2) Mr. Robot
Introdurre una distopia non è mai semplice, a maggior ragione quando quest’ultima prende di mira il tema dell’identità umana e virtuale come concetti antitetici tra loro.
Ad introdurre Mr. Robot, infatti, è il suo titolo puro e semplice, cullato dalla voce fuori campo di Elliot che ci trasporta nel suo mondo di notti insonni e rabbia repressa.
L’introduzione della serie non poteva che essere diretta e senza fronzoli. D’altronde, la critica sociale che funge da impalcatura è la disillusione di scoprire l’essenza oltre l’immagine. Qualsiasi orpello estetico sarebbe stato incoerente con la lotta sociale portata avanti dal protagonista di Mr. Robot. Una scelta che ricorda un po’ quel cinema d’essay al quale Esmail si ispira spesso e volentieri.