Lost è considerata da molti una delle migliori serie tv di sempre, se non il capolavoro per eccellenza degli ultimi vent’anni. Comunque la si voglia vedere, è innegabile che abbia lasciato il segno non solo negli spettatori, che a distanza di anni ancora discutono le implicazioni dei suoi tanti misteri, ma anche nella storia delle serie tv. E allora, a distanza di ben sedici anni dalla sua messa in onda, ci chiediamo cosa sia rimasto del complesso e affascinante mondo di J. J. Abrams e Damon Lindelof.
Partiamo dagli aspetti diciamo più visibili, che riguardano il comparto tecnico. Lost ha impattato enormemente il mondo delle tecniche narrative, inserendo degli espedienti che hanno cambiato il modo stesso di raccontare una storia. Un esempio su tutti è l’utilizzo dei flashback e dei flashforward come escamotage per approfondire la trama. I primi sono stati utilizzati anche da serie tv precedenti a Lost (prima tra tutte I Soprano), ma è stata Lost che ne ha fatto un tratto distintivo, sdoganandoli per gli anni a seguire. I flashforward, invece, sono stati una vera e propria rivoluzione per l’epoca, replicata poi da altri capolavori che ne hanno fatto a loro volta il loro elemento caratterizzante, come l’immancabile Breaking Bad.
Tuttavia, crediamo che l’innovazione più grande nell’ambito narrativo è stata introdotta da Lost solo nella sesta stagione, con l’utilizzo dei flashsideways: una tecnica che consiste nel mostrare ciò che sarebbe potuto accadere se un punto della trama fosse andato in modo diverso. Praticamente Sliding Doors fatto serie tv. Ci sono state serie precedenti a Lost che hanno utilizzato questo escamotage per raccontare realtà alternative, ma quasi sempre si trattava di puntate speciali o limitati plot device confezionati ad hoc per portare avanti il protagonista. Lost è stata la prima serie tv a scegliere coscientemente di utilizzare i flashsideways per costruirci sopra un’intera stagione e ricollegarsi, grazie ad essi, al finale della serie. Oggi anche trovando piccoli esempi qua e là, ai quali la serie a certamente spianato la strada, non ne ritroviamo la stessa forza.
Una scelta coraggiosa che, fino ad ora, è rimasta unica nel suo genere!
Il mistero come motore principale della Serie
Se si pensa a Lost, la prima cosa che viene in mente è sicuramente l’infinita quantità di misteri che ogni stagione si portava dietro, molti dei quali rimasti irrisolti. La verità è che Lost è stata la prima serie tv a rimettere al centro il mistero come tema principale e non solo come caratteristica limitata a un arco di stagione. Prima di lei soltanto Twin Peaks, che con il suo “Chi ha ucciso Laura Palmer?” è diventata un fenomeno di massa degli anni ’90. Infatti, le due serie condividono lo stesso destino mediatico. Lost è riuscita a tenere incollati agli schermi punte di 23 milioni di persone a episodio grazie non solo alla storia di personaggi ben scritti, ma anche ai numerosi misteri che come scatole cinesi contribuivano a creare un mondo sempre più intrigante.
Molte serie successive hanno cercato di riproporre la stessa struttura ma, per quanto ci abbiano provato, non sono mai riuscite a replicare la formula segreta di Lost. La serie si è fatta portavoce di un genere, il mystery sci-fi, che era da poco rimasto orfano di un altro grande caposaldo (X-Files, finito solo due anni prima) rendendolo più trasversale. Da allora il genere ha proliferato, sfornando una serie di prodotti di poco successo: da Lost Room a The Event, da I-Land ad Harper’s Island, ai migliori The OA e FlashForward, tutte queste serie tv hanno provato a replicare la fama di Lost, mettendo insieme vari elementi derivati da essa. Che siano stati l’ambientazione isolana, un mistero da risolvere, la fantascienza dai confini poco netti e quasi fantastici o l’utilizzo dell’aereo come set principale, in ognuna di loro c’è un pezzo di Lost. Persino lo stesso Lindelof ci ha riprovato con The Leftovers e, sebbene la serie sia stata di indubbia qualità, non è riuscita neanche ad eguagliare i numeri di Lost. A questo punto ci si chiede perché non si riesca a replicarne il successo.
