Era il 22 settembre 2004 quando in America andò in onda il pilot di una Serie Tv che avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di serialità. Un gruppo di naufraghi su un’Isola apparentemente deserta, misteri ed enigmi, progetti segreti e la lotta tra il bene e il male. Tutto questo e molto altro è stato Lost, lo sanno bene i critici ma soprattutto i fan che cercano ancora di trovare un degno erede. Che sia inclusa nell’Olimpo della serialità televisiva è assodato un po’ da tutti, pure da quelli che alla fine della sesta stagione si sono ritrovati parecchio delusi (eufemismo) dal finale.
J.J Abrams e Damen Lindelof presentarono alla ABC un’idea per il loro show con cui volevano raccontare in breve che cosa fosse Lost e perché quella major televisiva avrebbe dovuto investirci sopra. I punti chiave di quel documento presentavano Lost come una Serie d’avventura e non di genere, che nelle migliori intenzioni doveva riprendere vari aspetti da altri format televisivi soprattutto procedural. È indubbio, quindi, che all’interno di questo calderone incredibile che è Lost si possano ritrovare i meccanismi compositivi di tantissimi generi.
Oltre alla struttura singola di ogni episodio è ogni intera stagione ad avere in sé qualcosa di diverso dalle altre: più survival la prima, action la terza, sci-fi la quarta e quinta e al limite del misticismo l’ultima.
Lost era diverso da qualunque altra cosa mai vista in televisione, una televisione ancora legata alle vecchie regole del piccolo schermo. Molto diverso da quello a cui siamo abituati da un paio di anni a questa parte, quasi piccole produzioni cinematografiche. Dalle ambientazioni incredibili, al cast unico, formato prevalentemente da volti nuovi ed entusiasmanti, Lost offriva dunque ai tempi qualcosa di unico. Una Serie Tv fatta su misura, in grado di appassionare un pubblico più vasto possibile.
Spaventoso. Divertente. Misterioso. Romantico. Dall’impronta cinematografica.
L’isola, i Numeri, la Dharma, gli orsi polari, la Ruota, la Luce, la Statua, il Tempio: tantissime cose nel corso delle stagioni sono entrate di diritto nella Mitologia di Lost e hanno contribuito a costruire la Lostpedia; alcune cose hanno avuto una risposta più o meno esaustiva, altre sono ancora avvolte dal mistero (come chi ha costruito la statua di Taweret che funge da casa di Jacob e che vediamo intatta in un salto temporale in un lontanissimo passato).
Questa è una delle chiavi di Lost: il sapiente dosaggio dei misteri sia relativi all’Isola che alla narrazione dei personaggi ha reso questa Serie maestra dei cliffhanger, elemento principe della narrazione televisiva. Per costruire una Serie Tv rispettandone i paletti, Lost è la base da cui bisogna partire e difatti molti l’hanno fatto, chi rispettandone il rigido formato, chi prendendosi più libertà.
Sono d’altronde i personaggi, poi, il cuore dell’intera saga di Lost, il cui potere è stato la loro capacità di far empatizzare il pubblico. Anno dopo anno i fan si sono ritrovati a tifare e supportare il proprio benianimo, a odiare Benjamin Linus e a domandarsi sull’identità del misterioso Jacob. Sono personaggi tridimensionali con le loro qualità e le loro, innumerevoli colpe, ma sono comunque personaggi veri e non semplici copie o stereotipi.
Per questo il finale rappresenta la degna conclusione di questo ritratto dell’animo umano.
Quindi perché Lost può essere considerata, ancora oggi, come la Bibbia delle Serie Tv? In primis perché Lost nell’immaginario e nell’archivio delle Serie Tv è qualcosa con cui tutti bene o male fanno i conti, sia quando vogliono avvicinarsi a quello stile e costruzione narrativa, sia che se ne vogliano discostare appositamente.
Per la sua innovazione, la struttura narrativa, la sceneggiatura formidabile e per tutta una serie di altri fattori di cui forse in realtà non si saprà mai bene l’esatta natura, Lost ha posto un pilastro nel mondo della serialità, un punto di partenza per l’inizio di quel periodo d’oro che oggi stiamo vivendo. Va bene Stranger Things e Westworld, tutti titoli bellissimi ed icone del nostro tempo.