Assodato che la natura umana sia un abisso di sentimenti ed emozioni di notevole complessità, quasi mai si può dare qualcosa per scontato. Storicamente diverse forme d’arte hanno creato personaggi che in quell’abisso vi hanno sguazzato traendone spesso un gran vantaggio. Per questo ci sono eroi della finzione per i quali non siamo mai davvero riusciti a simpatizzare nonostate fossero nati per essere buoni. E villain che, nonostante le peggiori malefatte, non siamo mai riusciti a odiare. Numero uno di questa categoria forse resterà sempre il caro vecchio cattivo di Lost, Benjamin Linus.
Un uomo che abbiamo conosciuto attraverso diversi nomi, ruoli, figure e posizioni prese. Amandolo quasi incondizionatamente in ognuno di questi. O almeno in parte.
È un rapporto estremamente ambiguo quello che si instaura tra Benjamin Linus e la maggior parte degli amanti di Lost. È vero che molti dei personaggi della serie sono in grado di creare un rapporto ambivalente con lo spettatore. Personaggi come Sayid, Jin, Sawyer, ma anche gli stessi John Locke e Michael, sono oggetto di un’ampia spirale di sentimenti nati in chi li osserva agire ed evolversi nel corso delle sei stagioni di Lost. Li amiamo follemente, altre volte invece li odiamo, a tratti li compatiamo e in altri momenti cerchiamo solo di giustificare razionalmente le loro azioni.
Ma nessuno di loro è un villain. Nessuno di loro è stato scritto per rappresentare l’essenza malvagia di quella sventura/avventura sull’isola. O dell’isola stessa. Ognuno di questi personaggi è nato per mettere in scena una complessità emotiva che ha portato a termine il suo compito: spingerci a riflettere su ognuna delle loro vite empatizzando con gli stessi. Anche nel peggiore dei momenti. Anche con Michael.
Ma lo stesso non vale per Benjamin Linus. Benjamin Linus nasce per essere un villain. Il lato oscuro dell’isola. Quello misterioso, terrificante, dal quale nascono e si dipanano le paure peggiori di naufraghi di Lost.
E anche quando l’alone di mistero attorno a “gli Altri”, al progetto Dharma, e al legame tra le due cose, inizia a dileguarsi mostrando a Jack e ai suoi l’essenza del gruppo di “cittadini stabili” dell’isola, Benjamin Linus non smette di far paura. Non perché sia in grado di atterrire i suoi nemici (e amici) di suo, ma per la consapevolezza che questi hanno della sua totale mancanza di scrupoli.
Chi lo circonda – a partire dalla sua stessa figlia – è consapevole (forse ancor più di chi non lo conosce bene) di cosa sia capace Benjamin Linus. Quello che un tempo era solo un ragazzino solitario, spaventato dal padre, e desideroso di evadere. I flashback di Lost hanno saputo mostrarci ampiamente cos’abbia comportato l’evoluzione di quel ragazzino per lui stesso e per chiunque abbia incrociato il proprio cammino con il suo.
I traumi della sua infanzia misti alle decisioni prese, con una buona dose di razionalità, accumulata nel corso degli anni. Da quella di unirsi ai vecchi “Altri” (gli Ostili di Richard Alpert) uccidendo tutti gli abitanti di Dharmaville, a quella di giocare duro con Keamy sulla pelle di sua figlia Alex.
Se c’è qualcosa che abbiamo capito nel corso di Lost, è che non importa in che situazioni si trovi, Benjamin Linus penserà sempre prima di tutto a se stesso.
Nonostante la sua personalità sia probabilmente non del tutto assimilabile a quella di un totale psicopatico, qualunque fosse il prezzo, Linus ha sempre fatto in modo che non fosse direttamente lui a doverlo pagare. E anche quando ciò è stato inevitabile – come quando ha creduto erroneamente di dover spostare l’isola con le sue stesse mani – non si è mai arreso dinanzi alla possibilità di rivalersi e riprendersi “ciò che credeva fosse suo”.
