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Che cos’è l’Isola di Lost?

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L’Isola di Lost è davvero tante cose; non è un caso, innanzitutto, che venga usata la lettera maiuscola per scrivere la parola: in tutta la Serie Tv essa si presenta spesso e volentieri più come un’entità psico-fisica a sé stante piuttosto che un mero luogo fisico. È agevole comprendere, dunque, che dare una risposta alla domanda su cosa sia l’Isola di Lost non è affatto semplice e, soprattutto, l’eventuale risposta difficilmente potrà essere univoca. Infatti la Serie Tv, definita da molti la madre del genere, è per antonomasia il prodotto sul mistero e sull’ampiezza delle possibilità interpretative, perciò ontologicamente non si presta a risposte chiare e secche. Detto questo, è comunque interessante mettere in evidenza i fatti che emergono da Lost, per poi avventurarsi in potenziali interpretazioni.

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Utile, perciò, partire dal dato oggettivo: l’Isola è un luogo fisico, effettivamente circondato dall’Oceano Pacifico come qualsiasi altra isola, orientativamente individuabile nella lunga tratta che separa Sidney e Los Angeles. Già questo, però, potrebbe essere messo in crisi se pensiamo che spesso in Lost viene affermato che l’Isola si sposta continuamente. Diciamo che è un luogo fisico, a cui si aggiunge un altro isolotto, più piccolo, a breve distanza dall’Isola principale. Per comprendere però la complessità di ciò che viene affermato, ci si può soffermare sull’ultimo dialogo che avviene sull’Isola fra John e Jack, prima che il primo parta con l’elicottero verso la nave cargo:

“Dovrai mentire. Se te ne andrai, dovrai mentire su tutto quanto. È l’unico modo per proteggerla”

“È un’isola John. Non c’è bisogno di proteggerla!”

“Non è un’isola. È un posto in cui avvengono i miracoli”

“Non esistono i miracoli”.

Invece sì, a quanto pare. Proprio poco prima, nella quarta stagione, avevamo appreso che colui che John, Ben e l’intero pubblico credevano fosse Jacob (invece era l’Uomo in Nero con le sembianze di Christian) aveva ordinato di spostare l’Isola per proteggerla dall’attacco degli uomini sulla nave e in generale dai rischi che il fatto di essere stata trovata comportava. La quinta stagione, tuttavia, mostrerà che spostare l’Isola creerà solo danni e pericoli per i protagonisti, proprio come era nelle intenzioni dell’Uomo in Nero.

A ogni modo, la protezione a cui Locke si riferisce è legata sia a motivi egoistici che oggettivi: il personaggio di John, per quanto sia un illuso e ingenuo perdente, alla fine era l’unico dei naufraghi che aveva compreso la specialità del posto in cui erano capitati. Infatti, lui aveva provato sulla sua pelle i poteri guaritori del luogo, riacquistando l’uso delle gambe subito dopo la caduta dell’aereo. D’altro lato, invece, l’Isola era stata per decenni oggetto di studio degli scienziati del progetto Dharma, che avevano scoperto grandi anomalie riguardo l’elettromagnetismo, elemento che di fatto permetteva il teletrasporto (da qui lo spostamento) non solo spaziale, ma anche temporale (ricorderete il ruolo della famosa ruota incastrata nel ghiaccio). Permettere dunque che un posto così venisse scoperto dal mondo intero, avrebbe potuto portare conseguenze devastanti.

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Passando a un livello più teoretico ma pur sempre oggettivo, sarà Jacob (e chi se non lui) a spiegarci quale sia il ruolo dell’Isola nel mondo. In una conversazione con Richard, egli prende una bottiglia di vino chiusa da un tappo di sughero e crea un’interessante metafora: afferma che il vino è il Male, in tutte le forme in cui lo conosciamo e sull’Isola individuato nell’Uomo in Nero; il tappo di sughero, invece, è l’Isola. Dunque, si potrebbe affermare che l’Isola sia il tappo che impedisce al Male di diffondersi in tutto il mondo. Questi sono, nudi e crudi, i fatti.

