Considero un dovere parlare di Lost in una certa maniera, sfondando dei limiti che in articoli del genere di solito sono un dogma. Perché è vero che la serie ideata da JJ Abrams e concettualizzata da Lindelof e Cuse mi ha rapito fin dal primissimo frame, ma è altrettanto vero il fatto che quando ci si accinge a discutere di una storia come quella dei sopravvissuti al volo Oceanic 815 è quasi scontato oltrepassare ogni demarcazione.
Perché Lost ha fatto questo, in fondo.
Ha infranto ogni record, ribaltato qualsiasi prospettiva, innovato il modo di fare televisione e rivoluzionato il concetto di seguito da parte di una folta schiera di tele maniaci.
Nato da una brillante intuizione di Llyod Braun, direttore della rete ABC, la serie si è rivelata, all’unanimità di critici, fan e giornalisti del settore, il miglior serial mai fatto, un onore tanto pesante quanto affascinante che ben presto ha catalizzato dinanzi agli schermi milioni di persone, facendo acquisire alla serie una popolarità tale da diventare oggetto di paragone positivo con qualsiasi altra serie sia stata fatta dopo, un’escalation progressiva di sensazioni che durante gli anni ha sempre recitato così: «Bella quella serie, ma non quanto Lost».
Lost è una di quelle poche serie televisive che possiede il potere di immergere chi la guarda in un universo alternativo, parallelo, ma al tempo stesso così tangibile che è possibile assaporarlo, viverlo in prima persona e sperimentare emozioni a tutto tondo. Merito di una storia difficile da raccontare e altrettanto complessa da analizzare e da interpretare, di una sceneggiatura da Oscar e di personaggi caratterizzati in maniera invidiabile, un punto di forza, questo, che ha elevato la serie al di sopra di qualunque status televisivo.
Lost è poesia in movimento creata da una scrittura meravigliosa stracolma di temi importanti e dalle singole interpretazioni da brividi dell’intero cast artistico; è una piuma leggera che ti scivola dietro la schiena facendoti provare un brivido freddo e al contempo si propone come una dimora calda e accogliente utile per riversare al suo interno timori, dubbi, aspettative personali.
Lost è una serie televisiva, sì, ma non è solo questo. È la storia di tutti noi, la storia personale che ci portiamo dietro quando entriamo in un luogo pubblico, quando gli occhi acuti delle persone ci studiano cercando di analizzarci; è la nostra storia quando piangiamo, quando ridiamo e quando scrolliamo le spalle dopo aver preso una decisione importante per il nostro futuro, noi siamo losties, noi siamo perduti all’interno di un mondo che molto spesso ci volta le spalle e ci inchioda al suolo soffocandoci sotto il peso delle responsabilità.
Lost è dunque LA storia per eccellenza, la Bibbia delle serie tv, il must watch della tv moderna e di certo uno dei prodotti televisivi più riusciti di sempre.
LOST, I MISTERI NON SONO TUTTO – La vera forza della serie non sono i misteri, né la potenza narrativa con cui questi vengono inseriti, raccontati e modificati puntata dopo puntata, bensì l’incredibile cornice narrativa che viene affibbiato a ogni singolo protagonista. Di serie tv bellissime ce ne sono state, ma nessuna ha mai ripetuto i fasti di Lost per ascolti, seguito e popolarità. Tutto ciò è stato possibile grazie a personaggi studiati nei minimi dettagli, anime tormentate che hanno perso la dritta via, che hanno smarrito il loro senso spirituale, anime, dannate anime che battagliano, che fanno a pugni giorno dopo giorno per cercare di sottrarsi all’incredibile destino che il Cielo o chissà chi ha affidato loro. Grazie a espedienti narrativi costanti e mai noiosi – flashback e, successivamente, flashforward e i flashsideways – ci viene svelata l’esistenza tormentata di ogni character, ed è incredibile il naturale effetto di immedesimazione che scaturisce fin dal primissimo momento in cui entriamo nel Lost Universe.
Il protagonista della serie è Jack Shepard, un medico chirurgo con un rapporto padre figlio andato in frantumi, rimorsi e rimpianti a iosa e un matrimonio crollato in seguito a una maniacale attenzione al proprio lavoro, una devozione alla causa, questa, che lo condurrà piano a piano in un vicolo buio di tensione e ansia. È l’occhio di Jack la prima cosa che vediamo nell’episodio pilota ed è il punto di vista di Jack il primo con cui abbiamo a che fare e il primo in cui ci immedesimiamo; è lui l’eroe scelto dal ristretto gruppo di sopravvissuti, ma al contempo è sempre lui il primo ad essere messo in discussione quando e ove è possibile. Jack è sul volo 815 per trasportare la salma di suo padre, morto tragicamente di attacco cardiaco, da Sydney a Los Angeles, ma l’incidente messo in atto dal destino lo costringe a rimettere in discussione ogni certezza, imponendogli di affrontare tematiche importanti come la fede, la scienza, la leadership, lo spirito di gruppo e, ovviamente, l’amore.