E questo ha portato con sé un ampio numero di sofferenze altrui per ogni azione egoistica da lui messa in atto. Per ogni manipolazione sapientemente eseguita, per ogni bugia o doppio gioco fatto. Fino alla fine di Lost, nessuno dei personaggi (e degli spettatori) poteva dirsi certo di un sincero cambiamento – o anche solo di una parziale redenzione – di Benjamin Linus. E nessuno poteva dirsi sicuro di aver fiducia del personaggio. Fino alla fine di Lost, Benjamin Linus è stato un vero e proprio rompicapo, con il quale tutto ciò che si poteva fare era sperare che non mettesse nessuno nei guai a ogni buona occasione.
Insomma una mina vagante al cardiopalma, cui abbiamo visto fare le peggiori cose e sacrificare alcune delle migliori persone. Ne abbiamo sofferto, lo abbiamo odiato, maledetto, eppure non abbiamo mai smesso di amarlo.
Sono trascorsi dieci anni dalla fine di Lost, e ben di più da quando J.J. Abrams ci ha introdotto il personaggio di Benjamin Linus decidendo poi di tenerlo nel cast principale invece di tagliarlo poco dopo com’era stato pianificato all’inizio. Con molta probabilità l’incredibile bravura di Michael Emerson è stata in parte responsabile di entrambe le dinamiche.
Sappiamo con certezza che lo è stata nella decisione di Abrams. E forse la cosa ha parzialmente inciso sulle ragioni per le quali i fan di Lost amano follemente il personaggio di Linus nonostante rifletta spesso la malvagità allo stato puro. Ma per quanto Emerson sia eccezionale, la sua interpretazione non basta.
C’è qualcosa nella caratterizzazione di Benjamin Linus in grado di rapire gli spettatori in modo totalizzante, facendo loro dimenticare i lati più oscuri del personaggio. Già in questo articolo ne avevamo parlato analizzando la parabola discendente di Benjamin Linus. Ovvero il percorso che lo porta – dopo una fase di grande difficoltà – all’ascesa, per poi proiettarlo verso una rovinosa caduta.
Dunque ci sono tante ragioni più che razionali per le quali non siamo mai riusciti a odiare Benjamin Linus, ma tra queste la più importante è sicuramente la tipologia di evoluzione.
Ampia, complessa, sfaccettata. Praticamente no-stop. A differenza della stragrande maggioranza dei villain che abbiamo visto e conosciuto nelle migliaia di serie tv nate negli ultimi vent’anni, Benjamin Linus non conosce tregua. Non attraversa mai una fase di crescita piatta, e se lo fa, non dura più di due episodi. È un personaggio in continua evoluzione, che passa da un’epifania all’altra senza però tralasciare nel mezzo improvvisi cambi d’idea e malefatte d’ogni genere.
Quando credi abbia finalmente compreso la natura delle sue azioni e le conseguenze dei suoi errori, sei quasi pronto a scommettere che stavolta sia finalmente cambiato. Tutto per poi ritrovarti di nuovo a fare ‘no’ con la testa pensando “Oh no, l’ha fatto di nuovo”. Fino a quando non arrivi a credere che uno come Benjamin Linus non cambierà mai. Che sia destinato a essere vittima dei suoi stessi demoni per sempre.
E conoscendo la natura dei suoi demoni, le profonde radici e il modo in cui si sono evolute, resti incastrato anche tu in una spirale di ambigui sentimenti dai quali non riesci mai a liberarti.
E così ci ritroviamo per ben sei stagioni ad affrontare una delusione dopo l’altra e al tempo stesso un momento di folle amore dopo l’altro in cui tutto ciò che facciamo è cercare costantemente ragioni per giustificare anche le peggiori delle sue azioni, e ragioni per amarlo anche più di quanto non facessimo prima.
In pratica se tutti i villain delle serie tv fossero stati scritti in questo modo, non avremmo buoni o cattivi. Ma solo buoni e personaggi che “amiamo a prescindere”.