Tuttavia, è evidente che questo non può bastare. Lost non è una serie famosa per i fatti, né tantomeno per le cose dette, ma più che altro la ricordiamo per le teorie e per le cose non dette. Iniziamo dunque a vedere cosa emerge dagli eventi e dai comportamenti dei personaggi; fin dalla primissima puntata, Lost ha ben chiaro in mente di voler creare qualcosa di difficile a livello narrativo, in quanto parte con l’ambizione di far conoscere al pubblico molti personaggi principali attraverso flashback che sono in qualche modo legati a ciò che vivono nel presente sull’Isola.

Ma cos’è che vivono questi personaggi? Il passato. Anzi, a essere precisi, i demoni del passato. Questa è la genialità della scrittura di Lost: rappresentare il passato dei personaggi non solo per presentarli agli spettatori, ma anche per permettere agli stessi protagonisti di proseguire il loro percorso nella storia; non c’è mai staticità in questo modo. E L’Isola? Essa mostra loro ciò che hanno paura di vedere, ciò che sperano di rivedere, ciò che sanno non potranno mai più vedere.

“Io quest’Isola l’ho guardata negli occhi e ciò che ho visto… è bellissimo” (John Locke)

Affrontando i loro demoni, Jack, Kate e tutti gli altri si specchiano nell’Isola: vedono se stessi, spogliati dalle maschere che indossano con gli altri. Jack insegue suo padre morto, Kate ritrova il cavallo nero, Charlie ricade nel tunnel della droga per poi uscirne, Sawyer incontra l’uomo a cui è destinata la sua lettera di odio e rancore che guarda caso è il padre di John, nonché l’uomo che ha rovinato a quest’ultimo la vita. E si potrebbe continuare all’infinito con questi esempi. Come afferma Jack in una delle prime puntate della storia, sull’Isola non conta più chi erano, conta solo chi saranno: inizia per tutti una nuova vita, un nuovo percorso di rinascita e, di fatto, espiazione.

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Alla luce delle prime stagioni, dunque, è piuttosto pacifico affermare che l’Isola può essere lo specchio dei personaggi. Considerando invece le stagioni successive e, soprattutto, il finale, la prospettiva cambia e si allarga. Si ricordi innanzitutto quello che si è detto sull’Isola come tappo: tutta la sesta e ultima stagione rappresenta il tentativo dell’Uomo in Nero di scappare dall’Isola, per diffondersi appunto nel mondo.

È evidente, dunque, che questa è una prospettiva grandissima, universale, esistenziale.

Non riguarda solo le anime dei nostri poveri naufraghi. Eppure, se l’Isola rappresenta in qualche modo l’equilibro del Bene e del Male nel mondo, nel momento in cui Jacob ha scritto quei nomi (Jack, Kate, John, Sayid, Hurley, Sawyer) ha inserito le loro vite in un’ottica globale che prescinde da ciò che hanno fatto fino a quel momento. Tuttavia, possono scegliere: sarà infatti solo Jack ad assolvere al ruolo di custode dell’Isola, di protettore appunto, in un chiaro rimando al dialogo con Locke che vedeva Jack decisamente scettico riguardo il concetto di protezione.

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Il finale, infine, ci riporta a una dimensione più ristretta e antropocentrica, in cui l’Isola è quel luogo senza tempo in cui i protagonisti hanno condiviso i momenti più importanti della loro vita, cosa che permette loro di ritrovarsi per poter andare via insieme (l’uso dell’espressione “let go” in inglese è, in questo contesto, poeticamente intraducibile).

L’Isola, come detto all’inizio, è tante cose. Non è spiacevole tuttavia pensare che l’Isola di Lost, con tutto quello che ha comportato per ogni personaggio, principale o secondario che sia, sia alla fine lo specchio della vita. Non della vita dei protagonisti, si badi, ma lo specchio del magnifico e tortuoso percorso chiamato esistenza

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