Lost: il fenomeno mediatico degli anni 2000
Abbiamo già anticipato come Lost e Twin Peaks abbiano molto in comune. Di certo la centralità del mistero nella trama è un elemento importante, così come un certo gusto per il fantastico (più sci-fi il primo, horror fantasy il secondo). Tuttavia il vero punto di congiunzione è un altro, che poi è anche l’elemento che più di tutti connota Lost come uno dei capolavori degli anni 2000 senza dubbio: la popolarità. Dopo la prima messa in onda nel 1990, Twin Peaks si trasformò in un fenomeno virale al punto che la risoluzione della morte di Laura Palmer diventò per molti una vera e propria ossessione. Leggenda vuole che lo stesso Michail Gorbačëv non vedesse l’ora di conoscere il colpevole. Un racconto simile ha coinvolto anche Lost, perché pare che l’allora presidente Barack Obama avesse deciso di spostare la data del discorso al Congresso per non accavallarsi con la première della sesta stagione. Queste due storie testimoniano l’enorme impatto sociale e culturale che entrambe le serie hanno avuto nel loro periodo di riferimento.
E se il mistero è il proiettile della pistola, la programmazione settimanale è stata il grilletto che ha permesso a Lost di esplodere come il fenomeno di massa che è stato. Una diffusione lenta degli episodi ha permesso alla serie di accumulare sempre più pubblico e, soprattutto, di creare una suspense che si traduceva sia in aspettative altissime sia in un fermento che nessuna serie in epoca social è stata in grado di suscitare. Ancora celeberrima è l’enorme Lostpedia, l’enciclopedia del mondo Lost sviluppata nel lontano 2004, attorno alla quale si sviluppò un fenomeno di costume con pochi eguali nella storia delle serie tv. Una comunità che ha passato intere settimane a discutere le teorie più astruse, a collegare i puntini, a mettere insieme le briciole di misteri disseminate lungo i sentieri della trama. Tutte le serie tv successive hanno cercato di raggiungere lo stesso grado di impatto culturale, pochissime ci sono riuscite (qualcuno azzarderebbe che una sola ci è riuscita: Game of Thrones).
Oggi si dice che guardare Lost sia stata un’esperienza.
Un’esperienza di vita che ha visto convergere in un disegno perfetto una serie di elementi, la famosa formula segreta di cui parlavamo prima: tematiche importanti e universali, dualismi metafisici e morali, un cast perfetto in grado di incarnare la grande varietà di possibilità umane nelle quali rivedersi, una tecnica cinematografica all’avanguardia, misteri sempre più preponderanti e crescenti nel corso della serie e il tempo giusto, perfetto, per gustarsi tutto, tirare giù teorie e divertirsi. Perché se c’è una cosa di Lost che non è rimasta nelle serie tv di oggi, e un po’ dappertutto, è la voglia di aver pazienza nel centellinare la propria fantasia e assaggiare quel poco che ci viene dato come un guilty pleasure, da desiderare fino alla prossima settimana.
Forse non è un caso che, pur provandoci in tutti i modi, la vera formula del successo di Lost sfugga tra le mani: perché è il prodotto di un tempo diverso, in cui persino il tempo scorreva diversamente e la visione coinvolgeva tutti i sensi, trasformandosi in un’esperienza senza pari. Allora, quando ci sentiamo nostalgici, ritorniamo con gli occhi su quella scritta bianca con la schermata nera e, quasi involontariamente, ci ritroviamo trasportati in dibattiti senza fine sulla sequenza di numeri, gli orsi polari, Jacob e il fumo nero, l’intera identità dell’isola. Aspettando un’altra serie che riesca a teletrasportarci in un altro mondo, così come ha fatto quel capolavoro di Lost.