L’amore per la bella Kate, donna dalle fattezze meravigliose e dotata di attitude scatenata, una ragazza che ha ormai smarrito la fiducia della propria madre e che ha sulla coscienza ricordi pesanti, asfissianti, una leonessa dei giorni nostri che passerà l’intero volo in manette, seduto al fianco di un rappresentante della legge pronto a trascinarla in prigione. Una guerriera, la nostra Kate, che riuscirà a proporsi come punto di riferimento assoluto per quanto riguarda l’esperienza di Jack sull’isola e che, nonostante la creazione di un avvincente love triangle con protagonista anche Sawyer, sceglierà alla fine di affiancare nella vita il coinciso e pragmatico dottor Shepard.
Uno dei personaggi chiave e la personalità per eccellenza grazie alla quale la trama si sviluppa snodandosi e sviscerando temi più consoni al pubblico lostiano, è John Locke, impiegato in una fabbrica di scatole e uomo di mezz’età con un dramma famigliare alle spalle che gli ha causato una paralisi che lo costringe a muoversi su una sedia a rotelle. Dopo lo schianto, però, qualcosa cambia. John getta un’occhiata in direzione delle proprie gambe distese sulla sabbia granulosa e dorata dell’isola e si accorge che ha riacquistato l’ausilio delle gambe. Troppo semplice pensare a una coincidenza e quindi man mano che la permanenza sull’isola si prolunga, John acquisisce sempre più la lucida e matura consapevolezza che quel posto non è un luogo come tutti gli altri, che oltre a quel mare che appare infinito, oltre a quelle palme sornione c’è di più, c’è un senso, c’è IL senso della propria vita, un’intricata rete di misteri che Locke vuole assolutamente sbrogliare e, in seguito, proteggere dalla curiosità collettiva. Ed è proprio quando Locke acquisisce questa mentalità che sorgono le prime discussioni con Jack, regalando così al pubblico un dualismo avvincente, una moneta brillante da entrambi i lati, due facce diverse che guardano la stessa prospettiva con occhi differenti: Jack vorrebbe andare via, dimenticare tutto e lasciarsi alle spalle quella brutta esperienza, tornare alla vita civile; John non è d’accordo e cerca di escogitare qualsiasi piano per far sì che il gruppo non abbandoni quel posto così speciale, schierandosi apertamente contro Jack e instaurando uno scontro sul tanto inflazionato modello di feud scienza vs fede.
Altro importantissimo character è James Ford, alias Sawyer, vero e proprio mattatore dell’intero serial. Personaggio particolare, riesce ad essere estremamente duttile riuscendo a proporsi come alternativa valida nelle scene ironiche e come controparte drammatica nelle più strazianti. Meravigliosa la storyline che lo vede protagonista con Kate tra la seconda e la terza stagione, altrettanto stupenda quella che lo vede avvicinarsi pian piano a Juliet, ex membro degli Altri, gli ostili abitanti dell’isola con cui i nostri avranno fin da subito a che fare. Anche Sawyer si propone come rivale di Jack, ma il loro incontro/scontro è del tutto diverso rispetto a quello riguardante il protagonista con il key character Locke: infatti, mentre Jack e Locke si scontrano per ottenere lo status di leader fisico e spirituale del gruppo, la battaglia tra Jack e Sawyer riguarda innanzitutto l’amore per la bella Kate e in seguito si amplia facendo forza sull’inevitabile interazione di due individualità completamente differenti: se Jack è responsabile, serioso, attento, idealista e si propone come il classico eroe, Sawyer è un uomo tormentato da un’infanzia che lo ha visto perdere entrambi i genitori per cause esterne, un tizio che possiede una soggettività complessa che quasi sempre trova sfogo in una forma di ostilità dannata e di un dissacrante sarcasmo.
Anche Hurley, al secolo Hugo Reyes, è tra i protagonisti più interessanti. Vincitore della lotteria nazionale e ormai milionario, in seguito all’estrazione dei numeri (4-8-15-16-23-42) la sua vita viene stravolta da un insieme di tragedie che culminano con lo schianto sulla desolata isola teatro della main plot. Hurley è essenzialmente, afferrate il termine, un pacioccone di indole pacifica e profonda, un personaggio che riuscirà ad incontrare i favori e i consensi di tutti i membri del gruppo Oceanic 815 con simpatia, disponibilità e un minimo accenno di insicurezza. Quando sull’isola compaiono i numeri che lui definisce maledetti, sembra dare di matto e cerca in tutti i modi di evitare qualsiasi contatto, ma in seguito all’evolversi dei misteri del DHARMA Project lo scontro psicologico sarà inevitabile.
