grazie a lui, infatti, in molti ritrovano il sorriso: Jin, che si sente finalmente coinvolto in qualcosa, Sawyer, che ritrova qualche istante di pace dopo la terribile prigionia presso il campo degli Altri, e Charlie, fino a quel momento ossessionato dalla paura della morte dopo aver appreso da Desmond delle sue visioni di morte.
Un van del progetto D.H.A.R.M.A. da rimettere in sesto, una mummia di nome Roger, un cane, qualche birra e quattro uomini stremati, ma ancora in piedi nonostante tutto: basta questo per creare una delle puntate più belle di tutta Lost, divertente e leggera, senza per questo risultare meno pregna di significato rispetto a episodi più drammatici.
Perché in 45 minuti la 3×10 semina indizi che verranno raccolti più avanti, come la figura del povero “Roger Workman” (nient’altri che il padre di Ben), porta notevolmente avanti lo sviluppo psicologico di alcuni tra i personaggi più importanti di Lost e mostra alcune scene dannatamente iconiche. Chi si scorda di Sawyer che insegna a Jin le tre frasi per fare felice una donna, del meteorite che colpisce Mr. Clucks e dei veementi abbracci di Hugo?
Attimi di inatteso umorismo per una serie che non fa sicuramente della comicità il proprio punto di forza, ma che qui regala alcuni dei momenti più dolci e simpatici di tutta Lost.
Eppure, il momento più significativo dell’intero episodio arriva sul finale: è quell’atto di fede che porta Hurley e Charlie a salire, sul limitare di un pendio, su di un van malridotto fermo da chissà quanti anni, pronti a lanciarsi a tutta velocità giù da quella ripida discesa, guardando in faccia la morte. E se non si muore, si vince, si supera qualsiasi paura e si ritorna a vivere.
Guardiamo la morte in faccia dicendo: “Comunque vada, Creiamoci la fortuna!”
È così che si buttano, lasciandosi alle spalle tutto il male che li aveva seguiti fino ad allora. Accettando il proprio destino Charlie ritorna a vivere e Hurley si riappacifica a distanza col padre, accettando una lezione che finalmente acquista un senso profondo. Creiamo noi la nostra fortuna. Non è mai troppo tardi per ricominciare. È un salto nel vuoto, è speranza, è un atto di fede: lanciarsi a tutta velocità giù da una collina dritti verso massi di rocce scure, sperando che per una volta qualcosa di bello possa accadere.
E sono attimi di adrenalina che paiono durare secoli. Istanti in cui l’unica cosa da fare è chiudere gli occhi e pregare che tutto si risolva per il meglio. Così, mentre vediamo due sfortunati eroi sfrecciare verso il basso, mentre guardiamo lo scalcinato veicolo sobbalzare verso un apparentemente inesorabile schianto, per una volta, scegliamo di credere. Uno slow motion ci accompagna facendoci trattenere il respiro fino all’ultimo secondo. La serenità che aleggiava attorno all’episodio per un attimo svanisce, facendoci ripensare ai momenti più tragici di Lost.
Perché abbiamo voluto sperare?
Poi Hugo chiude gli occhi. “Non ci sono maledizioni. Te la crei la fortuna.”.
La chiave finalmente gira: il van si accende e, tra le urla di gioia di tutti i presenti, dalla radio del veicolo iniziano a risuonare delle note che ci avevano appena sfiorato da lontano all’inizio dell’episodio. È Shambala dei Three Dog Night e la scelta del brano non è sicuramente casuale: Shambala (o Shambhala) per i buddisti è infatti un regno mitico e segreto senza dolore o punizioni. Un posto paradisiaco abitato solo da virtuosi e illuminati dove si vive serenamente. Un luogo di bellezza e felicità, lontano dai mali del mondo.
“Lava via i miei guai, lava via il mio dolore con la pioggia a Shambala. Lava via la mia tristezza, lava via la mia vergogna con la pioggia a Shambala“
Ed è bello ridere di gioia, sentirsi spensierati e sfrecciare sui prati dell’Isola. Lasciare da parte per qualche minuto il fatto di essere dispersi, di trovarsi continuamente in pericolo e di vivere costantemente a fianco della morte. In questo momento a importare è solo la felicità di aver realizzato qualcosa, di aver vinto una battaglia, per quanto sciocca, per quanto poco utile. Ad avere valore sono solo il senso di unità creatosi, lo spirito di gruppo costruitosi e quel senso di completezza che fa scaldare il cuore.
“Tutti sono fortunati, tutti sono così premurosi sulla strada verso Shambala“
Poi, a fare da sottofondo resta solo la versione orchestrale della canzone che accompagna il ritorno a casa dei nostri personaggi. Solo Hurley si prende qualche momento per sé, e, al volante della vettura, si concede un sorriso storto mentre ripensa a chissà cosa. E, vedendo quell’espressione di pace, non possiamo fare altro che sorridere di rimando, colmi di tanti sentimenti e di tante riflessioni. Per una volta tutto è andato bene.
Così, alla fine di tutto, non possiamo che rimanere ammirati di fronte a una puntata così semplice, ma allo stesso tempo così ben scritta, ricca di rimandi e di metafore, capace di trasmettere sensazioni positive e speranza senza risultare stucchevole.