Un altro personaggio da studiare a fondo e comprendere è Charlie Pace, membro dei DriveShaft, scalcinata band inglese. Charlie è, al momento dello schianto, un eroinomane che ha sacrificato la sua vita per la musica e per salvare il fratello maggiore, anni prima dipendente anch’egli dalla droga. Sull’isola non solo riesce a ripulirsi, ma anche a trovare la forma di amore più puro possibile, un amore modellato sulla base di una protezione e di un sentimento altissimo, quello verso Claire Littleton, ragazza madre che sull’atollo darà alla luce il piccolo Aaron.
Menzione d’onore per una coppia di personaggi decisivi nelle dinamiche della trama: Desmond Hume e Sayid Jarrah. Il primo è il continuo bersaglio di Charles Widmore, padre della sua amata, Penny, affarista spietato e principale antagonista dell’isola in senso stretto. Dopo una elaborazione mentale in cui rimette in discussione tutto il suo mondo, Desmond decide di intraprendere un viaggio intorno al globo, ma rimane vittima di un naufragio e arriva sull’isola. Dopo alcuni sfortunati eventi viene posto al centro di un esperimento psicologico tanto accattivante quanto logorante: ricordate i numeri letti in precedenza? Bene, il nostro Desmond ha il compito di inserirli all’interno di un rudimentale computer ad un intervallo regolare di 108 minuti, pena il verificarsi di terribili eventi che potrebbero sconvolgere non solo lo status fisico dell’isola, ma anche del mondo intero.
Sayid è invece una ex guardia repubblicana irachena nato con la pesante indole del torturatore. Le sue vittime sono rimaste segnate a vita dai suoi metodi poco ortodossi e durante la permanenza sull’isola (e a dir la verità anche in un momento successivo) si propone come leader alternativo del gruppo. Un outsider, Sayid, che non mancherà di regalare sorprese e momenti toccanti, rivelandosi sempre un elemento fondamentale nel gioco strategico e nell’aspetto d’azione, un alleato prezioso che combatterà al fianco di Jack e Locke fin dal primissimo giorno. Piccolo accenno anche alla tenera e inossidabile coppia formata dai coniugi coreani Jin e Sun, due personaggi che daranno il loro contributo in maniera incisiva durante tutta la vita della serie, e al ripudiato Michael, che per motivi (quasi) giustificabili sarà costretto a voltare le spalle all’intero gruppo, commettendo crimini atroci che lo inseguiranno durante tutta la vita.
Chi è, allora, l’antagonista principale dei nostri al di là di Widmore? Naturalmente Benjamin Linus, bieco manipolatore e leader della misteriosa tribù conosciuta come Gli Altri. Ben è un uomo freddo e cinico, un animale spirituale abituato all’angoscia e alla cattiveria, un’ape solitaria in un alveare che piano a piano si svuota. Insieme a Locke e Jack è senza dubbio l’altro character grazie al quale le vicende accelerano in maniera inevitabile, ma le sue strategie lo porteranno a una sofferenza che, visto il finale della serie, è da considerarsi eterna. Parliamo di uno dei migliori cattivi/ambigui della storia della televisione, un burattinaio inquietante disposto a tutto pur di salvare il posto in cui è cresciuto e maturato dalle avide e affusolate mani di Widmore. La volontà di proteggere l’isola lo porterà ad avere un rapporto indefinibile con John Locke. I due sembrano avere lo stesso scopo e remare nella stessa direzione, ma la loro storyline verterà su situazioni complesse e molto, molto elaborate.
Nonostante io mi sia dilungato, non ho spiegato neanche la metà di ciò che è realmente Lost, né analizzato tutti i personaggi (ma torneremo quasi sicuramente a parlarne), ma è chiaro che parliamo di una una serie televisiva che non può essere considerata solo come un mero oggetto televisivo, ma che deve essere analizzata un’esperienza di vita, un ricreazione di un mondo del tutto identico a quello in cui ci troviamo, con l’aggiunta di una mitologia spirituale dal significato profondo.
Perché tutti avremmo voluto piangere senza freni, perché tutti avremmo voluto, almeno una volta, capire davvero cosa sta succedendo intorno a noi. Ed è per questo che Lost piace, ci spinge a ragionare, ad esaminare le nostre coscienze, ci consegna sulle spalle un fardello pesante, un’eredità mistica con cui tutti prima o poi avremo a che fare, ci mette alla prova, ci è alle calcagna, ci affossa e ci rialza.
Ed è per questo che le avventure del foltissimo gruppo Oceanic 815 sono marchiate a vita nel cuore e nella mente di ogni appassionato: Lost è la nostra storia, quella che non sappiamo di avere, quella che molto spesso rifiutiamo di accettare.
Venite con me e afferrate il telecomando, il mouse o qualsiasi altra cosa: lo schermo dinanzi a voi è spento, quindi fate click per accenderlo e godetevi lo spettacolo.
Godetevi la vostra vita. Godetevi Lost.
Matteo Iacobucci